Finimmo per vivere qui,
Molto lontano dal ricordo degli eucalipti
Dove il bosco si diradava fino a svanire
In una lontananza di macchie verdi
E di pietrame. Fiori irriconoscibli,
Come antiche minacce, bruciavano
In silenzio, Il silenzio dell'acqua
Generava altri fiori. Fiori alti
Pallidi e disfatti. Non ci restava altra scelta
La fatica della guerra, il saldo demografico negativo,
Ci obbligvano a limitare il nomadismo
A farci, almeno temporaneamente stanziali
A dimenticare canne e palmizi
Il sollevarsi frenetico e teso
Di stormi alati, limpidi fischi,
Frulli, timidi schiocchi.
Finimmo per vivere qui:
All'inizio fu molto duro, le crisi
Di vomito bianco stremavano le donne
I nostri sogni erano piantagioni di forbici,,
Batterie de chiodi, l'ombra del grande crocifisso
Ci preservava a stento dalla febbre.
Spesso ci dimenticavamo di avere denti,
Le dita delle mani si mettevano a cresecere
Asimettricamente e a produrre pseudofoglie,
Gli aruspici erano sfiniti da tanto amputare,
Poi furono le nostre madri a venirci a visitare
Le antiche, perdute nel grande viaggio
Sgorgavano dalla nebbia gialla
Dapprima come mucchietti di stracci grigi, lisi
Con cui il vento giocava, faceva mulinelli
Scoteva conferendogli le movenze di spaventapasseri epilettici
Poi si definivano sari e toghe dai bordi porporini ...
Bools Corracha
A cura di genseki
E
martedì, settembre 09, 2014
La poesia si disfó di me
La poesia si disfó di me
Prima che il tempo scoperchiasse il torrente
Rimasero correnti di lame vive,
Brividi di metallo,
Il fumo dell'incenso si solidificava
Ma non avrebbe potuto ferirmi
Come un feto mi diluivo
Nella placenta delle parole
Fino all'inganno,
Fino a neve e neve e neve e neve di menzogne;
Espulso dalla poesia
Dalle lacrime dei segni
Nel deserto di pece e vento.
genseki
Prima che il tempo scoperchiasse il torrente
Rimasero correnti di lame vive,
Brividi di metallo,
Il fumo dell'incenso si solidificava
Ma non avrebbe potuto ferirmi
Come un feto mi diluivo
Nella placenta delle parole
Fino all'inganno,
Fino a neve e neve e neve e neve di menzogne;
Espulso dalla poesia
Dalle lacrime dei segni
Nel deserto di pece e vento.
genseki
Il Verbo
In principio era la Parola (Verbum), questo non si puó capire senza le parole, non si intende con parole umane. La parola è qualche cosa che non ha forma e, tuttavia, è la forma di tutte le cose che hanno una forma...
Agostino
*
È strano che nessuna delle tre cose: lo Spirito, il Sangue e l'Acqua, che testimoniano la Veritá sulla terra sia Parola (Verbo), e, tuttavia, tutte diano testimonianza della Parola che è Cristo: lo Spirito come Dio ispiratore, l'Acqua come il risultato efficiente della Parola, la Chiesa, e il Sangue, finalmente, nel momento in cui nel silenzio e nel grido inintellegibile si realizza ció che nella Parola è decisivo.
Hans Urs Von Balthasar
*
Trad genseki
Anton Reiser
L'aria era fredda e umida, cadeva un nevischio fradicio che inzuppava i vestiti, di colpo lo invase la sensazione di non poter sfuggire a se stesso. Bastó che questa idea si manifestasse e fu come se una montagnag li fosse franata addosso. Si sforzava di trovare una via di uscita verso l'alto, ma era come se il peso dell'esistenza lo schiacciasse. Doversi alzare al mattino e andare a letto alla sera in compagnia di se stesso, giorno dopo giorno! Doversi trascinare dietro quel suo io odioso passo dopo passo!
La sua coscienza di sé con la sensazione di essere rifiutato e disprezzato, gli risultava tanto sgradevole e opprimente come il suo corpo fradicio e infreddolito.
Moritz
Anton Reiser
Trad. genseki
lunedì, settembre 08, 2014
L'olivo di Tiro
Due grandi rocce chiamate Ambrosie
galleggiano sulle acque, su di esse:
Fiorisce
Il germoglio di un un olivo altrettanto
antico, da nessuno piantato e ad esse unito,
Ombelico della roccia che attraversa le
acque, Tra i suoi rami
Riposa un'aquila
E una coppa finemente cesellata.
L'albero arde
Sprigionando scintille meravigliose di
un fuoco spontaneo
E la fiamma circonda i germogli senza
consumarli.
Un serpente è il guardiano dell'albero
frondoso
Sí che ne stupiscono lo sguardo e
l'udito.
Il serpente, infatti, striscia
silenzioso verso l'aquila che si libra in alto,
Ma non la avvolge sinuoso nelle spire
minacciose,
Non inietta veleno mortale coi denti, e
neppure
L'aquila ghermisce il rettile avvolto
in molli spire,
Levandosi a volo e fendendo l'aria,
Né potrebbe lacerarlo con il becco
adunco.
Il fuoco non si propaga ai rami, al
fusto,
Non consuma il germoglio che permane
intatto,
Anzi la fiamma amichevole genera vapore
tra le fronde,
Senza consumare le spire scagliose del
serpente
Avvolte al fusto, la vampa del fuoco
non si trasmette
Alle ali intrecciate ai rami del
rapace,
Né la coppa immobile, sospesa in alto
precipita per il soffio dei venti
Nonno di Panopoli
Dionisiache
Canto 40 – 468, 491
Trad. genseki
lunedì, giugno 30, 2014
Luce
Chi partecipa dell'enjergia divina, si converte in luce; è unito alla luce, con la luce vede in piena coscienza tutto quello che resta celato a coloro che non possiedono tale grazia...; perché i puri di cuore vedono Dio che, in quanto luce, abita in loro, e si rivela a coloro che lo amano, ai prediletti.
Palamas
martedì, giugno 10, 2014
giovedì, giugno 05, 2014
Alasdair MacIntyre
“A crucial turning point…occurred when men and women of good will turned aside from shoring up the Roman imperium….
what they set themselves to achieve instead—often not recognizing fully
what they were doing—was the construction of new forms of community
within which the moral life could be sustained…..we ought also to
conclude that for some time now we have reached that turning point. What
matters at this stage is the construction of local forms of community
within which civility and the intellectual and moral life can be
sustained through the new dark ages which are already upon us. …This
time however the barbarians are not waiting beyond the frontiers; they
have already been governing us for quite some time. And it is our lack
of consciousness that constitutes our predicament. We are not waiting
for a Godot, but for another—doubtless very different—St. Benedict.”
A.C.
sabato, aprile 19, 2014
Sonetos de la Pasión
1. Pastor que con tus silbos amorosos me despertaste del profundo sueño, Tú que hiciste cayado de ese leño, en que tiendes los brazos poderosos, vuelve los ojos a mi fe piadosos, pues te confieso por mi amor y dueño, y la palabra de seguirte empeño, tus dulces silbos y tus pies hermosos. Oye, pastor, pues por amores mueres, no te espante el rigor de mis pecados, pues tan amigo de rendidos eres. Espera, pues, y escucha mis cuidados, pero ¿cómo te digo que me esperes, si estás para esperar los pies clavados? Lope de Vega 2. En la muerte de Cristo, contra la dureza del corazón del hombre Pues hoy derrama noche el sentimiento por todo el cerco de la lumbre pura, y amortecido el sol en sombra oscura, da lágrimas al fuego, y voz al viento; pues de la muerte el negro encerramiento descubre con temblor la sepultura, y el monte, que embaraza la llanura del mar cercano, se divide atento, de piedra es hombre duro, de diamante tu corazón, pues muerte tan severa no anega con tus ojos tu semblante. Mas no es de piedra, no; que si lo fuera, de lástima de ver a Dios amante, entre las otras piedras se rompiera. Francisco de Quevedo El Cristo crucificado de Velázquez 3. Soneto a Cristo crucificado No me mueve, mi Dios, para quererte el cielo que me tienes prometido, ni me mueve el infierno tan temido para dejar por eso de ofenderte. Tú me mueves, Señor, muéveme el verte clavado en una cruz y escarnecido, muéveme ver tu cuerpo tan herido, muévenme tus afrentas y tu muerte. Muéveme, en fin, tu amor, y en tal manera, que aunque no hubiera cielo, yo te amara, y aunque no hubiera infierno, te temiera. No me tienes que dar porque te quiera, pues aunque lo que espero no esperara, lo mismo que te quiero te quisiera. Anónimo 4. Sobre estas palabras que dijo Jesucristo en la Cruz: “Mulier, ecce filius tuus: ecce Mater tua” (Ioan, 19) Mujer llama a su Madre cuando expira, porque el nombre de madre regalado no la añada un puñal, viendo clavado a su Hijo, y de Dios, por quien suspira. Crucificado en sus tormentos, mira su Primo, a quien llamó siempre «el Amado», y el nombre de su Madre, que ha guardado, se le dice con voz que el Cielo admira. Eva, siendo mujer que no había sido madre, su muerte ocasionó en pecado, y en el árbol el leño a que está asido. Y porque la mujer ha restaurado lo que sólo mujer había perdido, mujer la llama, y Madre la ha prestado. Francisco de Quevedo 5. Fuerza de lágrimas Con ánimo de hablarle en confianza de su piedad entré en el templo un día, donde Cristo en la cruz resplandecía con el perdón que quien le mira alcanza. Y aunque la fe, el amor y la esperanza a la lengua pusieron osadía, acordéme que fue por culpa mía, y quisiera de mí tomar venganza. Ya me volvía sin decirle nada, y como vi la llaga del costado, paróse el alma en lágrimas bañada: Hablé, lloré y entré por aquel lado, porque no tiene Dios puerta cerrada al corazón contrito y humillado. Lope de Vega Detalle de los pies en el Cristo crucificado de Velázquez 6. A Cristo en la Cruz Pender de un leño, traspasado el pecho y de espinas clavadas ambas sienes; dar tus mortales penas en rehenes de nuestra gloria, bien fue heroico hecho. Pero más fue nacer en tanto estrecho donde, para mostrar en nuestros bienes a dónde bajas y de dónde vienes, no quiere un portadillo tener techo. No fue esta más hazaña, ¡oh gran Dios mío!, del tiempo, por haber la helada ofensa vencido en flaca edad, con pecho fuerte —que más fue sudar sangre que haber frío—, sino porque hay distancia más inmensa de Dios a hombre que de hombre a muerte. Luis de Góngora 7. ¡Cuántas veces, Señor, me habéis llamado, y cuántas con vergüenza he respondido, desnudo como Adán, aunque vestido de las hojas del árbol del pecado! Seguí mil veces vuestro pie sagrado, fácil de asir, en una cruz asido, y atrás volví otras tantas, atrevido, al mismo precio en que me habéis comprado. Besos de paz os di para ofenderos, pero si fugitivos de su dueño hierran cuando los hallan los esclavos, hoy que vuelvo con lágrimas a veros, clavadme vos a vos en vuestro leño, y tendréisme seguro con tres clavos. Lope de Vega Cristo después de la flagelación, de Murillo 8. Al buen ladrón, sobre las palabras: “Memento mei” et “Hodie mecum eris in Paradiso”, acordando lo que dice: “Non rapinam arbitratus” ¡Oh vista de ladrón bien desvelado, pues estando en castigo tan severo vio reino en el suplicio y el madero, y rey en cuerpo herido y justiciado! Pide que dél se acuerde el coronado de espinas, luego que Pastor Cordero entre en su reino, y deja el compañero por seguir al que robo no ha pensado. A su memoria se llegó, que infiere con Dios su valimiento, porque vía que por ella perdona a quien le hiere. Sólo que dél se acuerde le pedía cuando en su reino celestial se viere, y ofreciósele Cristo el mismo día. Francisco de Quevedo 9. Muere la vida, y vivo yo sin vida, ofendiendo la vida de mi muerte, sangre divina de las venas vierte, y mi diamante su dureza olvida. Está la majestad de Dios tendida en una dura cruz, y yo de suerte que soy de sus dolores el más fuerte, y de su cuerpo la mayor herida. ¡Oh duro corazón de mármol frío!, ¿tiene tu Dios abierto el lado izquierdo, y no te vuelves un copioso río? Morir por él será divino acuerdo, mas eres tú mi vida, Cristo mío, y como no la tengo, no la pierdo. Lope de Vega Agnus Dei de Zurbarán 10. Refiere cuán diferentes fueron las acciones de Cristo Nuestro Señor y de Adán Adán en Paraíso, Vos en huerto; él puesto en honra, Vos en agonía; él duerme, y vela mal su compañía; la vuestra duerme, Vos oráis despierto. Él cometió el primero desconcierto, Vos concertastes nuestro primer día; cáliz bebéis, que vuestro Padre envía; él come inobediencia, y vive muerto. El sudor de su rostro le sustenta; el del vuestro mantiene nuestra gloria: suya la culpa fue, vuestra la afrenta. Él dejó horror, y Vos dejáis memoria; aquél fue engaño ciego, y ésta venta. ¡Cuán diferente nos dejáis la historia! Francisco de Quevedo |
mercoledì, aprile 16, 2014
Simondon
L'homme qui veut dominer ses semblables suscite la machine androïde.
Il abdique alors devant elle et lui délègue son humanité. Il cherche à
construire la machine à penser, rêvant de pouvoir construire la machine à
vouloir, la machine à vivre ...
Gilbert Simondon
Du mode d'existence des objets techniques (1958)
mercoledì, aprile 09, 2014
Ossa
“Può
darsi Spirito se c’è un osso, e cioè un dato materiale in cui
incarnarsi, in cui possa farsi mondo”.
Isabella
Guanzini
giovedì, aprile 03, 2014
Persona e organismo
The crucial concept for any philosophical attempt to provide the basis for human understanding is the concept of the person. It is a well-known thesis of philosophy — expressed in countless idioms and in countless' tones of voice — that human beings may be described in two contrasting (and, for some, conflicting) ways: as organisms obedient to the laws of nature, and as persons, sometimes obedient, sometimes disobedient, to the moral law. Persons are moral agents; their actions have not only causes, but also reasons.
R. Scruton
Arsura
L'arsura della terra
Leviga crepe, ferite
Il suono delle parole
Non si sconta
Bolle di cielo gorgogliano tra i pini
Un tempo cupi caprai
Salmodiavano qui
Inni sagaci:
Queste parole non sono in vendita
genseki
Leviga crepe, ferite
Il suono delle parole
Non si sconta
Bolle di cielo gorgogliano tra i pini
Un tempo cupi caprai
Salmodiavano qui
Inni sagaci:
Queste parole non sono in vendita
genseki
Forza clemente
Io so a che mi vincolano le mie insufficienze, vetrata se il fiore si separa dal sangue della giovine estate. Il cuore d'acqua nera del sole ha preso il posto del sole, ha preso il posto del mio cuore. Questa sera la grande ruota errante del desío, cosí pesante, forse è visibile solo per me. Finiró per naufragare altrove?
René Char
Trad.genseki
René Char
Trad.genseki
Rigogolo
Il rigogolo entró nella capitale dell'alba
La spada del suo canto chiuse il letto triste
Tutto finí per sempre.
René Char
Trad. genseki
La spada del suo canto chiuse il letto triste
Tutto finí per sempre.
René Char
Trad. genseki
mercoledì, aprile 02, 2014
giovedì, marzo 27, 2014
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