mercoledì, novembre 07, 2012
Nudi miei cani
Nudi miei cani, piú nudo ancora
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;
Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.
Nel fango arcaico della bughiera
L'alito si condensava in sogno,
Tepore della carne straziata;
Latravano tra i rovi, l'erica;
La luna era una groviglio di spine.
Inoronato di denti frugavo
Tra le viscere della veglia.
lunedì, novembre 05, 2012
Discorso sopra lo stato ...
In queste righe di Leopardi basta soltanto sostituire "conversazioni" con "web o rete" per avere una perfetta descrizione del perché è perfettamente impossisbile commentare su blog, facebook e riviste online senza essere massacrato di insulti e "railleries".
Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.
Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato. Gli stranieri e gli uomini di buona società non rispettano altrui se non per essere ripettati e risparmiati essi stessi, e lo conseguono. Ma in Italia non si conseguirebbe, perché dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi si risolva e impari d’armarsi e combattere, altrimenti è oppresso dagli altri, essendo inerme e non difendendosi, in vece d’essere risparmiato. È anche necessario ch’egli impari ad offendere. Tutto ciò non si può conseguire prima che uno contragga un abito di disistima e disprezzo e indifferenza somma verso se stesso, perché non v’è cosa più nociva in questo modo di conversare che l’esser dilicato e sensibile sul proprio conto. Oltre che allora tutti i ridicoli piombano su di voi, si è sempre timido e incapace di offendere per paura di non soffrire altrettanto e provocarsi maggiormente gli altri, incapace di difendersi convenientemente perché la passione impedisce la libertà e la franchezza del pensare e dell’operare e l’aggiustatezza e disinvoltura delle difese. E basta che uno si mostri sensibile alle punture o abitualmente o attualmente perché gli altri più s’infervorino a pungerlo e annichilarlo. Oltre di ciò in qualunque modo il vedersi sempre in derisione per necessità produce una disistima di se stesso e dall’altra parte un’indifferenza a lungo andare sulla propria riputazione. La quale indifferenza chi non sa quanto noccia ai costumi? E certo che il principal fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima costante e profonda che esso fa di se stesso, la cura che ha di conservarsela (né si può conservarla vedendo che gli altri ti disprezzano), la gelosia, la delicatezza e sensibilità sul proprio onore. Un uomo senz’amor proprio, al contrario di quel che volgarmente si dice, è impossibile che sia giusto, onesto e virtuoso di carattere, d’inclinazioni, costumi e pensieri, se non d’azioni.
Di più quanto v’ha di conversazione in Italia (ch’è la più parte ne’ caffè e ridotti pubblici, piuttosto che appresso i privati, appo i quali propriamente non si conversa, ma si giuoca, o si danza, o si canta, o si suona, o si passeggia, essendo sconosciute in Italia le vere conversazioni private che s’usano altrove); quel poco, dico, che v’ha in Italia di conversazione, essendo non altro che una pura e continua guerra senza tregua, senza trattati, e senza speranza di quartiere, benché questa guerra sia di parole e di modi e sopra cose di niuna sostanza, pure è manifesto quanto ella debba disunire e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, sempre offesi nel loro amor proprio, e quanto per conseguenza sia pestifera ai costumi divenendo come un esercizio per una parte, e per l’altra uno sprone dell’offendere altrui e della nimicizia verso gli altri, nelle quali cose precisamente consiste il male morale e la perversità dei costumi e la malvagità morale delle azioni e de’ caratteri. Ciascuno combattuto e offeso da ciascuno dee per necessità restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto egoismo, ed alienarle dagli altri, e rivolgerle contro di loro, il che si chiama misantropia. L’uno e l’altra le maggiori pesti di questo secolo. Così che le conversazioni d’Italia sono un ginnasio dove colle offensioni delle parole e dei modi s’impara per una parte e si riceve stimolo dall’altra a far male a’ suoi simili co’ fatti. Nel che è riposto l’esizio e l’infelicità sociale e nazionale. E questa è la somma della pravità e corruzion de’ costumi. Ed anche all’amore e spirito nazionale è visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri sì diversamente che come fratelli, ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i più prossimi. Laddove presso l’altre nazioni la società e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di tutti l’amor proprio di ciascheduno, è un mezzo efficacissimo d’amore scambievole sì nazionale che generalmente sociale; in Italia per la contraria cagione la società stessa, così scarsa com’ella è, è un mezzo di odio e di disunione, accresce esercita e infiamma l’avversione e le passioni naturali degli uomini contro gli uomini, massime contro i più vicini, che più importa di amare e beneficare o risparmiare; tanto che al paragone sarebbe assai meglio che ella non vi fosse affatto, e che gli italiani non conversassero mai tra loro se non nel domestico, e per li soli bisogni, come alcune nazioni poco polite e molto bisognose, o molto occupate e industriose. Certo la società che avvi in Italia è tutta di danno ai costumi e al carattere morale, senza vantaggio alcuno.
mercoledì, ottobre 31, 2012
Enantiodromia
La nada es menos que el frío
la nada o menos que nada
es como si Dios riera al ver
fracasar el poemma
Leopoldo Maria Panero
Macbeth
Il sonno mi tortura
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Il problema azzurro
Mi hai messo in un problema azzurro
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Pioggia
La pioggia mi aveva lasciato
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Leopoldo Maria Panero
Como la vida del verso es una partida
de ajedrez con el horror
y el poema es peor que la muerte.
Da: Teoria del miedo
martedì, ottobre 30, 2012
Il vento tra gli olivi
Il vento tra gli olivi
Screpola la banchisa: graffi di acqua nera,
Trema appena la fiammella di un cero.
Sotto la volta romanica
Il muschio divora le pietre
Fin dove si estingue la brughiera.
Screpola la banchisa: graffi di acqua nera,
Trema appena la fiammella di un cero.
Sotto la volta romanica
Il muschio divora le pietre
Fin dove si estingue la brughiera.
lunedì, ottobre 29, 2012
martedì, ottobre 23, 2012
De senectute
V'è in me un'immagine della vecchiaia che ha a che vedere, con i lupi, l'inverno, Parigi e la neve. Insomna con Villon.
La presa di coscienza, "l'Insight" della vecchiaia è in me associata da tanto tempo con la miniatura immaginaria di un inverno medioevale, con un interno povero, scomodo, sporco ma abbastanza scaldato da un allegro braciere da rendere piacevole il contrasto con la notte fredda e fiera che morde la città.
Invecchiare è questione di un istante. Tutto comincia e finisce in un istante e in quell'attimo la vita prende ad allontantarsi nel passato.
Il passato diventa allora qualche cosa che ha molto piú a che fare con la geografia che con la cronologia. Una delle possibilitá che offre la vecchiaia è quella di cartografare la vita.
Si tratta di osservare la vita come una mappa, o come chi scruta un vasto paesaggio di pianura e basse colline da una montagna, o da una mongolfiera.
Ecco la landa allontanarsi vertiginosamente verso il basso e ampiarsi l'orizzonte fino a che i particolari: quel fienile, il cortile di quella scuola, il lupo che fiuta la traccia, la fuga zigzagante della lepre sull'ultima neve di primavera, finiscono per confondersi in verde e luce.
Ma torniamo a Villon. La vecchiaia ha bisogno di un fuoco, un bracere, un camino, una stufa insomma.
Ne ha bisogno per difendersi dal suo proprio inverno, cioè, in ultima istanza, per difendersi da se stessa, perché la vecchiaia è inverno.
Essa è peró anche rifugio.La vecchiaia a essa stessa a se stessa rifugio.Il calore accumulato in tutta una vita vissuta in modo appena dignitoso è sufficiente a conseguire un tepore e una protezione ragionevolmente confortevoli quando la fuori sibila l'inverno dell'annientamento. L'equilibrio che rende preziosa la vecchiaia è solo questo.
La mia povera vita non mi ha permesso di accumulare grandi ricchezze spirituali, no ne sono stato capace, non ho saputo rendermene degno. Quel poco che ho savato da tante procelle di cui fui naufrago basta comunque a scaldarmi. In questo tepore mi acccoccolo con gusto.
La vecchiaia non si sporge sulla morte, non ha finestro che diano immediatamente sul cortile del cimitero.
La vecchiaia è vecchiaia, la morte è morte.
In una prospettiva politica la vecchiaia ci permette di non essere giovani senza destare sospetti polizieschi. Ci libera dalla gioventú coatta che è la sola condizione permessa ai sudditi del capitale. Da questo incubo, infine, ci è consentito svegliarci. Non è detto che ci si riesca. Il successo resta dubbio, la tentazione è, tuttavia, luminosa. Occorre che invecchiando si resti prigionieri della gioventú coatta, si è allora il "ritratton di Dorian Grey di se stessi". Il Capitale è il pittore. Anzi questo orrore è la condizione comune dei sudditi del Capitale. Io sono ben deciso a invecchiare come un vecchio. Ho impiegato tutta la gioventú per premararmi a questa sfida. Sono deciso a espiare il peccato di gioventú: essere stato per tutta la giovinezza imperdonabilmente giovane.
genseki
lunedì, ottobre 22, 2012
Deleuze
“poiché
la razza votata all'arte o alla filosofia non è quella che si pretende
pura, ma quella oppressa, bastarda, inferiore, anarchica, nomade,
irrimediabilmente minore..."
Deleuze – Guattari.
venerdì, ottobre 19, 2012
Alberi
Questa è una poesia di Bolls Corracha caratteristica del periodo del suo lungo soggioro a Jeve e dell'amicizia povera e spoglia con Jules Lapache.
genseki
Questa poesia è dedicata agli alberi
Nella stagione in cui sono più tristi
La scrivo infatti il 31 Dicembre,
di notte prima che finisca l’anno
Privi di foglie lavati dalla pioggia
Avvolti nella nebbia
Intirizziti
Ora paiono antenne di metallo
Lance d’acciaio dai riflessi grigi
Che attendono tremando irrigiditi
Il bacio lieve, bianco della neve
Che li rivesta come morte spose
Del suo lino di gelo
Che simuli sui rami fantasmatici
La gioia spenta della fioritura.
Ché non c’è inverno
Privo di ricordi
Anche se non ululano più i lupi
Tra le file di tronchi fitte e scure
E non c’è morte senza che si disfi
L’ombra della speranza delle fronde.
Per questo scrivo gli alberi d’inverno
Quando le chiome sono solo d’ombra
Anche gli abeti sono fiamme nere
Profonde come il vento della notte.
Ritorneranno i boccioli arancione
E gialli per l’ardore d’esser verdi ?
Ora che il sogno dolce delle foglie
E’ un tappeto di linee che cancella
la pioggia grigia col fango vischioso ?
Foglie peltate, rotonde, reniformi
Digitate lobate bipennate
Forme di cuori d’asce di coltelli
di corna e zampe vive verdi orme
tenere carte tarocchi della vita
Ritorneranno a incarnare la luce
nella forma più verde del suo gioco
Nelle chiome che fremono di suoni
Chiome piramidali o arrotondate
Ombrelliformi oppure colonnari
Chiome candele di resina e di linfa
Chiome di latte e sperma vegetale ?
Ora le chiome sono solo un sogno
Ora la vita è nuda e trasparente
Raggi di vento ed aghi di cristallo
La trafiggono come fosse assente
Per questo scrivo gli alberi d’inverno
nella stagione in cui sono più tristi
Il 31 Dicembre: Capodanno.
Bolls Corracha
a cura di genseki
Jean Grosjean
Al bordo del sentiero
Quando mi seggo al bordo del sentiero
E volgo gli occhi indietro
Veggo il picciol cammino che ho percorso
E che ben poco ancora me ne resta.
Ma se vivere è già entrare da Te
In silenzio, in punta di piedi,
Con che gioia si cade in ginocchio
Al cospetto della tua gloria ostinata,
trad genseki
Quando mi seggo al bordo del sentiero
E volgo gli occhi indietro
Veggo il picciol cammino che ho percorso
E che ben poco ancora me ne resta.
Ma se vivere è già entrare da Te
In silenzio, in punta di piedi,
Con che gioia si cade in ginocchio
Al cospetto della tua gloria ostinata,
trad genseki
Barbara
Barbara è ancora una delle poesie giovanili di Bolls Corrachia ritrovata e pubblicata dal caro genseki.
Barbara
La notte scorsa
era una notte di nebbia
viscida e calda come la febbre
ha sognato
Barbara
si
proprio
Barbarà
quella di Prévert
bagnata e radiosa
come lo è da 50 anni
come lo sarà
ancora
per moltissimi altri
forse
per sempre
se questa locuzione ha un senso
per i mortali
l’ho sognata
sullo sfondo nuvoloso
del cielo di Brest
tra nuvole marce
dall’odore di nafta
e di acqua di mare
e la colonna sonora
era un rombo di archi
come nelle canzoni di Ferré
nel sogno
lei mi ha parlato
con una voce calda
e roca
come quella di Billie Holliday
non ricordo bene
quello che mi ha detto
le parole dei sogni
si dissolvono
al risveglio
come un volo di piccioni
grassi e sporchi
intorno
ai campanili grigi
di qualche cattedrale
posso quindi solo cercare
di ricostruire il senso delle sue parole
con la logica della veglia
“ Da 50 anni
ormai io corro
fradicia e radiosa
incontro all’amore che perderò
da 50 lo abbraccio
nella pioggia
da 50 anni ripeto questa scena
ininterrottamente
in bianco e nero
per il pubblico distratto degli studenti di francese
che sognano
l’uccello lira
e per gli innamorati che amano le fotografie di Doisneau
si Prévert
mi ha rovinato
nessun altro poeta dopo di lui
ha più voluto
scritturami
per altri
quelli che avevo sempre sognato
per cui mi sentivo ormai matura
ruoli drammatici
o ermetici
avrei voluto percorrere le strade
dell’America
in gins
e maglione di lana
con un vecchio zaino militare
affacciarmi morta
a una finestra neogotica
di Fiesole
oppure passeggiare tra i laghi di Carinzia
scendere con Annina
le scale di Livorno
con una catenina
dorata tra i denti
nelle mattine di mare
che sanno di latte
e di azzurro
approdare bruciata dal sole
bionda
sulle spiagge di isole vespertine
tra il brusio
ininterrotto dei pappagalli
vestita come una zingara hollywoodiana
invece
da 50 anni
posso solo
correre
sotto la pioggia
di Brest
che mi unge i capelli
e mi macchia il vestito
di cotonina a fiori
sullo sfondo
di nuvole marce
di soldati
morti
macerie
e trincee
rigorosamente in bianco e nero
e per di più
senza audio
e questa pioggia
mi ha guastato la salute
mi è entrata fino nelle ossa
mi ha tolto l’appetito
e il sorriso
e non ho mai potuto ascoltare
una canzone di Neil Young
anzi mi sono persa
anche
tutta la scena psichedelica
dove
avrei potuto svolgere
un ruolo di primo piano
e il cinema a colori
e le foto di Mapplethorpe
e i riccioli di Malcom Mcclaren
per correre sotto la pioggia
davanti a un pubblico
sempre più ristretto
di studenti di francese
e di liceali innamorati
i cui padri ascoltavano De André “
questo mi ha detto
- credo -
Barbarà
in un attimo di sosta
con una smorfia stanca sul volto ingenuo
prima di ricominciare
a correre
in bianco e nero
fradicia e radiosa
sotto la pioggia grigia
sotto le nuvole marce
di Brest
e
io
non ho saputo dirle
che l’ho
amata
e che l’amo sempre
e che tutte le sere
di pioggia
cerco il suo volto
tra quello di tutte le ragazze dai capelli fradici
che corrono sotto la pioggia unta
cercando invano
di ripararsi con la borsetta
dal tempo che le fisserà
per sempre
nel lampo mortuario
di una posa perfetta.
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