martedì, marzo 02, 2010
Dove caddero le loro mani
Dove la città declina, si stinge
Sbocca delta di cemento
Nell'azzurrità dei canneti
Nel volo di cromo degli sciami di mosche
Tra le lame di palmizi stinti
mani abbandonate con le palme all'insú
a raccogliere come catini la pioggia
Maleducata del marzo impallidito
Mani che furono strette altrove
dagli dei di bronzo di cui portarono i sigilli
Il sole le disincarna in ali d'uccelli bianchi
Caduti alla riva del volo.
Le bietole e il tarassaco crescono tra dito e dito
Mani che giacciono aperte laggiú
Dove la cittá è un grido
E il sole sembra appoggiarsi
Ai fianchi madidi del monte.
genseki
Le mani della Giovanna
Mani brune che il sole ha conciato
Pallide come le mani dei morti
Non son le mani della Juana.
Vi ha forse spalmato le creme
Dei pantani del piacere?
Si saranno immerse nelle lune
Delle lagune bianche e serene?
Hanno bevuto da cieli barbari
Immobili su gambe che innamorano?
Hanno forse arrotolato sigari?
O fatto contrabbando di diamanti?
Sui piedi ardenti delle madonne
Sono andate a sfogliare fiori d'oro?
È sangue nero di belladonna
Che nelle palme esplode e dorme.
Con queste mani cacciava i ditteri
Di cui risuonano azzurramenti
Nell'albeggiare verso il nettareo?
Distillano veleni queste mani,
Quale fu il sogno che le sorprese
In un momento di spossatezza?
Sogno d'immense asie inaudite
Di kenghavar o di Sionne?
Con queste mani non vende arance
No, non si scurirono sui piedi santi
Lavando fasce e pannolini
Per accecati bambini obesi
Non sono mani di una cugina
Di un'operaia di fronte spessa
Che brucia nel bosco che olezza
Di fabbriche, inebriato il sole dalla pece.
Sono mani che piegano le schiene
Sono mani che non farebbero alcun male
Ancora piú fatali delle macchine
Molto piú forti di un cavallo intero
Sono mani, fornaci che ribollono
Che sferzano come brividi di febbre
La loro carne canta la marsigliese
E giammai canterebbe l'Agnus Dei.
Sono mani che vi strozzerebbero
Donne malvage che le mani infami
Delle nobili dame schiaccerebbero
Le mani piene di cipria e di carminio
Splendore di mani amorose
Rivolta il cranio dei capri
Per falangi leggendarie
Il gran sole crea rubini
Macchia della canaglia
Le oscura come vecchi seni.
Il dorso di queste mani è l'altare
Che bacia ogni rivoluzionario.
Impallidirono, che meraviglia!
Sotto il gran sole carico d'amore
Sul bronzo della mitraglia
Attraverso Parigi insorta!
A volte o mani consacrate
Al polso ove tremano i baci
delle nostre labbra per sempre ubriache
Stridono catene di anelli chiari!
Allora un soprassalto strano
Ci coglie fin nel profondo
Quando vi vogliono rendere pallide
Insanguinandovi le dita!
Rimbaud
trad. genseki
lunedì, marzo 01, 2010
Mani
Le mani di due speci lottano nella vita
van sbocciando dal cuore, sgorgano dalle braccia,
Saltano per sboccare nella luce ferita
A colpi, a graffi.
La mano è lo strumento dell'anima, il messaggio,
Il corpo trova in essa il ramo combattente;
Con le mani levate fate una mareggiata
Uomini della mia gente.
Giá vedo l'alba delle mani pure
Di chi lavora sulla terra o sul mare,
Come una primavera di allegri dentature,
Di dita mattutine.
Duramente abitate dal sudore,
Rintoccano le vene fin dalle unghie rotte,
Costellano lo spazio di palchi e di clamori,
Di lampi e gocce.
Conducono le zappe, conducono i telai;
Monti e metalli mordono, rapiscono ascie e querce,
Erigono, se vogliono, perfino, in mezzo al mare
Miniere, borghi e fabbriche.
Mani sonore, mani oscure e lucenti
Le ricopre una pelle di corteccia invincibile
E sono inesauribili sorgenti generose
Di vita e di ricchezza.
Come se con le stelle lottassero le polveri,
Come se con i vermi lottassero i pianeti
La specie delle mani lavoratrici e chiare
Lotta con altre mani.
Ferocemente strette in banda sanguinaria
Avanzano al cadere dei cieli vespertini;
Livide mani, ossute, mani sterili
Paesaggio di assassini.
Non han suonato, non cantano, hanno le dita afone,
Svolazzano in silenzio, vagliano, si propagano
I velluti non tessero, non tagliarono i tronchi
Molli, oziose procedono.
Impugnan crocifissi, afferrano gioielli
Che appartengono solo a quelli che li fecero
Nei crepuscoli muti assorbono i sonori
capitali di aurora.
Orgoglio di pugnali, armi per bombardare
Con calici, delitti, con morti in ogni unghia;
Esecutrici pallide dei neri desideri
Che l'avarizia impugna.
Chi laverá le mani fangose che raggiungono
L'acqua e la disonorano arrossano ed infangano?
Nessuno lava mani che in pugnali s'accendono
Che nell'amore si spengono.
Le mani laboriose di quelli che lavorano
Cadranno su di voi con i denti e i coltelli
Le vedranno amputate i tanti sfruttatori
Sulle loro gincchia.
Miguel Hernandez
15 febbraio 1937
trad genseki
sabato, febbraio 27, 2010
Le mani
Nessun ungüento sembri troppo caro per loro
Curatele e tagliate ogni unghia spezzata
Per loro usate sempre lo strumento adeguato.
Iddio fece le mani feconde in meraviglia;
Il loro bianco è quello serafico dei gigli
Nel giardino carnale sono due fiori simili
Hanno sangue di rosa sotto unghie sottili
Mistica primavera circola nelle vene
E sembrano sorridere il mughetto e la viola
Sulle linee del palmo s'addorme la verbena
Rivelano le mani segreti spirituali.
I piú grandi pittori amarono le mani
I pittori di mani sono grandi maestri.
Come due bianchi cigni che nuotano affiancati,
Due vele che sull'onda si fondono nel bianco,
Immergete le mani nei catini argentati
Asciugatele in lini impregnati di aromi.
Le mani sono l'uomo come l'ali l'uccello;
Le mani dei malvagi son terre inaridite
Quelle della vecchina che maneggiano il fuso
Hanno molta saggezza incisa nelle rughe.
Mani di contadini, mani di marinai
Appaiono dorate sotto la pelle bruna.
L'ala dei cormorani porta l'odore salso
Le mani della vergine il bacio della luna.
Le mani piú preziose fanno mestieri oscuri,
Quelle del carpentiere sono mani santissime.
Sono le vostre figlie son le vostre gemelle
Le dita i nipotini benedetti piccini
Attenti ai loro giochi ai piccoli contrasti
Alla loro condotta in tutti i suoi dettagli.
Le dita fanno reti e sorgono cittá;
Le dita han celebrato la lira anticamente
Lavorando si piegano ai compiti piú vili
A volte manovali ed altre musicisti
Liberati nel bosco dell'organo alla messa,
Le dita sono uccelli e sulle loro punte,
Che volano tra i rami come tante ghiandaie,
Ci sorride lo stormo dei segni della croce,
Il pollice è un gran duro piccolo e corpulento
Dotato della forza d'Ercole trionfante,
Quello piú gracilino, sensibile alla grazia,
È il dolce dito mignolo: è restato bambino.
Siate servi alle mani che son serve fedeli,
Fatele riposare in un letto di lino.
Sono le vostre mani che danno le carezze
Son sorelle dei gigli, sorelle delle ali,
Non meritano disprezzo e neppure abbandono
Lasciatele fiorire come degli asfodeli.
Elevate al signore le gioie profumate
La sera di preghiere dischiuse sulle labbra.
O mani, mani giunte per i poveri morti,
Perché Dio nelle mani ci rinfreschi la febbre.
Perché il mese dei frutti vi carichi di doni
Se resterete aperti su un nido di perdoni.
E infine, voi che siete nemici delle armi,
E tristi vi specchiate in un fiume di pianto
Vegliardi i cui capelli vanno bianchi alla luce,
Garzoni occhi divini ove l'amor si desta
Donna che vai mischiando i tuoi sogni con gli angeli
Il cuore gonfio a volte in fondo a strani vespri
Non sapendo di avere il voler nelle mani
Tutti voi dimandate: Signore, in veritá,
Dove trovar la cura ai nostri mali estremi?
Ê nelle vostre mani, sono loro, le mani.
Germain Nouveau
trad genseki
giovedì, febbraio 25, 2010
I sufi d'Andalusia
Un giorno mentre stavo seduto presso il Maestro, si presentó un uomo con suo figlio. Salutó e ingiunse al figlio di fare altrettanto. Allora il nostro Maestro aveva giá perduto la vista. L'uomo disse: - O Sidi, ecco mio figlio che ha imparato a memoria il Corano.
Udendo queste parole l'aspetto del maestro cambió completamente per l'impressione di uno stato spirituale. Disse allora: - È l'Eterno che porta il transitorio, che il Corano ci porti e ci preservi, noi e tuo figlio!
Questo annedoto è un esempio dei suoi stati di presenza spirituale.
Ibn Arabi
Trad a cura di genseki
Non c'è né spirito né metodo
- Restare nell'errore o liberarsene questo vuol dire semplicemente ancora un errore. In fondo l'errore non ha radici e esiste soltanto perché vi è discriminazione. Quando non avrete piú opinioni iintorno a ció che è ordinario o straordinario, allora l'errore scomparirá da sé. Che altro si dovrebbe poter fare? Quando non resta nemmeno un granello di polvere a cui afferrarsi, allora, come si dice, si aspira alla buddhitá sacrificando ad essa entrambe le braccia.
- Se non ci si puó afferrare a nulla che cosa mi raccomandate riguardo alle cose sensibili?
- Lo spirito si trasmette con lo spirito.
- Se lo spirito si trasmette perché dite che non vi è nemmeno lo spirito?
- Non avere niente da trasmettere. Questo si chiama trasmettere lo spirito, se si comprende che cosa è questo spirito allora non c'è spirito, non c'è metodo..
- Se non vi è nè spirito nè metodo, che cosa vuol dire trasmettere?
- Io vi parlo di trasmissione dello spirito e voi pensate che esista qualche cosa del genere. Per questo il Patriarca ha detto:
Quando riconobbi la natura del mio spirito
Fu qualche cosa davvero inimmaginabile
Una realizzazione che realizza l'irrealizzabile
Di cui no dir'se davvero avvenne.
Ma se io vi insegnassi qualche cosa del genere, non sapreste che farvene
Huangpo
Dialoghi
trad a cura di genseki
I sufi d'Andalusia
Mi chisese: - Sei fermamente convinto a seguire la Via di Allâh?
Risposi: - Il servitore puó prendere la decisione, ma è Allâh che stabilisce.
Mi disse allora: - Chiudi la porta, rompi ogni legame, prendi come compagno Il Generoso, Egli ti parlerá senza veli.
Mi impegnai cosí fino ad ottenere l'apertura.
Bencjé fosse un campagnolo illeterato che non sapeva né contare né scrivere, bastaa ascoltare i suoi insegnamenti sul Tawhid per apprezzare il suo livello spirituale.
Dominava i pensieri con l'energia spirituale e poteva superae gli ostacoli dell'esistenza grazie alle sue parole. Lo si vedeva sempre invocare in stato di purezza rituale, rivolto verso la Qiblah, la maggior parte dei casi a digiuno. Un giorno fu fatto prigioniero dai cristiani. Siccome ancora prima di partire sapeva quelo che sarebbe successo avvertí tutta la carovana che sarebbero stati fatti prigionieri dai cristiani il giorno dopo. Il mattino dopo, come aveva previsto, il nemico tese un'imboscata e furono fatti prigionieri. I cristiani ebbero molti riguardi per il maestro e gli diedero un alloggio comodo e servi. Poco dopo poté essere liberato avendo pagato un riscatto di 500 dinari e si mise in viaggio verso il nostro paese. Al suo arrivo gli proponemmo di raccogliere la somma tra due o tre persone. Egli ci rispose che voleva raccoglierla da molte, se fosse statoorno del giudizio posibile voleva ottenere da ciascuno una piccola somma perché Allâh pesava ogni anima il Giorno del Giudizio e in ogni anima c'era qualche cosa degna di essere salvata dal Fuoco. Cosí Egli voleva prendere il bene di ciascuno per la comunitá di Muhammad.
Ibn Arabi
Trad genseki
mercoledì, febbraio 24, 2010
Il cardo
Quando mi donasti il tuo cardo
Il latte profumava ancora caldo
Sulle tue labbra azzure per il freddo
Il coro delle capre balbettava
I passi di una danza zodiacale
Dalle tue labbra gocciolava il latte
Sul circolo dell'erba bruciata
Dove i ceppi carbonizzati
Fiorirono in ironiche scintille
Il tuo cardo era solo un ricordo
Grigio argentato del nostro sole antico
Il dio barbuto che preservava i tuoi talloni
Lo portava tatuato sulle palpebre
Convulsa come le pieghe della tua veste
La tua mano fingeva d'essere un gioiello
Nessun artista barbaro avrebbe cesellato
L'asprezza con cui ti seppi cingere.
genseki
lunedì, febbraio 22, 2010
Il tuo occhio
Il tuo occhio si schiudeva come un tulipano
Alle carezze delicate del mio sguardo
Il tuo occhio era velluto all'alito del mio contemplarti
Il tuo occhio sorgeva all'orizzonte della mia vista
Rotolava sulla mia luce come una palla da biliardo sul velluto
Il tuo occhio penetrava il mio osservarti
Tatuare su di me la tua avversione
A qualunque sbocciare
Pioveva su di me il tuo occhio le sue gocce ardenti
Sui petali delle mie palpebre
Le tue erano ali allora sulla notte della pupilla
Sulle smeraldo spezzato dell'iride
Con le nocche cercavo il tuo occhio
Perché per sempre fosse anello del mio essere in te
Lancia che assicurava il tuo possesso
L'occhio impenetrabile altrove
In cui ti ritiravi per sparire sotto la pellicola della luce
Come il lago sparisce sotto le increspature dell'acqua verde
Quando la brezza lo accarezza
Le onde sotto il grido rabbioso dei loro tentacoli corallini
Gli steli sotto le scaglie quando sognano i rettili
Il tuo occhio era alba al mio sogno indefinito
Tramonto rovente per l'ebrezza dei miei antichi liquori
L'avrei intrecciato alle mie dita il tuo occhio
Per accarazare con il palmo della mano
La direzione delle tue luci
Il tuo occhio guizzante come un luccio
Nel torrente delle tue visioni
Nella cascata turbinosa che vela la grotte
Delle tue passioni ramificate
Il tuo occhio fu sentiero al mio perdermi
Groppa al mio saltare alla mia fuga
Il tuo occhio testimone delle mie lacrime
Tomba del mio giudizio balbuziente
Galeone del mio oro perduto
Per sempre nei fondali del tuo oceano.
genseki
Michel Leiris II
A cor et à cri
Gallimard p. 96-97
trad genseki
Michel Leiris
Smulacre et glossaire
Osservazioni sugli angoli
Era da un angolo che la parola conferiva visuale
Prima di cristalizzarsi al suo senso e ad altri possibili
Era da un angolo visuale predefinito
Che finiva per porsi la parola con tutto il peso del suo significato
Ammettevano anche un angolo particolarmente ottuso
Un seno di mare cristallino come la foto di un depliant
Una sequenza del tuffo di un gabbiano
A decapitare un grasso sudicio picccione sul granito
Di una gotica piazza accanto al mare.
Nell'angolo, in quall'angolo dimenticato
Un paracqua arcobaleno a spicchi
Evocava la natura dispiegabile di tutti gli altri angoli
La meraviglia dei meccanismi a soffietto
Come quelli delle vecchie macchine fotografiche
I quadri di pessimo gusto di rachel che raffiguravano paracqua
E ombrelloni arcobaleno
Piegati con angoli differenti su una fredda spiaggia arancione
Poi tutto volava via
Come un biglietto del bus
Come il ricordo degli angoli retti della metropolitana di Pechino
Era stretto nell'angolo ora dalla tempesta dei significati
Dei suoi ricordi si dibatteva nel suo angolo
Nella poltona di legno angolosa
Con i gomiti con i gomiti a formare un angolo divergente
Spezzato a significare la sconfitta, la disfatta
La crocifissione
Si, spezzato, ficcato a forza in un angolo
Eppure sempre cosciente di essere cosciente
Dei tanti angoli della coscienza
Ciascuno con il suo angolo visuale o auricolare
E così ancora di nuovo ancora
E ancora di nuovo fino al rompersi o meglio al frantumarsi
In uno scroscio vero e proprio delle specchio con il suo enigma
Dell'erompere del salmone come puro scatto
Madido muscolo sforza traiettoria
Argento e nulla.
genseki
sabato, febbraio 20, 2010
Hisperica famina
Il latino hisperico è il latino scritto dai monaci irlandesi nei primi secoli di cristianzzazione dell'isola. il VI e il VII. Si tratta di un latino quasi totalmente indecifrabile e stupefacente. La difficoltá di comprensione e lo stupore sono dovuti soprattutto al suo lessico. La sintassi è infatti elementare, paratattica, quasi del tutto priva di subordinate, con il verbo tra il soggetto e il complemento. Il lessico invece è assolutamente stravagante. Le parole del latino classico sono impiegate nel latino hisperico come se avessero tutte lo stesso valore e la stessa funzione, come se fossero equvalenti. Una metafora è considerata equivalente a un sostantivo di uso comune, a un'immagine mitologica, o a un neologismo formato da parole greche per un uso tecnico filosofico o teologico. Gli oggetti e le azioni piú quotidiani sono designati di volta in volta con i termin piú peregrini. A questo si aggiunge una forte presenza di termini celtici o germanici brutalmente latinizzati, per esempio per mezzo dell'uso di una desinenza.
Una descrizione come questa, tuttavia, non rende lo stupore e la meraviglia che colgono il lettore di fronte ad un testo come questo:
Adelphus adelpha meter
Alle pilus hius tegater
Dedronte tonaliter,
Blebomen agialius
Nicate dodrantibus
Sic mundi vita huius,
Calexomen agialus
tu det bolen suum
nobisque auxilium
Didaxon, sapisure,
Toto biblion acute
Non debes reticere
Equinomicun epensum
Habemus apud deum
Si autumetimus audum
Fallax est vita mundi
Decidit ut flos feni
Chiuso nello splendore della sua impenetrabilitá nell'asprezza delle sue alliterazioni, nell'ingenuitá delle sue metafore.
È un testo il cui senso è quello di comunicare l'artificioso, faticoso, entusiasmante processo della sua elaborazione. Un testo che significa soltanto il suo farsi e il suo disfarsi.
Un testo progettato, infatti, per essere caduco. Il tempo finisce per chiuderlo ancora di piú in se stesso, per allontanarlo da ogni possibile interpretazione per trasformarlo da testo a gioiello, un gioiello cesellato nel significante grafico e in quello sonoro.
Un testo che peró si apre alla fine nella ingenua banalitá di un facile e leggero proverbio sapienzale, la cui banalitá non sorregge nessuna possibile malinconia.
Una possibile traduzione della prima strofa è la seguente:
Fratello, sorella, madre, padre figlio e figlia muoiono ugualmene
Vediamo la barca sbattuta dalle onde, cosí è la vita di questo mondo
venerdì, febbraio 19, 2010
Cappotto di finamore
Alla fine lei non si voltó nemmeno
Il suo profilo restó oscurato dal fiore della calla
Che emergeva appena dal vaso di cristallo
Come la bocca di un bambino che sta affogando
Anche le teste decapitate delle anatre
Una per ogni posacenere erano restate
Esattamente la dove lei le aveva lasciate
Si mosse per afferrare le chiavi le squame
Scivolarono appena sulla lama piantata nella crepa del tinello
Non avevo piú abbastanza saliva
Per fumare un'altra sigaretta
Indossava scarpe di scarabeo i suoi piedi erano cuoriformi
Il neon del palazzo dirimpetto disegnava sul suo cappotto di cammello
RISTORANTE CINESE KUNMING
Pensavo al suo seno come a una lattina di pesche scriroppate
Da lasciare per anni nella dispensa del ricordo.
genseki
Girasole
Sempre ho sognato di tradurre
Il girasole
Girasole
La viaggiatrice che aveva attraversato le Halles nel crepuscolo dell'estate
Camminava in punta di pedi
La disperazione trascinava per il cielo i gicheri bellissimi
La borsetta conteneva la fiala dei sali mio sogno
Sali che solo la madrina di Dio aveva fino ad allora respirato
Come bruma si dispiegavano i torpori
Nel Cane Fumatore
Dove erano appena entrati pro e contro
La ragazza la si poteva appena scorgere a sghimbescio
Essere pareva nunzia del salnitro
O della curva nera su bianco che diciamo pensiero
Poco a poco si accendevano i lampioni negli ippocastani
La Dama senza ombra si era inginocchiata sul Pont-au-Change
Rue Git-le-Coeur non erano piú gli stessi
Gli impegni notturni erano infine mantenuti
I piccioni viaggiatori i baci d scorta
Confluivano in seno all'incognita beltá
Come dardi sotto il crespo dei significati perfetti
Una fattoria prosperava in piena Parigi
Le sue finestre davano sulla via lattea
Nessuno piú vi abitava a causa di coloro che la frequentavano
Tutti lo sapevano che erano piú fedeli di coloro che la infestavano
Alcuni come questa donna sembra che nuotino
E nell'amore c'è posto per un po' della loro sostanza
Che li interiorizza
Nessun potere sensoriale si sta facendo beffe di me
Eppure il grillo che cantava nella chioma cinerina
Una sera accanto alla statua di Étienne Marcel
M ha strizzato l'occhio con complicitá
Ecco che passa m'ha detto André Breton
André Breton
da "Clair de terre"
Trad. genseki
giovedì, febbraio 18, 2010
Cuori di primavera
la gran coltre frondosa di tutte le primavere
Una primavera per ogni bacio
Un'ala per ogni primavera
Era tutto un tramestio di frulli e spinte
Gli aceri cercavano un varco verso il sole
Le graminacee come raggi
Saettavano tra le scure foglie dell'edera
verso la processione dei cuori
Con un panno giallo sfregavo i ricordi
Li collocavo in ordine di primavera
Tutte le primavere avevano almeno un cuore
Alcune ne avevano piú di uno
Alcuni cuori erano sfregiati dal peso del risentimento
Altri dall'oscuritá del loro stesso sangue
La processione dei cuori la illuminavano
Ceri di menta e buttafuochi di bronzo
Cuore per cuore primavera per primavera
Il suo cuore sanguinante lui lo reggeva in una mano
Avvolto in una coroncina fosforescente
Il cuore di sua madre era trafitto da un ramo appuntito di fusaria
Le gocce di sangue si confondevano
Con quegli stupidi fiorellini rossi
Anche il suo petto dava latte di sangue
Da tutti quei forellini di rubino
Si fissavano con occhi lampeggianti
Come lampade al neon tra le gemme dei carpini
Sotto quei raggi scorrevano le primavere
Passavano i cuori e i grandi mantelli
I fastelli di belladonna e le salamandre
E tutti i dolori che erano piú di sette
Da maggio a maggio
Fino a dopo autunno
Fino alla croce di ghiaccio di gennaio.
genseki