Questa è la prima parte di un documentario sulla vita di Cesar Vallejo. Il post precedente è il seguito del racconto Paco Yunque
martedì, ottobre 07, 2008
Paco Yunque
Farina disse a Paco Yunque:
Tuo papa non c'ha il grano?
Paco Yunque ci pensò su e si ricordó di aver visto una volta sua mamma con qualche peseta in mano e disse a Farina:
Anche mia mamma c'ha il grano.
Quanto? - chiese Farina.
Anche quattro peseta.
Farina disse al maestro a voce alta:
Paco Yunque dice che anche sua mamma c'ha i soldi.
Bugia! - rispose Umberto Grieve – Paco Yunque dice le bugie, sua mama fa la serva a lla mia e non c'ha niente.
Il professre prese il gesso e si mise a scrivere alla lavagna dando le spalle ai bambini.
Umberto Grieve, aprofittando del fatto di non esssere visto dal professore, fece un saltó, diede uno strattone ai capelli di Paco e ritornó di gran carriera al suo banco. Paco Yunque si mise a piangere.
Che cosa succede – disse il professore, girandosi per vedere quello che succedeva.
Paco Farina disse:ç
Grieve gli ha tirato i capelli, signor maestro.
Nossignore – disse Grieve -. Non sono stato io. Se non mi sono mosso!
Bene, bene! - Disse il maestro - Silenzio! Stia zitto Paco Yunque! Silenzio
Continuó a scrivere sulla lavagna e poi chiese a Grieve:
A tirarlo fuori dell'acqua, che cosa gli capita al pesce?
Se en va a vivere nel mio salotto – rispose Grieve.
E i bambini giù a ridere di 'sto Grieve che non sapeva un tubo. Paensava solo a casa sua, al suo salotto, al suo papá e alla sua grana. Diceva sempre fesserie.
Vediamo un po', Paco Yunque -, disse il professore – Che cosa capita al pesce se lo tiriamo fuori dall'acqua?
Paco Yunque, che stava ancora un po' piangendo per lo strattone ai capelli che gli aveva dato Grieve, ripeté tutto d'un fiato quello che aveva detto il professore:
Fuori dall'acqua i pesci muoiono perché gli manca l'aria.
Esatto! Diceva il maestro -, molto bene.
Si rimise a scrivere alla lavagna.
Umberto Grieve colse l'occasione un'altra volta e andó a dare un pugno in bocca a Paco Farina, poi con un salto tornó al suo posto. Farina invece di mettersi a piangere come Paco Yunque disse ad alta voce al maestro:
Signor maestro, Umberto Grieve mi ha appena picchiato!
È cosí Signore! È proprio cosí - dicevano i bambini tutti insieme.
Un brusio terribile cresceva nell'aula.
Il maestro diede un pugno sulla cattedra e disse:
Silenzio!
Nell'aula si fece silenzio e ogni alunn stava nel suo banco serio e ben diritto, guardando ansiosamente il maestro. Questi sono i casini dell'Umberto Grieve! Ecco quello che capitava per colpa sua! Stiamo a vedere adesso come va a finire con il mestro che era tutto rosso di rabbia e per colpa di quel Grieve!
Che caos è questo ? - chiese il maestro a Paco Farina.
Paco Farina, con gli occhi brillanti di rabbia diceva:
Umberto Grieve mi ha dato un pugno e io non gli ho fatto niente.
È cosí, Grieve?
Nossignore – disse Umberto Greieve -. -Non lo ho picchiato io.
Il maestro guardó tutti gli alunni sena sapere che pesci pigliare- Chi dei due diceva la veritá? Farina o Grieve?
Chi lo ha visto? Chiese il maestro a Farina.
Tuttti, Signor Maestro? Anche Paco Yunque lo ha visto.
È vero quello che dice Farina? Chiese il maestro a Yunque.
Paco Yunque guardó Umberto Grieve e non osó ripspondere, perché se diceva di si, Umbertino lo avrebbe picchiato all`uscita. Yunque non disse niente e abasso il capo.
Farina disse:
Yunque non dice niente, Signor maestro, perché Umberto Grieve lo picchia, perché è il suo servo e vive in casa sua.
Il maestro chiese agli altri bambini:
Chi altri ha visto quello che dice Farina?
Io signor Maestro! Io! Io!
Il maestro tornó a domandare a Grieve.
Allora è proprio cosí, ha picchiato Farina?
No, Signor Maestro, non che non l'ho picchiato.
Attento a mentire Grieve, Un bambino perbene non deve dire le bugie!
No, Signore, non l'ho picchiato.
Va bene, Le credi, so che Lei non dice bugie, mai. Bene. Peró stia attento da ora in poi.
Il maestro si mise a passeggiare, pensoso, e tutti gli alunni continuavano circospetti e diritti nei loro banchi.
Paco Farino borbottava come se volesse mettersi a piangere:
Non lo castigano perché suo papá è ricco, Lo vado a dire alla mamma.
Il maestro udí e si piantó incollerito davanti a Farina dicendogli ad alta voce:
Ma cosa dice. Umberto Grieve è un buon alunno. Non dice le bugie, non disturba nessuno. Per questo non lo punisco. Qui tutti i bambini sono uguali, figli di ricchi e figli di poveri. Castigo anche i figli dei ricchi. Se ripete queste cose lo castigheró con due ore di reclusione. Mi ha capito bene?
Paco Farina e Paco Yunque curvarono la schiena. Sapevano tutti e due che Umberto Grieve gli aveva picchiati e che era un gran bugiardo.
Il maestro riprese a scrivere alla lavagna.
Perché non hai detto al maestro che Umberto Grieve mi ha picchiato?
Perché cosí poi mi picchia.
Perché non lo dici a tua mamma?
Cosí mi picchia anche lei e la padrona si irrita.
Mentre il maestro scriveva alla lavagna. Umberto Grieve faceva i disegnini sul quaderno.
Paco Yunque stava pensando a sua mamma. Poi si ricordo della padrona e di Umbertino. Lo avrebbero picchiato a casa? Yunque guardava gli altri bambini che non picchiavano né Yunque né Farina e nessuna altro e non volevano neppure trascinarlo al loro banco come voleva fare Umbertino. Perché Umbertino faceva cosí con lui?
giovedì, ottobre 02, 2008
Storia della calligrafia cinese - Wang Xizhi (303 - 379)
Discendendente da una famiglia nobile del Nord della Cina, devota al taoismo, non giunse mai ad occupare cariche importanti nell'amministrazione, tutte le sue ambizioni le poneva nell'arte.
La sua carriera professionale la inizió nella grande biblioteca imperiale ma viaggio molto, anche in luoghi remoti dell'impero, per svolgere missioni e compiere incarichi di non soverchia importanza.
Alla vita nei grandi centri amministrativi e del potere preferì sempre la calma della natura.
Nel 355 si dimise da funzionario per stabilirsi nella cittá di Kuaiji dove aveva svolto il suo ultimo incarico.Non ci sono giunti esemplari originali della sua calligrafia, le copie in pietra, tuttavia, furono modelli sublimi per secoli.
Il padre lo avvió a questa disciplina, egli con gli zii era calligrafo e uomo di stato. Undici generazioni della famiglia Wang si distinsero nell'amministrazione e nella calligrafia.
Wang Xizhi e il suo circolo di amici erano soliti discutere di temi inerenti al buddismo e al taoismo, comporre poesie, musica e realizzare calligrafie, immersi nella natura.
Il circolo passó alla storia grazie a una calligrafia che Wang Xizhi realizzó alla fine di uno di questi incontri nel "Padiglione delle Orchidee", in essa narra come il gruppo di amici seduti sulle due sponde di un ruscelletto discutessero di filosofia. Avevano deciso che chi fosse capace di cogliere una delle coppe di vino che le camare lasciavano in balia della corrente su foglie di loto dovesse comporre una poesia.
Le principali opere di Wang Xizhi sono:
Shi Qu Tie di 23 fogli che reca il sigillo di approvazione imperiale dell'imperatore Taizong
Yue Yi Lun
Huang Jing Jing
Dong Fang Shi Hu Zan
Lang Ting Shu calligrafia del padiglione delle peonie.
A cura di genseki
mercoledì, ottobre 01, 2008
Gramsci e l'islam II
Assenza di un clero regolare che serva da trait-d'union tra l'Islam teorico e le credenze popolari. Bisognerebbe studiare bene il tipo di organizzazione ecclesiastica dell'Islam e l'importanza culturale delle universitá teologiche (come quella del Cairo) e dei dottori. Il distacco trai intellettuali e popolo deve essere molto grande, specialmente in certe zone del mondo musulmano: cosí è spiegabile che le tendenze politeiste del folklore rinascano e cerchino di adattarsi al quadro generale del monoteismo maomettano ...
Il fenomeno dei santi è specifico dell'Africa settentrionale ma ha una certa diffusione anche in altre zone. Esso ha la sua ragione di essere nel bisogno (esistente anche nel Cristianesimo) popolare di trovare intermediari tra la divinitá e gli uomini; gli intellettuali (sacerdoti o dottori) avrebbero dovuto mantenere questo legame attraverso i libri sacri; ma tal forma di organizzazione religiosa tende a diventare razionalistica e intelletualistica (cfr. il protestantesimo che ha avuto questa linea di sviluppo) , mentre il popolo primitivo tende a un misticismo prprio, rappresentato dall'unione con la divinitá con la mediazione dei santi (il protestantesimo non ha e non puó avere santi e miracoli); il legame tra gli intellettuali dell'Islam e il popolo divenne solo il “fanatismo” che non puó essere che momentaneo, limitato, ma che accumula masse psichiche di emozioni e di impulsi che si prolungano in tempi anche normali. (Il cattolicesimo agonizza per questa ragione: che non puó creare, periodicamente, come nel passato, ondate di fanatismo; negli ultimi anni, dopo la guerra, ha trovato dei sostituti, le cerimonie collettive eucaristiche che si svolgono con splendore fiabesco e suscitano relativamente un certo fanatismo: anche prima della guerra qualche cosa di simile suscitavano, ma in piccolo, su scala localissima, le così dette missioni, la cui attivitá culminava nell'erezione di un'immensa croce con scene violente di penitenza, ecc.)
Questo movimento nuovo dell'Islam è il sufismo. I santi musulmani sono uomini privilegiati che possono, per speciale favore entrare in contatto con Dio, acquistando una perenne virtù miracolosa e la capacitá di risolvere i problemi e i dubbi teologici della ragione e della coscienza. Il sufismo organizzatosi a sistema de esternatosi nelle scuole sufiche e nelle confraternite sufiche e nelle confraternite religiose, sviluppó una vera teoria della santitá e fissó una vera gerarchia di santi. L'agiografia popolare è più semplice di quella sufica. Sono santi per il popolo i piú celebri fondatori o capi di confraternite religiose; ma anche uno sconosciuto, un viandante che si fermi in una localitá a compiere opere di ascetismo e benefici portentosi a favore delle popolazioni circostanti, può essere proclamato santo dalla pubblica opinione, Molti santi ricordano i vecchi idoli delle relligioni vinte dall'Islam.
Quaderno 5 (IX) 46 bis
martedì, settembre 30, 2008
Calligrafia
Il giorno 19 del secondo mese dell'era Dali ho avuto occasione di assistere, presso l'intendente Yuan Chui a Guizhou, alla rappresentazione della "Danza della Spada" eseguita dalla dodicesima Signora Li originaria di Linying. Pieno di ammirazione per la alta qualitá della sua arte gli chiesi chi fosse stato il suo maestro. Mi rispose: - sono discepola della Signora Gongsun. Mi ricordai, allora, che nel terzo anno dell'era Kaiyuan, quando ero ancora bambino, vidi danzare la Signora Gongsun a Yancheng. I suoi movimenti, gli ampi mulinelli si inanellavano in una metamorfosi continua caratterizzata da un ritmo virile e involvente e questo faceva di lei la migliore danzatrice della sua epoca. Tra tutte le danzatrici delle due scuole di corte Yichun e Liyuan, fin dai Tempi del Grande Imperatore Saggio e del Grande Conquistatore, non si faceva che parlare di lei, si discuteva slo della sua arte e della sua bellezza. Adesso che ho i capelli bianchi e che anche la sua discepola non è più giovanissima, il nostro incontro mi ha rivelato che la grande tradizione comporta un solo lignaggio.
Emozionato per l'evocazione del tempo passato ho composto il "Canto della danza della spada".Un tempo Zhang Xu eccelleva nella calligrafia; avendo ammirato a piú riprese la "Danza della spada di Xiha" eseguita dalla signora Gongsun, la sua scrittura proggredí enormemente. Possiamo immaginare in che modo il suo stile emozionante e potente si sia ispirato all'arte della grande danzatrice.
Du Fu
trad genseki
lunedì, settembre 29, 2008
Lankavatara Sutra
La parola e la Realtá
Le parole e i discorsi sono prodotti dalla legge di causa e di effetto e sono condizionati reciprocamente da essa – non possono esprimere la Realtá. Anzi, nella Realtá non ci sono differenze che possano essere discriminate e non c'è niente che possa essesre proclamato o affermato relativamente ad essa. La Realtá è uno stato di estasi sublime, non è uno stato di discriminazione e di parola e non si puó entrare in questo stato per mezzo di semplici dichiarazioni intorno ad esso.
Le parole e i discorsi sono prodotti dalla legge di causa e di effetto e sono condizionati reciprocamente da essa – non possono esprimere la Realtá. Anzi, nella Realtá non ci sono differenze che possano essere discriminate e non c'è niente che possa essesre proclamato o affermato relativamente ad essa. La Realtá è uno stato di estasi sublime, non è uno stato di discriminazione e di parola e non si puó entrare in questo stato per mezzo di semplici dichiarazioni intorno ad esso.
*
venerdì, settembre 26, 2008
Frammento della consapevolezza dell'Uno
Riposavano così un corpo su di un altro
Minerali e unghie, branchie e capelli misurandosi riposavano
Sopprattutto là dove apparivano le lande delle crepe
E la densitá dei corpi rendeva massima la distanza
Riposavano cosí nel corpo a corpo, mano per occhio
Dente per coltello avvolti nell'alone dei fiati
poteva capitare che generassero campi di piume
per il resto riposavano uno sull'altro
ogni abito sul suo monaco, ogni piaga a portata del suo dito
ogni crepa nella sua guaina, ogni corpo disabitato
accanto al fagottino dei suoi panni.
Minerali e unghie, branchie e capelli misurandosi riposavano
Sopprattutto là dove apparivano le lande delle crepe
E la densitá dei corpi rendeva massima la distanza
Riposavano cosí nel corpo a corpo, mano per occhio
Dente per coltello avvolti nell'alone dei fiati
poteva capitare che generassero campi di piume
per il resto riposavano uno sull'altro
ogni abito sul suo monaco, ogni piaga a portata del suo dito
ogni crepa nella sua guaina, ogni corpo disabitato
accanto al fagottino dei suoi panni.
giovedì, settembre 25, 2008
L'eone dogmatico IV
Lucian Blaga
La dialettica
La dialettica antica, di Eraclito è troppo metaforica, quella diProclo troppo mitologica per servire da modelli decisivi di questo specie di pensiero: sceglieremo, invece, alcuni esempi del filosofo che portó il pensiero dialettico ad un livello tale che difficilmente sará possibile che possa proggredire ulteriormente. ... Solo in Hegel appare la dialettica per quanto possibile libera da contaminazione con altre forme di pensieri e pienamente cristallizzata dal punto di vista metodologico. ...
Quello che interessa soprattutto in uno studio dedicato al pensiero dogmatico è l'idea hegeliana di concetto concreto. Il pensiero dialettico opera, secondo Hegel, con concetti concreti. Cercare di determinare questi concetti significa, in fondo, esporre proprio il metodo dialettico. I concetti concreti, espressione espressione sommaria de azzeccata di un metodo, non sono concetti nel senso classico della parola. Rappresentano un tipo di costruzione sui generis, di carattere centaurico, ibrido.
Il “concetto concreto” è un costrutto che si avvale tanto dei privilegi dell'astrazione come dei vantaggi della concretezza. Un esempio tra cento possibili è il concetto concreto di “divenire”, preso come concreto e considerato in tale qualitá dal punto di vista astratto-logico, acquista uno strano aspetto di tensione interna, di problemático, sfiorando l'impossibile; considerandolo più da vicino sotto l'aspetto puramente logico, si suddivide in componenti contraddittorie che si escludono reciprocamente. Lo stesso concetto concreto di “divenire”, preso come astratto e visto in questa condizione dal punto di vista “concreto”, si presenta come qualche cosa in perfetto equilibrio, libero da difetti e da qualunque tensione interna, come un tutto solidale al suo interno. Qualunque concetto concreto puó essere scomposto, dal punto di vista logico-astratto, in momenti che si oppongono, qualunque concetto concreto comporta da questo punto di vista formule antinomiche, rappresenta, nel concreto, una sintesi possibile di momenti astratti contradditori. L'antinomia inesistenza-esistenza, alla quale riducimo il concetto concreto di “divenire”, dal punto di vista astratto, è annullata nella sintesi da una totalitá concreta (alla quale sul piano concettuale corrisponde proprio il concetto di “divenire”). Il concetto concreto, come voleva Hegel e come deve essere in ogni sistema dialettico, non si identifica completamente né con il momento astratto né con quello concreto intuitivo; è una formazione per sé, intermedia, o, se così vogliamo chiamarla: centaurica. Un cosiddetto concetto concreto, riflesso nello specchio del logico astratto, si presenta come antinomia; riflesso nel concreto si presenta come sintesi di momenti escludentisi: “Non sarebbe difficile, dice Hegel, mostrare l'unitá di nulla e di esistenza in qualunque atto o pensiero... A proposito dell'esistenza e del nulla si deve affermare che nulla v'é nel cielo e sulla terra che non contenga esistenza e inesistenza” Perché tutto è divenire. Ció che logicamente pare impossibile, antinomico, paradossale, risulta possibile e sintetico una volta concretamente realizzato. Il concreto è il gran campo in cui si risolve qualunque paradosso dialettico. (unitá dei contrari).
Comparato con i paradossi dialettici, il paradosso dogmatico presenta una natura distinta. L'antinomia dogmatica si differenzia da quella dialettica per il fatto che esclude la sintesi nel concreto. Mentre la sintesi dialettica puó essere conosciuta concretamente, la sintesi dogmatico è in contrasto con il concreto. Tutta la struttura, articolazione e configurazione del concreto rigetta l'accordo con l'antinomia dogmatica. Il concreto che, per il paradosso dialettico costituisce il campo supremo della giustificazione si oppone, invece, al paradosso dogmatico. La sintesi antinomica può essere perfettamente concepita con l'aiuto del concreto: “inesistenza+esistenza=
divenire”. Lo stesso concreto, tuttavia, si oppone in modo definitivo e categorico a una sintesi di contenuto come questa: “una sostanza puó perdere sostanza restando comunque integra”. I paradossi dogmatici non sono tali solo sul piano logico come quelli dialettici ma anche sul piano della concreteza. La conoscenza no offre la soluzione del paradosso dogmatico; essa postula la trascendenza.
Se le antinomie dogmatiche si potessero davvero sovrapporre a quelle dialettiche, ci sarebbero tanti dogmi quanti concetti concreti ci sono, poiché ogni concetto concreto ammette, per Hegel, formulazioni antinomiche. Tuttavia conosciamo soloun numero ridotto di dogmi (nel senso che abbiamo dato a questa parola). Solo i pensatori che hanno edificato i propri sistemi sullo scheletro della dialettica possono sostenere che il dogma è una sorta di dialettica embrionaria, un principio, una prima fase. I due tipi di pensiero differiscono essenzialmente. La formulazione dogmatica è una categoria a parte. La relazione della dialettica con ilconcreto è completamente distinta da quella dogmatica.
...
La sintesi dogmatica si trova in radicale disaccordo e fisso con il concreto, non per il fatto di riferirsi alla trascendenza ma indipendentemente da questo. Ci sono tante tesi metafisiche che si riferiscono alla trascendenza, senza per questo essere dogmatiche, ovvero in contrasto con il concreto. I concetti usati nei dogmi, sono concetti comuni, con corrispondenze concrete o pensabili concretamente nell'immaginazione (“persona”, “essere”, “sostanza”, “numero”, “natura”, “essenza”, etc.); il dogma distorce le relazioni logiche inerenti a questo concetti, in modo tale che risulta impossibile una sintesi nel campo del concreto; per questo si postula che la sintesi abbia luogo nella trascendenza.
traduzione e adattamento di genseki
mercoledì, settembre 24, 2008
Furu ike ya
Furu ike ya
Kawazu tobikomu
Mizu no oto
*
Antico stagno
Vi salta una rana
Rumore d'acqua.
Basho
***
Furu ike ya
Kawazu oiyoku
Ochiba kana
*
Antico stagno
Una rana si allontana
Cade una foglia
Buson
***
Furu ike ya
Sonogi tobikomu
Kaeru nashi
*
Antico stagno
Da allora non salta piú
Nessuna rana
Bosai
***
Ara ike ya
Kawazu tobikomu
Oto mo nashi.
*
Nel nuovo stagno
Salta una rana
Non fa rumore´
Ryokan
Kawazu tobikomu
Mizu no oto
*
Antico stagno
Vi salta una rana
Rumore d'acqua.
Basho
***
Furu ike ya
Kawazu oiyoku
Ochiba kana
*
Antico stagno
Una rana si allontana
Cade una foglia
Buson
***
Furu ike ya
Sonogi tobikomu
Kaeru nashi
*
Antico stagno
Da allora non salta piú
Nessuna rana
Bosai
***
Ara ike ya
Kawazu tobikomu
Oto mo nashi.
*
Nel nuovo stagno
Salta una rana
Non fa rumore´
Ryokan
martedì, settembre 23, 2008
Alla fine mi lasciai cadere
Alla fine mi lasciai cadere
e il mare era nero
e la notte era mare
e il sospiro delle fronde
di tutte le foreste
era la carezza di mia madre
tra la schiuma salina
e il profumo immenso
delle rose
l'abisso d'acqua
era notte
la notte acqua
dall'altro lato
non c'era piú niente
*
22/09/08
23:30:35
e il mare era nero
e la notte era mare
e il sospiro delle fronde
di tutte le foreste
era la carezza di mia madre
tra la schiuma salina
e il profumo immenso
delle rose
l'abisso d'acqua
era notte
la notte acqua
dall'altro lato
non c'era piú niente
*
22/09/08
23:30:35
lunedì, settembre 22, 2008
Le visecere del tramonto, altri frammenti
Le viscere del tramonto, altri frammenti
formano questo romanzo giovanile
Dove una parte importante è lasciata agli agrumi
Al loro sostituire l'acqua per uno sguardo assettato.
Il mio allora era uno sguardo diverso
Dal tuo e anche dal mio come ferito dalle schegge del tramonto
Condividevamo la compassione per i picoli cadaveri dei limoni
Stelle mancate tra l'erba che gli accoglieva
Come fosse notte, secchi e raggrinziti come facce di neonati
E ci rimanevano solo le spine
Spine di limone come ghirlande coagulate
A ferire i tuoi occhi, appunto, e i miei spenti,
come fossero schegge di tramonto.
*
Avevo dimenticato allora cosa fosse piangere
All'accartocciarsi inopinato e improvviso
Di una foglia di limone
Una foglia, non una fiamma
Come un lampo, un tempo verde,
Si rivelava in un istante volto
D'infante morente.
*
Poi furono le stelle stremate a declinare
Come grandine sulle arterie dei tramonti.
*
21/09/08
22:50:42
formano questo romanzo giovanile
Dove una parte importante è lasciata agli agrumi
Al loro sostituire l'acqua per uno sguardo assettato.
Il mio allora era uno sguardo diverso
Dal tuo e anche dal mio come ferito dalle schegge del tramonto
Condividevamo la compassione per i picoli cadaveri dei limoni
Stelle mancate tra l'erba che gli accoglieva
Come fosse notte, secchi e raggrinziti come facce di neonati
E ci rimanevano solo le spine
Spine di limone come ghirlande coagulate
A ferire i tuoi occhi, appunto, e i miei spenti,
come fossero schegge di tramonto.
*
Avevo dimenticato allora cosa fosse piangere
All'accartocciarsi inopinato e improvviso
Di una foglia di limone
Una foglia, non una fiamma
Come un lampo, un tempo verde,
Si rivelava in un istante volto
D'infante morente.
*
Poi furono le stelle stremate a declinare
Come grandine sulle arterie dei tramonti.
*
21/09/08
22:50:42
giovedì, settembre 18, 2008
Nel ventre del verbo
Nel ventre del verbo fummo
tessuti di fiato da morula a feto
fissati in volute di sensi a cascata
di suoni salivali saziato ogni intersitizio
il verbo gonfiava le gote di vento
e sputava - il verbo - tutti questi pulcini
Noi, gli altri io incatenati per il collo
Da una parola che gocciolova senso
Sulle corde vocali dell'intento.
tessuti di fiato da morula a feto
fissati in volute di sensi a cascata
di suoni salivali saziato ogni intersitizio
il verbo gonfiava le gote di vento
e sputava - il verbo - tutti questi pulcini
Noi, gli altri io incatenati per il collo
Da una parola che gocciolova senso
Sulle corde vocali dell'intento.
mercoledì, settembre 17, 2008
Benché stringesse le nocche
Benché strngesse le nocche
Fini a farsi bianche e gli infissi
costretti nelle feritoie
si lamentassero striduli
le ginocchia non si rifiutarono di sorreggerlo
nel passo dopo passo del dolore
disperso come un aroma tra costola e costola.
Ma non erano nuvole?
Avvolte variopinte alle pupille
Seccavano le lacrime insipide
Al tatto ovattate.
L'aroma della mente si fece insidia
pizzicando le squame dell'ossigeno
Prima che potesse vedere attraverso
Il suo sguardo.
*
Finalmente pensó invertebrato
Poi lisca luminosa
Lingua succhiata dal salino
Sciroppo bava bevve
E fu pesce
Nell'astrazione dell'azimut.
*
A ogni spina trafisse una foglia
Secernere chitina fu l'oggetto
Dei buoni propositi serali
Mentre goccia dopo goccia
La clorofilla residua si convertiva
In collagene, in verbena
In cartilagine.
*
Fini a farsi bianche e gli infissi
costretti nelle feritoie
si lamentassero striduli
le ginocchia non si rifiutarono di sorreggerlo
nel passo dopo passo del dolore
disperso come un aroma tra costola e costola.
Ma non erano nuvole?
Avvolte variopinte alle pupille
Seccavano le lacrime insipide
Al tatto ovattate.
L'aroma della mente si fece insidia
pizzicando le squame dell'ossigeno
Prima che potesse vedere attraverso
Il suo sguardo.
*
Finalmente pensó invertebrato
Poi lisca luminosa
Lingua succhiata dal salino
Sciroppo bava bevve
E fu pesce
Nell'astrazione dell'azimut.
*
A ogni spina trafisse una foglia
Secernere chitina fu l'oggetto
Dei buoni propositi serali
Mentre goccia dopo goccia
La clorofilla residua si convertiva
In collagene, in verbena
In cartilagine.
*
lunedì, settembre 15, 2008
Poesie di Maresa
Delle meraviglie dei mondi
il picco più alto, sulla cima innevata,
dove urla il fragore senza suono, lì,
sul ponte che unisce gli emisferi,
sale la dolcezza dell'incontro,
diavoli e diavoli rosso porpora
in un crescendo di manichee lo sguardo
che li inquadra fuori dal sogno,
finalmente viventi.
*
eccomi nella terra,
dorme la
tartaruga dal guscio giallo,
di case la città è piena,
verdi, gialle, rosa,
come un pensiero in embrione.
*
Dorme tranquillo il canto,
aspetto che si risvegli,
barcollo come un giovane barbagianni
venuto alla luce.
il picco più alto, sulla cima innevata,
dove urla il fragore senza suono, lì,
sul ponte che unisce gli emisferi,
sale la dolcezza dell'incontro,
diavoli e diavoli rosso porpora
in un crescendo di manichee lo sguardo
che li inquadra fuori dal sogno,
finalmente viventi.
*
eccomi nella terra,
dorme la
tartaruga dal guscio giallo,
di case la città è piena,
verdi, gialle, rosa,
come un pensiero in embrione.
*
Dorme tranquillo il canto,
aspetto che si risvegli,
barcollo come un giovane barbagianni
venuto alla luce.
martedì, settembre 09, 2008
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