mercoledì, luglio 19, 2023

Jean Grosjean

Elia 

Cap III

Trad Pietro


Elia abitava sulla sponda di un torrente in una valle perduta, Vi tro

vava dei granelli di erba e bacche di arbusti, compartiva co con i corvi quello che rubacchiavano nelle fattorie. Beveva l’acqua del torrente.

L’acqua cantava tra le pietre che levigava- L’acque porta via nella sua corsa chiazze di luce strappate alla luce del cielo, ma la trasparenza permetteva di vedere l’estasi della sabbia in fondo all’acqua. Elia dormiva in una cavità della roccia su di una vasca limitata dagli ontani ove anche il torrente sembrava dormire.

Al mattino si immergeva in questa vasca.

La luce spuntava tra gli ontani. Elia si inchinava con i giunchi per ammirare la sua limpidezza nell’onda tra gli ontani. La luce che era tranquilla sul fondo del cielo tremava sul fondo della vasca. Quando l’alba invadeva il cielo, l’acqua si illuminava come un’anima. I pioppi si illuminavano. La freschezza faceva rabbrividire l’erba. Elia risaliva la sponda guardando la luna pallida che si dissolveva nel cielo pallido. Un volo d’uccelli scivolava sul limite del cielo.

Le nuvole passeggiavano ancora le loro ombre sulle ondulazioni del suolo. Talvolta il vento si riposava sul dorso dei boschi e il sole restava velato. Le foglie appena respiravano. La felicità del momento restava ai margini del tempo

Presto l’estate regnò senza. Assunse lo stilo delle grandi estati della storia. Il sole evidenziava le ombre delle rocce. L’erba si disfaceva in polvere. L’aria era stagnante. Elia cercava rifugio in un gerbido. Una rosa altea appassiva contro un vecchio albero. Questo era il prezzo del sole. Questo era il prezzo della pace. L’uccello tacque. Quieto l’insetto. L’abisso verticale del cielo.


Jean Grosjean

L'Ironie Christique



L’universo è ordito, costantemente, dal movimento del linguaggio, cioè da una forma di audacia. Siccome non si può sapere come finirà una frase, non si può nemmeno sapere dove va la storia del mondo. Giovanni solo ci dice che è viva, perché è nel linguaggio che si trova la vita. Se Dio fosse silenzioso sarebbe soltanto sacro. Noi dimoreremmo nella notte dell’adorazione proprio come i pagani. Il nostro Dio non si concepisce senza linguaggio, il linguaggio è vitale nel nostro Dio. E siccome il linguaggio che fa esistere l’universo è vivo e vitale, possiamo dire che il divenire dell’universo è qualche cosa di quanto il Dio vivente osa dire a se stesso.

Una vita muta è soltanto un’ombra di vita mentre la vita è luce. Il gesto vitale che è presso Dio lo slancio del linguaggio è quindi come la lampada con la quale Dio illumina la propria trasparenza. E se questa luce pura che l’anima del linguaggio illumina Dio, essa brilla per cosí dire nel mezzo di tutto ciò che non pe Dio. Irradia la luce di Dio e nulla le impedisce di irradiare le tenebre, ma le tenebre non la afferrano. Può forse l’oscurità del vuoto conservare qualche scintilla di un raggio che la attraversa?

Non è forse necessario che la luce inventi nella notte le polveri erratiche disseminate dal suo passaggio? Le tenebre, infatti, sembrano tanto incapaci di comprenderla quanto a conservarla o a combatterla. Giovanni però non si imbuca in una teoria, La sua contemplazione diffida di ciò che è fisso. Quello che dice è storico, Immediatamente dopo l’aneddoto eterno della vita interiore di Dio, egli racconta la missione del suo primo maestro chiamato Giovanni, come lui.

L’infanzia di questo Giovanni non ha interesse per lui come non ne ha la sua o di quella del Messia. … I millenni sono soltanto una sera. Vi è una sola notte, più o meno lunare, tra la luce di Dio e la luce di Dio nel mondo. Vi è uno chiamato Giovanni che è venuto per dare testimonianza della luce, in modo tale che, grazie a lui, ogni essere umano possa confidare in essa. Essere umano, infatti, segnica essere più linguaggio che il resto del mando, più ayttenti a qualche altrui, come il linguaggio di Dio rischia davanti a Dio perché ha fiducia in Dio. lABC del linguaggio come anche quello della vita che è la sua natura pe la fiducia. Noi, però no siamo il nostro linguaggio, è il linguaggio che viene dall’alto che inventa la nostra esistenza.


Trad Pietro

lunedì, luglio 17, 2023

Itinerario della mente in Dio

Giovanni Bonaventura Fidanza

Trad Pietro


Intendi, dunque e considera che quel bene (Dio) è ottimo in tutto e non si può concepire nulla che sia migliore di esso. E questo bene è tale c¡he non può essere pensato come non esistente, dato che è  assolutamente meglio e l’esistere che il non esistere, Inoltre è un bene tale che non può esser concepito che come Uno e Trino.

Il bene, in effetti è diffusivo per virtù propria; il sommo bene  è sommamente diffusivo per virtù propria. Ma la diffusione non potrebbe  essere somma, se non fosse contemporaneamente attuale e intrinseca, sostanziale e ipostatica, naturale e volontaria, liberale e necessaria, senza mancanza e perfetta. Pertanto, se non esistesse una produzione attua e consustanziale, di durata eterna, nel sommo Bene, e se non sorgesse una persona tanto nobile come quella che la produce in quanto ispirazione e generazione… in modo tale che vi sia un amato e un colmato, un generati e un ispirato, ovvero: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, allora non potrebbe esistere il Sommo bene perché non potrebbe diffondersi sommamente… Il Sommo Bene non sarebbe il Sommo se mancasse la diffusione somma. Per tanto, se con occhio della mente puoi cointuire la purezza di quella Bontà, che è l’atto puro del Principio che caritativamente ama con amore gratuito, con amore dovuto e con amore composto da ambedue; che è la diffusione pienissima come natura e come volontà; che è la diffusione secondo il verbo in cui tutte le cose son dette, e secondo il dono in cui si donano tutti gli altri doni.


Capirai che per la somma comunicabilità del bene è necessario che esista la Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, persone che per essere sommamente buone, sono necessariamente sommamente comunicabili: per essere sommamente comunicabili, sono sommamente consustanziali, per essere sommamente consustanziali, sono sommamente configurabili nella somiglianza; per essere comunicabili, consustanziali e configurabili in sommo grado, sono sommamente coagulai, e quindi, sommamente coeterne; proprietà dalle quali risulta la somma cointimità grazie alla quale non solo una persona è necessariamente in un’altra…ma anche perché l’una opera con l’atra per l’identità della sostanza, della virtù e dell’operazione della stessa beatissima Trinità

Jean Grosjean 

L’ironie christique



Giovanni comincia dall’inizio e, come Mosè. Risale all’origine. Che  progresso, tuttavia, nell’interiorità. Mosè parte dalla creazione del mondo: Dapprima Dio ha fatto il cielo e la terra. Egli non immagina nessun avvenimento prima di questa opera di Dio. 

Ora, l’esistenza del mondo è davvero fondamentale* Il mondo è impastato di apparenze meravigliose, ma in parte ingannevoli, di una terribile crudeltà di cui ci si attende che siano anche un po’ illusorie.


Mosè quando vuole descrivere la nascita del mondo è obbligato a dire: Dio disse, perché, a rigore, dio può impastare una materia, ma come ha fatto esistere tale materia? Dio può mettere ordine nel caos, illuminarlo, ma la luce, l’ordine e persino il caos in che modo esistono Dunque Dio avrebbe parlato.

Il pensiero di Mosè raggiunge il limite. Si scontra con la parete di un atto creatore come inizio assoluto, come qualche cosa di opaco.

Con Giovanni il velo del tempio si rompe, lo sguardo affonda nel santuario.

Se Dio ha parlato è perché per prima cosa Dio parla: al principio vi era il linguaggio.

Il linguaggio, allora è la sorgente di Dio? Dio non sarebbe, insomma, altro che parola? Giovanni precisa subito che il linguaggio era presso Dio. Se il linguaggio stava presso Dio, allora non preesiste a Dio, soltanto preesiste al mondo. Dio non è l’effetto del linguaggio sebbene il linguaggio abiti da sempre presso di Lui. Era dapprima presso Dio.Allora il linguaggio non è anteriore a Do e, tuttavia, Dio non è mai esistito senza il linguaggio. 


Considera Dio come creatore è una visione bellissima, certo, ma un po’ grossolana. Ê una visione stimolante e allo stesso tempo pericolosa, quanto si agitano gli uomini per fabbricare, agire,, o al meno darsi da fare. Perché? Perché credono oscuramente di divinizzarsi. Dimenticano che Dio non è Dio perché ha fatto il mondo, perché ha inventato qualche cosa, no. Dio è Dio perché è in conversazione, perche in Lui vi è il linguaggio.

Si potrebbe dire che prima di avere la minima intenzione di creare qualche cosa, d’immaginare il benché minimo dispiegarsi del tempo e dello spazio, Dio abbia passato il suo tempo, se mi posso permettere di dirlo a significarsi la sua stessa esistenza perché il linguaggio di Dio non aveva da dire che Dio. In effetti, se Giovanni aggiunge che questo linguaggio era Dio lo fa per dire che il linguaggio è l’atto unico di Dio e che mostra interamente Dio, Conteneva l’eccellenza e l’intensità da la stessa sorgente. Era lo stesso Dio che Dio, ma Dio in quando detto, in quanto mostrato

Dio,a llora è chi parla, ma la sua parola è chi lo ascolta. La sua parola è docile a Lui perché lui è interamente tutto ció che dice. Riflettiamo un po’ sul fatto che colui che parla e colui che ascolta sono differenti. Il linguaggio non sopprime la distanza tra di loro. Al contrario la rende sensibile, visibile, cosciente, santa. Se il Dio che parla è lo stesso Dio che ascolta, il suo linguaggio stabilisce in Lui, a causa della differenza dei ruoli, una santa distanza. Esiste, allora, in Dio, una sorta di differenza abissale, scavata e allo stesso tempo varcata dal suo stesso linguaggio. (È proprio di questa specie di abisso interno che la parola che creerá il mondo será l’eco). Un linguaggio congenito a Dio stabilisce in Dio una rottura, perché diversifica Dio in ruoli opposti che mantiene uniti proprio quella medesima opposizione che esso stabilisce, 

Immenso rischio di un linguaggio che va  dall’uno all’altro e che solo può essere altro nell’altro.

Stupefacente precarietà di un linguaggio che è soltanto un passaggio. Non un tragitto da chinarla a chi ascolta, ma trasformazione di sé. Quale parola, infatti è la stessa nella bocca di chi la proferisce e nell’orecchio di chi la raccoglie? La natura della parola è di perdersi per strada e di raggiungere il suo obiettivo solo una volta divenuta estranea alla sua fonte malgrado la fedeltà forsennata alla quale si consacra.

Si malgrado l’esattezza o la forza di chi  parla e malgrado l’attenzione o l’intelligenza di chi ascolta il linguaggio appartiene prima all’uno e poi all’altro.

Inoltre il linguaggio che parla si sforza di essere fedele all’orecchia a cui si dirige e il linguaggio ascoltato si sforza di essere fedele alla bocca che lo ha pronunciato, senza contare che chi parla è modificata da ció che dice  come chi ascolta da ciò che ode

Sebbene in Dio l’uno e l’altro coincidano, non sono una stessa cosa, cosí che il linguaggio conserva la totalità del suo rischio. Ebbene questo rischio è l’intimità di Dio perché il linguaggio era in principio presso Dio.


Pp 8-13

Trad Pietro