Che cos'è la parola assoluta? Che cosa ne è del discorso completamente terminato? Il discorso che ha esaurito in sé tutte le proprie figure storiche ed è ritornato su di sé non puó essere definitivamente considerato che come una lingua morta?
Queste sono le domande che si pone Agamben nel saggio “Sé. Assoluto, Ereignis” analizzando questi concetti nella prospettiva della Fenomenologia hegeliana e della lettura che di essa da Heidegger.
Prosegue con una citazione dalla Scienza della Logica:
“La logica esprime l'automovimento dell'idea assoluta come la parola originaria che è un profferire, ma che appena profferita svanisce inmediatamente, mentre ancora è. La idea resta, pertanto, solamente in questa autodeterminazione di percepirsi, resta nel puro pensiero, dove la differenza non consiste ancora nell'essere altro, ma che invece è e resta perfettamente trasparente a se stessa”.
Come è possibile concepire una parola originaria che una volta pronunciata, inmediatamente si dissolve? Si domanda Agamben. E continua domandandosi ancora se si puó trattare di una parola che si fa voce puramente animale, che l'uomo emette emette senza mediazione così come gli uccelli il loro canto o l'asino il suo raglio.
Egli avanza anche l'ipotesi di considerare questa parola finale come una glossolalia nel senso paolino, una parola antichissima che ha esaurito qualunque capacitá di significazione ulteriore fino a implodere, a farsi interna a se stessa, a diventare inconcepible.
Tale parola non è quella cui si riferisce Lacan quando ci domanda che cosa resta del significante che ha perduto qualsiasi significato?
C`è un testo, credo, in cui questa parola, la parola Assoluta, la parola Originaria è vissuta.
Si, è vissuta come un avvenimento, nella sfera dell'esistenza come l'esperienza cosciente della propria morte:
“A a partire da quel momento cominció un ululato che duró tre giorni, un ululato tanto atroce che non era possibile udirlo senza spaventarsi attraverso due porte. Nello stesso momento in cui aveva risposto di si a sua moglie, Ivan Ilich aveva compreso che era perduto. Che non v'era ritorno possibile che era giunta la fine, la fine di tutto e che tutto i suoi dubbi restavano irrisolti, continuavano ad essere dubbi.
“Oh, oh, oh”, gridava in varie tonalitá. Aveva cominciato gridando non voglio e aveva continuato gridando con la sola lettera O.
Questi tre giorni durante i quali il tempo non aveva significato per lui stette resistendo in quel sacco nero verso il quale lo spingeva una forza invisibile e irresistibile. Resisteva come resiste un condannato a morte nelle mani del boia, sapendo che non puó salvarsi; e ad ogni minuto che passava sentiva che nonostante tutti i suoi sforzi si avvicinava sempre di pi´´u a ció che tanto lo spaventava. Aveva la sensazione che il suo tormento derivasse dal fatto di venire spinto verso quel buco nero e ancor di più dal fatto che non poteva entrarvi senza sforzo. La causa che gli impediva di entrarvi era la convinzione che la sua vita era stata buona, questa convinzione lo tratteneva, non lo lasciava avanzare, era il peggior tormento...”
Il grido di Ivan Ilich è la sua parola Assoluta, la sua parola originaria, la parola che ha esaurito tutti i significati possibili dell'esperienza. E`il significante nel momento dell'abbandono di ogni ulteriore possibilitá di significazione. Il grido di Ivan Ilich è la vita che si fa trasparente a se stessa proprio nel momento, qui si tratta di due ore prima, della propria morte. La vita di Ivan Ilich è la parola pronunciata che svanisce non appena è pronunciata, mentre ancora è. La luce che Ivan Ilich scorge è la pura trasparenza della vita come idea.
genseki
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