venerdì, ottobre 19, 2012

Yves Montand - Barbara

Barbara

Barbara è ancora una delle poesie giovanili di Bolls Corrachia ritrovata e pubblicata dal caro genseki.


Barbara


La notte scorsa
era una notte di nebbia
viscida e calda come la febbre
ha sognato
Barbara
si
proprio
Barbarà
quella di Prévert
bagnata e radiosa
come lo è da 50 anni
come lo sarà
ancora
per moltissimi altri
forse
per sempre
se questa locuzione ha un senso
per i mortali
l’ho sognata
sullo sfondo nuvoloso
del cielo di Brest
tra nuvole marce
dall’odore di nafta
e di acqua di mare
e la colonna sonora
era un rombo di archi
come nelle canzoni di Ferré
nel sogno
lei mi ha parlato
con una voce calda
e roca
come quella di Billie Holliday
non ricordo bene
quello che mi ha detto
le parole dei sogni
si dissolvono
al risveglio
come un volo di piccioni
grassi e sporchi
intorno
ai campanili grigi
di qualche cattedrale
posso quindi solo cercare
di ricostruire il senso delle sue parole
con la logica della veglia

“ Da 50 anni
ormai io corro
fradicia e radiosa
incontro all’amore che perderò
da 50 lo abbraccio
nella pioggia
da 50 anni ripeto questa scena
ininterrottamente
in bianco e nero
per il pubblico distratto degli studenti di francese
che sognano
l’uccello lira
e per gli innamorati che amano le fotografie di Doisneau
si Prévert
mi ha rovinato
nessun altro poeta dopo di lui
ha più voluto
scritturami
per altri
quelli che avevo sempre sognato
per cui mi sentivo ormai matura
ruoli drammatici
o ermetici
avrei voluto percorrere le strade
dell’America
in gins
e maglione di lana
con un vecchio zaino militare
affacciarmi morta
a una finestra neogotica
di Fiesole

oppure passeggiare tra i laghi di Carinzia
scendere con Annina
le scale di Livorno
con una catenina
dorata tra i denti
nelle mattine di mare
che sanno di latte
e di azzurro
approdare bruciata dal sole
bionda
sulle spiagge di isole vespertine
tra il brusio
ininterrotto dei pappagalli
vestita come una zingara hollywoodiana
invece
da 50 anni
posso solo
correre
sotto la pioggia
di Brest
che mi unge i capelli
e mi macchia il vestito
di cotonina a fiori
sullo sfondo
di nuvole marce
di soldati
morti
macerie
e trincee
rigorosamente in bianco e nero
e per di più
senza audio
e questa pioggia
mi ha guastato la salute
mi è entrata fino nelle ossa
mi ha tolto l’appetito
e il sorriso
e non ho mai potuto ascoltare
una canzone di Neil Young
anzi mi sono persa
anche
tutta la scena psichedelica
dove
avrei potuto svolgere
un ruolo di primo piano
e il cinema a colori
e le foto di Mapplethorpe
e i riccioli di Malcom Mcclaren
per correre sotto la pioggia
davanti a un pubblico
sempre più ristretto
di studenti di francese
e di liceali innamorati
i cui padri ascoltavano De André “
questo mi ha detto
- credo -
Barbarà
in un attimo di sosta
con una smorfia stanca sul volto ingenuo
prima di ricominciare
a correre
in bianco e nero
fradicia e radiosa
sotto la pioggia grigia
sotto le nuvole marce
di Brest
e
io
non ho saputo dirle
che l’ho
amata
e che l’amo sempre
e che tutte le sere
di pioggia
cerco il suo volto
tra quello di tutte le ragazze dai capelli fradici
che corrono sotto la pioggia unta
cercando invano
di ripararsi con la borsetta
dal tempo che le fisserà
per sempre
nel lampo mortuario
di una posa perfetta.


lunedì, ottobre 15, 2012

Il mercatino dell'antiquariato

Continua la pubblicazione a cura di genseki delle poesie giovanili di Bools Corracha.


Il mercatino dell’antiquariato


Quando viene l’autunno
spuntano dovunque
i mercatini dell’antiquariato
probabilmente ce ne sono anche in piena estate
e forse in primavera
ma il maggior numero di essi
si svolge
indubbiamente
all’inizio dell’autunno
oppure
alla fine dell’estate
cioè a settembre

l’autunno è essenziale all’antiquariato
nella sua forma di mercato all’aperto
perché
la luce calda e cristallina dell’autunno
e il riverbero delle foglie
che cominciano
a tingersi di rosso e d’oro
sono necessari per dare
alle madie
e alle specchiere
all’ottone
e alle rilegature dei libri
la patina di colore
malinconico che contraddistingue
nell’immaginario telecollettivo
ciò che è antico
come un mulino bianco
o la pasta di giovannirana
e l’autunno
è l’unico elemento
che possa legare insieme
la congerie di oggetti
estremamente incongrui
che si trovano
in un mercatino dell’antiquariato
fumetti americani della settimana scorsa
pappagalli centenari
con un’ala bruciata
e la voce arrochita
sigariavana sbocconcellati
denti d’oro cariati
divise risorgimentali
spartiti musicali
gialli e ocra
fotografie di ritapavone
bidè di stagno
bastoni da passeggio olandesi
mozziconi di sigarette
mollette di plastica
busti romani di plastica verde
specchi opacizzati
bottiglie di cocacola
telefoni verde pisello
o giallo canarino
carte stradali del Touring
con macchie di caffè ocracee e anche grigiastre intorno alle città con più di 100.000 ab.
francobolli
del belis
letti di ottone malese
forchette di cellulosa
coltelli di porcellana
volpi canore che hanno perso la coda
bicchieri irregolari macchiati
indelebilmente di vini densi
pelli di gatto scabbioso
ermellini napoleonici
proclami savoiardi
biscotti al rosolio
ghiande saturnine
cartoline in biancoenero
con saluti rispettosi svolazzanti
di giovani impiegati di belle speranze
in riviera
a timide sartine del Canavese
e
poi
madie
madie
madie
madie
e
madie
la madia
è l’epitome
del mercatino dell’antiquariato
in essa convergono
tutti gli oggetti che lo costituiscono
e che noi guardiamo
mentre i nostri occhi divengono
grigi
e le nostre camicie vietnamite o taiwanesi
si trasformano in polverose redingotes
e noi ci sentiamo come chi è appena sceso da un calesse
mentre una foglia
rossa
che si è staccata da un platano o da una vite
plana sulle nostre teste
dove
è appena spuntata una bombetta magrittiana
e si posa
leggera
ai piedi di un grosso cane di ceramica arancione
nell’aria cristallina di settembre
 
Bolls Corracha

Troppo tardi

Forse ormai troppo tardi
Abbiamo raccolto i nostri stracci
Preso congedo dalla scogliera
Dalla finestra che si apriva
Sui rami del tiglio
Dalle sedie arancioni della terrazza.
I tuoi vestiti
                       - anche quello verde -
Non avevano smesso di sanguinare
Da quel giorno,
Da quando la pioggia cominció a cadere
Proprio sulla lattuga
E non cessó nemmeno
Quando gli ultimi cervi abbandonarono
Il parcheggio tra le raffiche arancioni
Dei lampioni
E non cessa nemmeno adesso
E piove
Sul sofá di pelle
Sulla credenza abbandonata tra le felci
Sulla spuma delle sottovesti
Dei reggiseni, delle mutandine.
Forse davvero troppo tardi
Ho raccolto i miei stracci
Ho fatto l'appello delle mie ossa
Ho pianto anch'io
Sulla polvere
Sulle piante grasse
E ce siamo andati
Passando per la breccia della porta
Oltre il guado
Verso gli ultimi campi di colza.

genseki

domenica, ottobre 14, 2012

La poesia

La poesia è una visione del mondo che si ottiene con uno sforzo, a volte fino allo sfinimento, della volontá tesa come un arco. La poesia è della volontà. Non è debolezza e non entra in modo libero e gratuito attraverso  sensi; non si confonde con la sensualitá, anzi, opponendosi ad essa...

Genet
Trad. genseki

La dea degli stracci

Incerti miti, gli ultimi scarti
Di scisti gloriose
Rocciosi tramonti, s'innesta
L'acero alla falesia
Nella speranza della frana

Nella notte dei gelsomini
Sacri alla dea degli stracci
Inutilmente gridano le fauci
La paura dell'ultimo animale.

genseki

venerdì, ottobre 12, 2012

Santa Elisabetta di Ungheria


Genet

Dio che creó dal nulla il cielo e la terra fece anche un altro miracolo, offrí un dono a Santa Elisabetta di Ungheria, la quale a causa della sua condizione di Regina era circondata dal lusso della corte.
Le offrí un regalo fatto apposta per lei, alla sua altezza, tagliato su misura: una cella monastica, invisibile, invisibile a suo marito, ai cortigiani, ai ministri alle dame di compagnia, una cella che, in ultima istanza, era personale e segreta, che si muoveva seguendo i movimenti della Santa Regina. I suoi muri esterni erano visibili solo per quattro occhi, quelli della Regina e quelli di Dio. Tutti e quattro costituivano un solo occhio...
Genet
Trad. genseki

Invisibili

Invisibili ai nostri occhi
Gli uccelli dell'autunno
Era un esplodere lascivo
Di mandorle, sudavamo latte
Unghia dopo unghia
Merlo dopo merlo
Ua farfalla scagliata dalla frombola del sole
Ti aveva sfiorato una tempia.

genseki

giovedì, ottobre 11, 2012

Kazuki Tomokawa - Jean Genet ni Kike

Pontormo - Della Casa


Veniva prima

Veniva prima d qualunque ricordo
Irresistibilmente prima, sai?
Del gioco azzurro delle felci
Sul sangue dell'avena
Veniva prima dell'amido
Delle medaglie
Del madore delle unghie
Del tuo morire abbracciata
Al tuo sudore
Gemendo l'aperto tepore della tua pelle
Veniva prima di qualunque ricordo,
Anche del tuo -
Si! Del tuo!
Come ricordarlo allora:
Quando ancora non avevamo appreso
La febbre che brucia nel cielo
A ogni volo
A ogni stormo
Come le chiome dei frassini
Si disfano in zolfo e cobalto
Se una nube le sfiora
Come ogni ombra di felce
Fu un angelo sfiorito
E l'ansito geometrico dei bruchi
Era fraterno al nostro bisogno di simmetria
Veniva prima di tutto questo
Pure prima di quell'altro
E non era un prima che avesse un dopo
Anche tutti i dopo venivano prima
Per questo alla fine
Riuscimmo a ricordarlo:
Solo chi ama puñ morire davvero.

genseki

mercoledì, ottobre 10, 2012

Le condamné à mort


Le condamné à mort


Pontormo - Cosimo


Blues castigliano

Da ventanni

Quando avevo quattordici anni
Mi facevano lavorare fino a sera;
Quando tornavo a casa
Mi prendeva la mamma
La testa tra le mani.

Ero un ragazzino che amava il sole e la terra
E gli strilli dei miei compagni in cortile
I falò nella notte
E tutte le cose che fanno bene
E l'amicizia
Che fa crescre il cuore.

Alle cinque, d'inverno,
Mia madre si sedeva sul bordo del mio letto
Mi chiamava per nome
E mi accarezzava la faccia
Fino a svegliarmi

Scendevoin strada che era ancora notte
Mi sembrava che il freddo pietrificasse gli occhi.

Non era giuso, ma era così bello
Caminnare per le vie e ascoltare i miei passi
E sentire la notte di quelli che dormivano
E comprendere che erano una sola creatura
Che riposava di un'unica vita
Tutti quanti con un unico sonno.

Entravo al lavoro
                  La fabbrica
Puzzava e mi faceva male
                   Poi arrivavano le donne
E si mettevano a strofinare in silenzio

Per ventanni
                   Mi hanno
Sfruttato e dimenticato
Ormai non comprendo la notte
Né il canto dei ragazzini nei prati
Eppure so
Che qualche cosa di più grnde e di più reale di me
È con me scorre per le mie ossa.

                                      Terra instancabile
                                                              Firma
                                      La pace che sai
                                                              Darci
                                      La nostra esistenza
                                      la nostra.

Antonio Gamoneda
trad genseki

mercoledì, agosto 29, 2012