lunedì, febbraio 22, 2010

Osservazioni sugli angoli

Era da un angolo che la parola conferiva visuale
Prima di cristalizzarsi al suo senso e ad altri possibili
Era da un angolo visuale predefinito
Che finiva per porsi la parola con tutto il peso del suo significato
Ammettevano anche un angolo particolarmente ottuso
Un seno di mare cristallino come la foto di un depliant
Una sequenza del tuffo di un gabbiano
A decapitare un grasso sudicio picccione sul granito
Di una gotica piazza accanto al mare.
Nell'angolo, in quall'angolo dimenticato
Un paracqua arcobaleno a spicchi
Evocava la natura dispiegabile di tutti gli altri angoli
La meraviglia dei meccanismi a soffietto
Come quelli delle vecchie macchine fotografiche
I quadri di pessimo gusto di rachel che raffiguravano paracqua
E ombrelloni arcobaleno
Piegati con angoli differenti su una fredda spiaggia arancione
Poi tutto volava via
Come un biglietto del bus
Come il ricordo degli angoli retti della metropolitana di Pechino
Era stretto nell'angolo ora dalla tempesta dei significati
Dei suoi ricordi si dibatteva nel suo angolo
Nella poltona di legno angolosa
Con i gomiti con i gomiti a formare un angolo divergente
Spezzato a significare la sconfitta, la disfatta
La crocifissione
Si, spezzato, ficcato a forza in un angolo
Eppure sempre cosciente di essere cosciente
Dei tanti angoli della coscienza
Ciascuno con il suo angolo visuale o auricolare
E così ancora di nuovo ancora
E ancora di nuovo fino al rompersi o meglio al frantumarsi
In uno scroscio vero e proprio delle specchio con il suo enigma
Dell'erompere del salmone come puro scatto
Madido muscolo sforza traiettoria

Argento e nulla.

genseki

sabato, febbraio 20, 2010

Hisperica famina

Devo confessare il mio stupore nell'incontrarmi per la prima volta con il mondo del “Latino Hisperico”. Fino ad ora non en avevo mai sentito parlare, nonostante una certa passione per il latino medioevale.
Il latino hisperico è il latino scritto dai monaci irlandesi nei primi secoli di cristianzzazione dell'isola. il VI e il VII. Si tratta di un latino quasi totalmente indecifrabile e stupefacente. La difficoltá di comprensione e lo stupore sono dovuti soprattutto al suo lessico. La sintassi è infatti elementare, paratattica, quasi del tutto priva di subordinate, con il verbo tra il soggetto e il complemento. Il lessico invece è assolutamente stravagante. Le parole del latino classico sono impiegate nel latino hisperico come se avessero tutte lo stesso valore e la stessa funzione, come se fossero equvalenti. Una metafora è considerata equivalente a un sostantivo di uso comune, a un'immagine mitologica, o a un neologismo formato da parole greche per un uso tecnico filosofico o teologico. Gli oggetti e le azioni piú quotidiani sono designati di volta in volta con i termin piú peregrini. A questo si aggiunge una forte presenza di termini celtici o germanici brutalmente latinizzati, per esempio per mezzo dell'uso di una desinenza.
Una descrizione come questa, tuttavia, non rende lo stupore e la meraviglia che colgono il lettore di fronte ad un testo come questo:

Adelphus adelpha meter
Alle pilus hius tegater
Dedronte tonaliter,
Blebomen agialius
Nicate dodrantibus
Sic mundi vita huius,

Calexomen agialus
tu det bolen suum
nobisque auxilium
Didaxon, sapisure,

Toto biblion acute
Non debes reticere

Equinomicun epensum
Habemus apud deum
Si autumetimus audum

Fallax est vita mundi
Decidit ut flos feni

Chiuso nello splendore della sua impenetrabilitá nell'asprezza delle sue alliterazioni, nell'ingenuitá delle sue metafore.
È un testo il cui senso è quello di comunicare l'artificioso, faticoso, entusiasmante processo della sua elaborazione. Un testo che significa soltanto il suo farsi e il suo disfarsi.
Un testo progettato, infatti, per essere caduco. Il tempo finisce per chiuderlo ancora di piú in se stesso, per allontanarlo da ogni possibile interpretazione per trasformarlo da testo a gioiello, un gioiello cesellato nel significante grafico e in quello sonoro.
Un testo che peró si apre alla fine nella ingenua banalitá di un facile e leggero proverbio sapienzale, la cui banalitá non sorregge nessuna possibile malinconia.

Una possibile traduzione della prima strofa è la seguente:
Fratello, sorella, madre, padre figlio e figlia muoiono ugualmene
Vediamo la barca sbattuta dalle onde, cosí è la vita di questo mondo

venerdì, febbraio 19, 2010

Cappotto di finamore

Alla fine lei non si voltó nemmeno
Il suo profilo restó oscurato dal fiore della calla
Che emergeva appena dal vaso di cristallo
Come la bocca di un bambino che sta affogando
Anche le teste decapitate delle anatre
Una per ogni posacenere erano restate
Esattamente la dove lei le aveva lasciate
Si mosse per afferrare le chiavi le squame
Scivolarono appena sulla lama piantata nella crepa del tinello
Non avevo piú abbastanza saliva
Per fumare un'altra sigaretta
Indossava scarpe di scarabeo i suoi piedi erano cuoriformi
Il neon del palazzo dirimpetto disegnava sul suo cappotto di cammello
RISTORANTE CINESE KUNMING
Pensavo al suo seno come a una lattina di pesche scriroppate
Da lasciare per anni nella dispensa del ricordo.

genseki


Tournesol

Léger
Tournesol

Girasole

Di André Breton non ho mai amato Lautréamont. Che non è poca disamistade, Non ho mai amato nemmeno Sade e nemmeno quell'idea degna del peggior Tarantino che la cosa più ganza che ci sia sia uscire per strada con la pistola e sparare nel mucchio, nelle folla, alla rinfusa. Ci sono tante cose di André Breton che come il mio povero amico Dreiser Cazzaniga non ho mai amato. Eppure è stato uno dei miei venerati maestri, Grazie a lui ho coltivato l'arte dell'insuccesso con il solo successo che in essa è permesso: il fallimento. Lbertá colore d'uomo.
Sempre ho sognato di tradurre

Il girasole

Girasole

La viaggiatrice che aveva attraversato le Halles nel crepuscolo dell'estate
Camminava in punta di pedi
La disperazione trascinava per il cielo i gicheri bellissimi
La borsetta conteneva la fiala dei sali mio sogno
Sali che solo la madrina di Dio aveva fino ad allora respirato
Come bruma si dispiegavano i torpori
Nel Cane Fumatore
Dove erano appena entrati pro e contro
La ragazza la si poteva appena scorgere a sghimbescio
Essere pareva nunzia del salnitro
O della curva nera su bianco che diciamo pensiero
Poco a poco si accendevano i lampioni negli ippocastani
La Dama senza ombra si era inginocchiata sul Pont-au-Change
Rue Git-le-Coeur non erano piú gli stessi
Gli impegni notturni erano infine mantenuti
I piccioni viaggiatori i baci d scorta
Confluivano in seno all'incognita beltá
Come dardi sotto il crespo dei significati perfetti
Una fattoria prosperava in piena Parigi
Le sue finestre davano sulla via lattea
Nessuno piú vi abitava a causa di coloro che la frequentavano
Tutti lo sapevano che erano piú fedeli di coloro che la infestavano
Alcuni come questa donna sembra che nuotino
E nell'amore c'è posto per un po' della loro sostanza
Che li interiorizza
Nessun potere sensoriale si sta facendo beffe di me
Eppure il grillo che cantava nella chioma cinerina
Una sera accanto alla statua di Étienne Marcel
M ha strizzato l'occhio con complicitá
Ecco che passa m'ha detto André Breton

André Breton
da "Clair de terre"
Trad. genseki

giovedì, febbraio 18, 2010

Cuori di primavera

L'azzurro penetrava a stento
la gran coltre frondosa di tutte le primavere
Una primavera per ogni bacio
Un'ala per ogni primavera
Era tutto un tramestio di frulli e spinte
Gli aceri cercavano un varco verso il sole
Le graminacee come raggi
Saettavano tra le scure foglie dell'edera
verso la processione dei cuori
Con un panno giallo sfregavo i ricordi
Li collocavo in ordine di primavera
Tutte le primavere avevano almeno un cuore
Alcune ne avevano piú di uno
Alcuni cuori erano sfregiati dal peso del risentimento
Altri dall'oscuritá del loro stesso sangue
La processione dei cuori la illuminavano
Ceri di menta e buttafuochi di bronzo
Cuore per cuore primavera per primavera
Il suo cuore sanguinante lui lo reggeva in una mano
Avvolto in una coroncina fosforescente
Il cuore di sua madre era trafitto da un ramo appuntito di fusaria
Le gocce di sangue si confondevano
Con quegli stupidi fiorellini rossi
Anche il suo petto dava latte di sangue
Da tutti quei forellini di rubino
Si fissavano con occhi lampeggianti
Come lampade al neon tra le gemme dei carpini
Sotto quei raggi scorrevano le primavere
Passavano i cuori e i grandi mantelli
I fastelli di belladonna e le salamandre
E tutti i dolori che erano piú di sette
Da maggio a maggio
Fino a dopo autunno
Fino alla croce di ghiaccio di gennaio.

genseki

mercoledì, febbraio 17, 2010

Pianto

indossati i vestiti da tramonto
senza pupille declinavi il mio sguardo
senza innalzare le mani alle nuvole
spalancavo la vista a un altro volto
dall'interno del cavo dei tuoi occhi
conobbi infine i tratti tuoi perfetti
mi feci allora azzurro come l'acqua
che sulle guance ti scorre se non piangi

genseki

martedì, febbraio 16, 2010

Soglia

Alla soglia sta il punto di parola
Dove collassa l'istante successivo
Ogni istante necessita uno sguardo
dalla soglia si scorge la finestra
Il volo, o solo l'ala e poi la schiuma
Che si frange in processo senza fine
E ricade prima d'altri istanti
L'istante è istante solo se lo dici
La soglia stringe l'istante taciuto
Fuori è la cavitá del tuo soffrire
La soglia è specchio dell'oltrepassare.

genseki

Bruno Maderna: Aura (1972) Prima parte

lunedì, febbraio 15, 2010

Invano

Invano ascoltava gli ottoni
Avvolgere le gomene sonore
Ai tronchi delle palme, al bagolaro
Solitario nell'azzurro del parco
L'inquietudine del metallo
Distillava solo remota
L'eco d'altri ascolti
Futuri, forse sperati
Concavi sempre rotando
Certamente oscuri oltre i mondi

Alla rete sonora, alla griglia delle trombe
Al zampettare inetto dei clarinetti
Allo sbocciare dell'oboe come orchidea
Dal limo dell'improvvido laghetto
Si aggrappava cercando un appoggio
Uno specchio, possibilmente lo spiccare d'un volo
In piena consapevolezza d'istante in istante
Dell'ardente errore del delitto delle galassie
Degli acidi del latte e delle linfe

Raggi di flauti come schegge di fresco mattino
Scintillavano sullo spessore del prato
Il tamburo della terra scuoteva l'ombelico
Del guerriero sepolto dalla madreselva
Trascinato da un odore di polvere
Nel numinoso regno degli archi

Invano, certamente, il suono lo torniva
In presenza in consistenza
Appena a un capello
Dall'essere accolto

Invano - ancora

genseki

domenica, febbraio 14, 2010

Hijab


C'è sempre un angolo del velo che richiede espressamene di non essere sollevato, qualsiasi cosa ne pensino gli imbecilli questa è la condizione stessa dell'incantesimo.

André Breton
Flagrant Délit

La Dama Bunducchia e Dreiser Cazzaniga

II Parte

Le memorie di Dreiser Cazzaniga che ci sono state legate come un lascito che per noi è un onore e un rinnovato dolore non sono, come qualche lettore potrebbe pensare, una serie di ordinati quadernetti o pile di fogli numerati in appositi classificatori. No! Sono una serie di appunti, paragrafi, racconti, annotazione, cartoline postali, lettere, pacchetti di sigarette, biglietti del bus e altro materiale scrivibile ancora gettati alla rinfusa in una serie di vecchi scatoloni IKEA, quelli con le maniglie di corda da marinai per intederci (adesso non ricordo piú il loro nome svedese ma ricordo bene che corrisponevano ai robusti scaffali ISVAR). Sembra che Dreiser Cazzaniga avesse inscatolato tutto quanto restava della sua vita in forma cartacea per bruciarlo. Non lo fece e noi non sappiamo se mai volle farlo davvero. Quello che sappiamo è che è molto difficile organizzare questo materiale in forma coerente: i nomi delle persone si sovrappongono, i periodi si allungano o si accorciano, i luoghi degli eventi possono variare. La vita stessa non è univoca, le tracce che lascia dietro di sé una vita non costituiscono una successione univoca di eventi puntuali, classificabili magari anche come cause e effetti. La Dama Bunducchia dai piedi nodosi e dal sorriso tarlato è anche altre donne che appaiono e scompaiono sul palcoscenico degli amori di Dreiser Cazzaniga,
Dreiser Cazzaniga volle essere libero del suo passato e volle che fossero liberi tutti coloro che vi si trovarono intrappolati per una frazione di tempo piú o meno lunga, come i paesaggi sul cui sfondo trascorse, le case, le stanze e i letti che resero possibile l'intimitá e la densitá del suo tempo trascorso.
Lasció che il passato bruciasse se stesso in uno sfrigolio e in un sorriso si facesse scintilla e angelo
lui rimase sempre nel qui, proteso nell'istante, nell'emergenza dell'istante respirando, guardando, udendo per dimenticare.

Dorothy Day

Ancora su Catholic Worker

Dorothy Day, Peter Maurin e tutti gli altri perseguirono il sogno di istituire un vero ordine mendicante nella societá industriale, anzi nella societá capitalista e industriale per eccellenza, quella degli USA. Probabilmente fu, fino ad oggi, l'ultimo tentativo o uno degli ultimi tentativi di questo tipo. Io non sono a conoscenza di altri. Gl ordini mendicanti sono scomparsi progressivamente col progressivo scomparire del mondo contadino e dell'ordine sociale tradizionale. Le forme moderne di organizzazione ecclesiale sono piuttosto i “Movimenti” come “Sant'Egidio” o “i Kiko” in Spagna che mantengono molte volte un piccolo nucleo monastico, ma certamente non mendicante. Qualche cosa che sembra piuttosto uno spauracchio che un modello. Se sia possibile un ordine mendicante nel mondo dell'economia assoluta e del consumo è una questione forse oziosa. È concretamente possibile quello che nella storia si manifesta concretamente. Certo il tentativo del Catholic Worker fu un nobile fallimento. restó confinato nell'ambito dell'anticonformismo e nell'emarginazione culturale. Eppure è un fallimento da cui si irradia una luce che ancora ci illumina. Certo Dorothy day e i suoi un successo nemmeno tanto piccolo lo ebbero e fu quello di non essere iconizzai, di non diventare simboli buoni per qualsiasi uso come Madre Teresa o Che Guevara. Questo giá indica che il cammino da loro indicato era piú prossimo alla veritá, piú fecondo di quanto il fallimento lasci pensare e che per questo non cessa ancora di essere un modello.

Il fallimento è il dono che è dato a chi serve la veritá e che li permette di spogliarsi, di farsi trasparente, di accettare l'autunno della propria coscienza e di permanere in esso fino al glorioso inverno dello splendore.

Certo Dorothy Day volle testimoniare il cattolicesimo nel cuore della metropoli meno sacra della storia, volle radicarlo nella sua forma di Civitas Cristiana, nel centro della City inumana del morto valore di scambio e per farlo dovette farsi eretica.

Per rendere possibile l'ortodossia dovette rivestirsi dell'eresia, Farsi patara o bogomila per essere davvero radicalmente ortodossa.

genseki

venerdì, febbraio 12, 2010

Catholic Worker

Peter Maurin e Dorothy Day, il Catholic Worker, la bellezza di perseguire il fallimento con assoluta determinazione, con innocenza, con sfacciato coraggio. Il Catholic Worker era la deriva di un gruppo luminoso impegnato a rivivere il medioevo in piena Nuova York del XX secolo. Il medioevo con gli ordini mendicanti, con vagabondi, con i contadini e i movimenti pauperistici in una societá di operai e impiegati, ristorazione collettiva, conflitti razziali, democrazia pubblicitaria e marketing politico. Vissero ardendo il loro sogno acronico o discronico nella Terra di Mezzo delle loro case di accoglienza e fattorie pacifiste, non violente. La loro bellezza e la bellezza della loro vita sono una celebrazione della dignitá che sorge dalla vita quando è vissuta nella libertá. Anche o forse soprattutto nella libertá di sognare un mondo in cui sia possibile davvero vivere, Un mondo in cui la vita viva di ciascuno fecondi quella di tutti gli altri. Poi il tempo si è ripiegato su di loro, su di noi nell'etá oscura del conformismo e dell'inconsapevole disperazione.

genseki

Peter Maurin

Peter Maurin

Io studiavo alla Columbia, e anche qui giunse la notizia
Che un santo era morto nel quartiere dei mendicanti.
Peter Maurin il Santo agitatore
Predicava nei parchi:
“Licenziate i padroni” o
“Dare e non togliere
Rende l'uomo umano”
Con un solo vestito stropicciato e non della sua taglia. Senza un giaciglio
Nella casa che lui stesso fondó, neppure un angolo per i suoi libri.
Camminava senza far caso ai semafori.
...
E lei consagrata da allora a
“Opere di misericordia e di rivolta”. Una vita
Di quotidiana comunione e partecipazione
In ogni sciopero, manifestazione, marcia, protesta o boicottaggio,
Qui vengono a lavorare senza stipendio studenti, seminaristi
Professori, marinai, mendicanti, e a volte restano
Tutta la vita. Molti sono stati in prigione o ci stanno.
Hennacy digiunava davanti agli edifici del governo
Con un manifesto, distribuendo volantini e vendendo il giornale
E non pagava le tasse perché l'85% è per la guerra
Lavorava come bracciante nei campi per non pagarle.
Hugh magro, con i pantaloni corti sandali e poncho
Jack English, un brillante giornalista de Cleveland
Fu cuoco del Catholic Worker e poi si fece monaco.
Roger La Porte era bello e biondo aveva 22 anni: si sacrificó
Dandosi fuoco impregnato di benzina davanti alle nazioni Unite.
Un vecchio ex-marine, Smoky Joe, che lottó contro Sandino
In Nicaragua, morí qui convertito alla non violenza
Qui lavoró Merton prima della Trappa.
Il giornale si vende a 1 centesimo
Come lo vendette Dorothy Day per la prima volta
A Union Square il Primo Maggio del 1933
Il terzo anno della depressione
12 milioni di disoccupati
E Peter con il giornale cercava di fare una rivoluzione piuttosto che pubblicare opinioni
Le pentole fumano
Comnciano ad arrivare i poveri, i senza fissa dimora, quelli del Bowery
Fanno la coda. “Ecco gli altri USA” dice Dorothy
Gli uomini sradicati dalla macchina
E abbandonati dalla Santa Madre Stato.
Grida. Uno entra dando calci e spintoni
Due del catholic Worker lo portano fuori con calma.
“ Non chiamiamo mai la polizia perché crediamo nella non Violenza”
E mi dice: Quando fui a Cuba
Vidi che Sandino era un eroe
Ne godetti. Perché da giovane avevo raccolto denaro per lui.

Ernesto Cardenal
Trad genseki

giovedì, febbraio 11, 2010

Il Postino Cheval

Il Postino Cheval è il Lautréamont dell'architettura. Breton lo ha sacrificato per noi e ce lo ha servito nei modi dovuti per sempre nuovi festini.
Il palazzo ideale visto nella realtá è l'opera di un ortolano ossesionato dalla fertiltá. Un ortolano che coltiva la sua immaginazione come le melanzane.
genseki

Postino Cheval

Noi gli uccelli stregati da te per sempre su questo belvedere
E che ogni notte formiamo un solo ramo fiorito dalle tue spalle fino alle stanghe della tua carretta animata
Ci strappiamo con vivacitá di scintille dal tuo polso
Siamo noi i sospiri della statua di vetro che si solleva sul gomito quando l'uomo esce
E brillanti fenditure si aprono nel suo letto
Fenditure da cui si scorgono i cervi dalle corna coralline in una radura
E donne nude sul fondo di una miniera
Te ne ricordi ti alzavi allora e scendevi
Dal treno
Senza degnare di uno sguardo la locomotiva in preda alle immense radici barometriche
Che si lamenta nella foresta vergini delle caldaie ferite
Con i camini dal fumo di giacinto mossa dai serpenti azzurri

Ti precediamo allora noi le piante soggette a metamorfosi
Che ogni notte facciamo segni che l'uomo puó comprendere
Mentra la sua casa rovina e si meraviglia degli incastri singolari
Che il suo letto va provando con il corridoio e con la scalinata
La scalinata che si ramifica indefinitamente
E conduce alla porta di un frantoio che sbocca di colpo in una pubblica piazza
A schiena di cigno che apre un'ala come un rampa
Gira su se stesso come se dovesse mordersi ma no si accontenta d'aprire i suoi scalina ai nostri passi
Come cassetti
Come cassetti di carne dalla maniglia di capelli
Ora che migliaia di germani si pettinano le piume
Senza voltarti afferravi la cazzuola per modellare i seni
Ti sorridevamo cingevi la nostra vita
E assumevamo i modi i modi del tuo piacere
Immobile sotto le nostre pupille per sempre come la donna ama vedere l'uomo
Dopo l'amore,

André Breton
Clair de Terre
trad. genseki