martedì, giugno 30, 2009

Alejandra Pizarnik








Alessandra tra i lillà

Queste poesie furono dedicate dalla poetssa uruguayana Cristina Peri Rossi nel 1976

Di cose cosí finirè per morire
A.P. (suicida il 27 settembre 1972)

Alessandra tra i lillà


I

Forse fu il nome dolce di Alessandra
O quei lillà dui muri
Il loro alito nella note densa
O, forse,
La caccia nottuna
Di parole che scivolano
Sui vetri
Che le lascerá precipitare verso la morte
Nella solitaria
Durata di un grido
A mezzanotte
Complice di nomi oscuri
Imronunciabili.

*

II

Parola per parola
Facevi la notte
Agli angoli delle strade
Che il silenzio abbandonava
Restando in agguato
Come se fossero
Le dame rosse delle rivelaioni.

*

III

Si parola
Per parola
Facevi la note
Sussurrandola
- i piú bei suoni -
Perché quella notte
Non giunsero le parole alla riscossa?
Come ti fermarono
Sprovvista?
Dove stavano i ibri cinerini
Dei parchi
Dei rampicanti e delle pareti
Dove le dam porpora, le misterise
Dove tuo padre e tua madre?
- Forse fu il dolce nome: Alessandra -
Forse le cerimonie dei parchi.
Forse una dama rossa che non venne
Alla notturna
Festa di parole
Una che non mantenne la promessa
Qualcuno che non venne all'appuntamento
O la noia delle parole - a volte accade -
Te precipitó oltre i suoni
Quando finamene tutto fu detto
- Tutto fu detto -
E si alza ancora tenebrosa
La solitudine di Alice nello specchio d'altroqui.

*

IV

E il silenzio nascosto dentro la casa
E nel silenzio che resta
Quando gli amici se ne vanno
Nel silenio dei portacenere
Dei bicchieri senza acqua
Volesti stabilire la parola giusta,
Senza sapere
Che il silenzio e le parole
Sono solo agonie.

*

V

Il nome dolce di Alessandra
La simmetria nei parchi
Una bambina spaventata
- Oggi ce nebbia a Barcellona -
Parigi fu una festa
Che non hai voluto compartire
Lettere agli amici
Ove mancava una i o una iota
Il miserere notturno intonato
Da vecchie lescbiche
Un foglio bianco
Toujours
Un foglio bianco
La lettera che non arriva
La parola che manca
Ce la fanno
A spaventare una bambina.

*

Alessandra
Oggi vedo un parco
Una dama azzurra
Lillá sui muri
Cespugli che crescono
Oggi ascolto
Una canzone lontana
Una storia di principesse
E castelli
E congedi estivi
La cicala
Mi svglió per dirti
Che dalla finestra
Entra odore di pino.

Victor Ségalen

lunedì, giugno 29, 2009

Victor Ségalen

Steli

Ecco l'impero che sta al centro del mondo. La terra aperta alle opere dei vivi. Il continente in mezzo ai Quattro-mari. La vita protetta, Propizia allla giustizia, alla felicità, all'accordo.

Ove gli uomini si alzano, si inchinano, si salutano i conformitá con il loro rango, i fratelli conoscono la loro posizione e tutto si ordina sotto l'influsso chiarificatore del cielo.

Laggiú il miracoloso Occidente, pieno di montagne che perforano le nubi; con i suoi palazzi volanti, i suoi templi leggeri, le sue torri mosse dal vento.

Ogni cosa è prodigio, ogni cosa è inattesa: la confusione si agita: la Regina dai desideri cangianti vi tiene la sua corte. Nessun essere ragionevole mai vi si avventura.

Ê laggiù che per magia Mu Wang ha proiettato la sua anima in sogno colà vuol dirigere i suoi passi.

Prima di abbandonare l'Impero per riunirsi con la sua anima egli en ha fissato, Qui, il punto di partenza.


trad. genseki

domenica, giugno 28, 2009

Se incontri una poesia


Se tra te e il silenzio
Si trova una poesia
Lasciala dove sta
Tu salta
Salta all'altro lato del senso
Sul versante dove c'è
Ancora tanta neve
Bianca comela pagina non scritta
E una luna sottile sottile
Come una parentesi aperta.


Se sul cammino del silenzio
Incontri una poesia
Non la salutare
Semplicemente
Passale accanto
E svolta dietro l'angolo
Dietro la siepe. dietro la staccionata
Cerca l'altro lato dietro qualsiasi cosa ne abbia uno
Va bene anche un vecchio tronco
O una pila di cassette vuote di acqua minerale
Ma cerca l'atro lato
Quello dove cade la neve ancora
E anche giá da prima
E la neve cade senza far rumore.


Se sul cammino del silenzio
Un poesia ti intralcia
Non ribellarti
Taci come il muro
Tace alla lucertola nel sole
Taci e corri cerca l'altro lato
Del paesaggio quello bianco
Quello gelato, quello dove gli alberi
Sono di brina
E dalle bocche esala
Il vapore del fiato
Senza suono

Se sul cammino del silenzio
Già intravedi la meta
Giá assapori la quiete
Della realizzazione
Siediti sulla soglia
Del giardino muto
E cerca una poesia
Nel muschio, o tra le fragole
Cerca una poesia
Tra le pietre della fonte
Che non sa mormorare
Tra le rughe di quel vccchio mendicante
Che ha perso la voce
Di tanto ringraziare
Cercala con dedizione assoluta, e
Abbi fiducia, ti troverá lei,
Tu allora non fare niente, non alzarti,
Semplicemente
Assaporala
Come un'immensa anguria
Nell'agosto marino
Della tua infanzia.


genseki

venerdì, giugno 26, 2009

La grande rinuncia

La grande rinuncia consiste nel rifiutare completamente le nozioni di interno e di esterno, di corpo e di spirito fino ad essere come lo spazio vuoto ove non vi è nulla cui attaccarsi per appropriarsene. Quando solo sussistono risposte a oggetti precisi in ambiente determinato, ecco la grande rinuncia, l'oblio totale del soggetto e dell'oggeto.
la rinuncia intermedia consiste da una parte nel seguire il Dao e diffondere i suoi insegnamenti, dall'altra a rinunziare ai benefici che da questo derivano mano a mano che essi si manifestano.
La piccola rinuncia consiste nel compiere ogni sorta di bene, nell'avere speranza e nel riconoscere la vacuitá attraverso lo studio dei testi fino a non avere piu nessun attaccamento ai propri meriti.
La grande rinuncia è avere davanti a sé una grande torcia. Non ci si puó perdere.
Con la piccola rinuncia la torcia sta al lato e volte si è nella luce a volte nelle tenebre.
Con la piccola rinuncia la luce sta alle spalle e non si possono vedere fossi e crepacci.
Lo spirito del Bodhisattva è simile allo spazio vuoto da cui tutto è escluso.
Il fatto che i pensieri passati siano introvabili è la rinuncia al passato.
Il fatto che i pensieri del presente siano introvabili è la rinuncia al presente
Il fatto che i pensieri del futuro siano introvabili è la rinuncia al futuro.
Tale è la rinuncia ai tre tempi

Huangpo
Dialoghi
trad. a cura di genseki

mercoledì, giugno 24, 2009

Nichita Stanescu

Le nonparole


Mi ha teso una foglia come una mano a dita

Gli ho teso una mano come una foglia a denti

Egli mi ha teso un ramo come braccio

E come un ramo io ho disteso un braccio

Su di me si é chinato con il tronco

Come melo pesante per i frutti

Anch'io ho piegato il mio novello tronco

Udivo la sua linfa che saliva

Come sangue,

Egli udiva il mio sangue salire

Lentamente come linfa.

Ho trapassato il suo corpo

Lui ha percorso il mio

Io – sono rimasto un albero solitario

Lui – un uomo solo


Nichita Stanescu

Trad genseki

martedì, giugno 23, 2009


Ed é per questo che moriamo tanto?
È solo per morire
Che ci tocca morire ad ogni istante?

Sermone sulla morte

César Vallejo


Veniamo, infine a trattar della morte
Che agisce per squadroni, previa parentesi quadra,
Graffa, paragrafo, mano grande, dieresi,
A che serve la cattedra assira, il pulpito cristiano?
La rapida avanzata del mobile vandalo?
E ancora meno questo rifugio sdrucciolo?


È per finir
Domani in gloria fallica
Diabetico e con sputacchiera
Volto geometrico, defunto,
Che ci servono le prediche e le mandorle,
Di patate ne abbiamo fin troppe,
E lo spettro fluviale d'oro ardente
Ove brucia il prezzo della neve?


Solo per questo dobbiam morire tanto?
Soltanto per morire,
Quel che ci tocca è morire ad ogni istante?


E questo paragrafo?
E la graffa deista che sollevo?
E lo squadrone cui mancó il mio casco?
La chiave che puó aprire ogni porta?
E a graffa forense, la mano,
La patata, la carne, le mie contradizioni da camera?


O matto, gatto, topolino,
O sensato cavallissimo che sono!
Cattedra, sì, tutta la vita, púlpito
E per tutta la morte!
Sermone di barbaria; queste carte
Questo rifugio sdrucciolo, le pelli.


Pensoso, in questo modo, aurifero, bracciuto,
La preda la difendo in due momenti,
Uno la voce, l'altro la laringe,
E con l'olfatto fisico con cui prego
L'istinto di immobilitá con cui avanzo,
Finché vivró potró sempre vantarmi
Ne saranno orgogliosi i calabroni
Perché io sto nel mezzo ed alla destra,
Ed egualmente mi trovo alla sinistra.

trad genseki

lunedì, giugno 22, 2009

Leo Ferre La Memoire et la mer.

La marea la porto nel cuore
Mi va crescendo come un segno
Muoio di mia sorella, di me mambino e del mio cigno
Una barca diepende come
Attracca in porto per un pelo
Piovono nel mio universo
Gli anni luce che abbandono
Sono il fantasma col girocollo
Che esce per la mascherata
Ti lancia nebbia di baci
Ti da rifugio nei suoi versi
Come la rete in giugno
Vi brillava il lupo altero
Quello che vidi splendere
Alle dita dell'arena.

Ricordi il can marino
Che liberammo su parola
Che abbaia nel gran deserto
Della necropoli di alghe
Io so che la vita è qua
Coi suoi polmoni di flanella
Quando certi giorni piove
ll freddo grigio col suo appello
Ricordo quelle serate
Le corse vinte sulla schiuma
Sbavavano i cavalloni
A filo degli scogli erosi
Angelo dei piaceri persi
Rumori d'altra abitudine
Le mie brame son divenute
Angoscia dell'abitudine

Diavolo di sere vinte
Col pallor delle riscosse
Lo squalo dei paradisi
Nel muschio madido del mezzo
Torna con i violini
Fanciulla verde dei fiordi
Nel porto russano i corni
Le fanfare dei ritorni
Profumo raro raro di salino
nel pepe fuoco dei geloni
Quando andavo geometrizzando
Il cuore al cavo della tua piaga
Nel disordine del tuo culo
Unto tra garze d'alba fina
vedevo un'altra vetrata
Faciulla verde del mio spleen

Le conchiglie dipinte
Sotto i sunlights spezzati e liquidi
Scuotono tante nacchere
Che sembran la Spagna livida
Dio di granito accogli
Il loro voto da parada
Quando il coltello penetra
Nelle nacchere del volto
Vedevo i presentimenti
E presentivo l'intravisto
Tra le persiane sanguinose
E i globuli che tracciavano
Matematiche azzurre
Su questo mare mai etale
Da dove poco a poco sale
la mia memoria delle stelle

Questo rumore che mi giunge
Dal caro arco ove m'accieco
le mani che van tremando
E ruminando muggiscono
Il rumore mi segue a lungo
Qual mendicante maedetto
Come l'ombra che perde tempo
A disegnare il mio teorema
E sotto il mio trucco da rosso
Sbatte come una porta
Questo rumore che sta in piedi
Per calli di musiche morte
Addio al mare, è finita
Sulla spiaggia la sabbia bela
Sono greggi di infinito
Quando il mare pastore chiama.

trad genseki

Nichita Stanescu

Il poeta all'etá di trent'anni


Nichita Stanescu

Nona Elegia
Quella dell'uovo

In uovo nero mi lascio scaldare
Nell'attesa del volo che mi infesta
Congiunte stanno una all'altra
Identitá con identitá.
Sentimento di ali sulle spalle,
La sensazione di un occhio
Va alla ricerca di un'orbita.
Oh, Tu! Immensa oscuritá
Nascita interrotta nel disgusto.
Su di me è discesa un'idea
Che materna mi cova.
Adesso, tutto ció che è
È calor rotondo e odo:
Esce da me una specie di becco
Simultaneamente e ovunque
Si rifiuta di essere obelisco
Intima colonna vertebrale ricurva
Rompo il mio guscio di pelle calcinata,
Che aderisce direttamente all'anima
Perché non faccia marcia indietro
Imparando a camminare.
Salta il guscio nero, olé!
Mi ritrovo piú grand e senza aver volato
Aderente a quel verso dove
Come l'abbraccio di una volta.
Indosso occhi dallo sguardo irreale
A destra, a sinistra, sopra e sotto,
Prtorendo stirpi di figli animali
Che sanno morire di una bella morte
Mi crescono iridate piume d'osso
Fino al negro cóncavo.
Saltano i gusci neri, tuti insieme,
Eccomi qua, ancora una volta, dolce,
Rinchiuso in un uovo piú grande
Covato da u'idea maggiore di molto
Mezo tuorlo, mezz'uccello
Nel gioco dei passi rubati
Grande uovo, sillaba stentorea
In crescita perpetua colta
Senza tetto
Stalattite
Sedotta.
Uova concentriche, nere, rotte
Una per una e in parte.
Pulcino rifiutato dal volo
Che penetra un uovo dopo l'altro
Fino ad Alcor dal cuore della terra
In un ritmico eco che si espande.
L'identitá vuole sfuggire all'identitá,
L'occhio dall'occhio, e sempre
In se stesso ricade pesante
Come neve nera.
Da un dentro a un altro maggior dentro
Nasci all'infinito, ala senza voli,
Solo dal sonno
Ci si puó risvegliare
Nessuno si sveglia dal guscio dell'esistenza, nessuno,
mai.

Trad. genseki

domenica, giugno 21, 2009

Montaignismi

Non sono capace di tradurre Montaigne. Come riprodurre questa lingua tanto flessibile da aderire alle piú sottili sfumature del pensiero? Lingua volgare che sembra scritta da qualcuno che pensi in latino e che voglia presentarsi con una semplicitá bonaria a volte quasi popolare.

La lingua di Montaigne ha una patina arcaica che sospetto fosse giá arcaica nel momento in cui egli scriveva ma che acquisisce una bellezza ancora piú rara oggi che si sviluppa sullo sfondo di quella perfetta struttura cristallina che è il francese classico.

Tradurre quesa meraviglia nel povero, stentato italiano che mi appartiene sarebbe uno stupro.

Se fossi capace di mimare la scrittura di un classico, e non lo sono, nemmeno saprei che pesci pigliare tra le eleganze della prosa umanistica e i riboboli toscani della coeva lettaratura italiana.

Così non lo traduco, lo contemplo in tutta la sua bellezza:


Montaigne e lo Zen


Quand je dance, je dance, quand je dors, je dors. Voire, et quand je me promène solitarement en un beau verger, si mes pensées se sont entretenues des occurences étrangères quelque partie de temps, quelque autre partie je les rameine à la promenade, au verger, à la douceur de cette solitude....

Essais

Livre III XIII De l'Expérience



venerdì, giugno 19, 2009

St. James Infirmary - Eric Clapton, Dr. John

JACK TEAGARDEN St. James Infirmary

Louis Armstrong - St. James Infirmary

Sono sceso all'ospedale di San Giacomo
A cercare la mia bambina
Lei giaceva su un lungo tavolo bianco
Era dolce tranquilla e ordinata

Sono salito a parlare col dottore:
“È proprio giú” mi ha detto
Son tornato dalla mia bambina
Mio dio Mio dio, era morta

Sono entrato nel bar di Gianni
All'angolo della strada
Mi ha servito come sempre
C'era sempre la stessa gente

Alla mia sinistra stava il vecchio Gianni
I suoi occhi come inondati di sangue
Fissavano tutta quella gente
Queste furono le parole che disse:

Lascia ora che vada in pace,
Signore con la tua benedizione
Se andasse fino alla fine del mondo
Non troverebbe un uomo migliore di me.

Quando morró vi prego seppellitemi
Con il mio Stetson da dieci dollari
Mettete un moneta da venti all'orologio
Gli amici sapranno che non son morto di fame

Sei buoni cavalli voglio per la mia bara
Sei ragazze per cantarmi una canzone
Una banda di jazz mi accompagni
Fino alla porta dell'inferno

Qui finisce anche la mia storia
Presto qualcuno paghi un altro giro
A chi lo voglia sapere rispondo:
Questo è il blues dell'Ospedale di san Giacomo.

Trad genseki

giovedì, giugno 18, 2009


Maurice Scéve

Dalla Délie

Traduzioni di genseki dedicate a Maresa.

In libertá vivevo nel mio aprile
Senza preoccupazioni, adolescente,
dagli occhi ignari del danno incombente
Pronti a stupirsi per la dolce presenza
Che con l'alta, divina sua eccellenza
Abbaglió l'alma ed i sensi talmente
Che dei suoi occhi l'arcier, semplicemente,
La mia volontá tutta ha asservita
E da quel dì, oramai continuamente
In sua beltá giacciono morte e vita.


Quellla beltá che abbelliva il mondo
Quand'Ella nacque in cui morendo vivo
Impresse al centro di un bagliore rotondo
Non solamente il suo viso ben vivo
Ma tanto ha lo spirto mio rapito
Nell'ammirare mirabil meraviglia
Che, come dea, quasi morto mi svegli
Alla chiarezza della mia brama funebre
In cui piú mi da luce, o meraviglia!
Piú mi lascia affondare nelle tenebre.

mercoledì, giugno 17, 2009

Se vuoi leggere ancora

Amico, ora basta!
Se vuoi leggere ancora
Fatti tu stesso scrittura
Divieni la tua essenza.

Angelus Silesius.


*
Trad. genseki