Contro i pensieri neri
Pensieri
Non neri pensieri
La loro relazione paradigmatica con la morte è una facile risorsa
Una cattiva metafora
I pensieri non piangono
Non compatiscono i loro oggetti
Nemmeno possono essere pensati come ausiliari della ragione
(Fourier non aveva poi torto quando annunciava la scienza della follía)
L'espropriato osserva che, nella prospettiva della morte, le cose
Forzate a occupare uno spazio limitato piuttosto che a fluire in un
Tempo amorfo suppostamente illimitato
Si ordinano come in un quadro di Mantegna
Mai prima si era visto cosí, al centro della scena
Come un santo con un leone ai suoi piedi
Non sono mai stato un santo e non addomesticai mai un leone
L'importante è il centro del quadro
Come lo vedo, come lo vedono
Nella prospettiva dell'equidistanza
il fatto di essere senza che questo sia un motivo di orgoglio
(Che orgoglio puó mai avere colui che sta per morire?)
Il centro di un piccolo sistema planetario
Al quale, in onore della chiarezza, manca una quarta dimensione
Il tempo, il punto cieco della prospettiva.
Enrique Lihn
Trad genseki
lunedì, gennaio 17, 2011
La porta e il portatore
Barzakh, vi si entra seguendo, magari un portatore della chiave, io non en ho mai incontrati, di portatori di chiavi tranne forse quella splendida figliola finlandese che coccolava un gatto tra i due seni perfetti in una pizzzeria di Via Meravigli a Milano. Non la ho seguita peró. La siciliana amara di Bra che voleva che io gli restituissi la copia del quotidiano che mi aveva prestato, ma non una qualsiasi copia di quel quotidiano, proprio quella che mi aveva prestato, Io mentivo compulsivamente allora, e cercavo di entrare nel Mondo dei Significati attarverso le porte al fondo delle case, degli appartamenti, delle villette, delle camere di albergo. Ogni luogo abitabile, allora mi pareva la porta aperta sulla meraviglia di una vita possibile, si aprivano davanti a me inesauribili vite possibili e la pura vita possibile era per me una finestra aperta su un cortile triste, su un grande albero sporco, su una via poco frequentata a guardare la pioggia cadere per sempre un mattino di riposo ma non di festa, un mattino di sciopero o di alluvione o di incipiente guerra civile, insomma un mattino senza lavoro ma feriale, alla finestra che piove. Poi queste porte si sono chiuse, adesso sono scomparse e cerco dentro di me la meraviglia: percheggio il furgone sotto un albero, al fresco, in periferia, ragazzi zingari bruciano piramide di pneumatici e poi vi girano in torno con le moto che urlano pú del sole. Chiudo gli occhi e cerco la porta o il portatore nella paura che sale dentro di me e che come un'onda si solleva dentro di me e con sé mi porta oltre la soglia di Barzakh a Rue Fontaine 41
Enrique Lihn
Nel 1999, tornato dal Venezuela sognai che mi portavano alla casa dove viveva, allora, Enrique Lihn, in un paese che avrebbe potuto essere il Cile e in una cittá che avrebbe potuto essere Santiago, se pensaimo che il Cile e Santiago per un certo periodo furono simili all'inferno e che questa somiglianza, in qualche profonditá della cittá reale e della cittá immaginaria rimarrá
per sempre. Certo io sapevo che Enrique Lihn era già morto, tuttavia, quando mi invitarono a fare la sua conoscenza non mi opposi. Foprse pensai in uno scherzo di quelli che erano con me, tutti cileni, o forse in un miracole. Probabiolmente non pensai un bel niente, o non mi resi ben conto di quello che avevano detto.
...
Al principio lo ricobbi a stento, la sua faccia non era quella che appare nelle foto dei suoi libri, era dimagrito e ringiovanito, era piú bello, i suoi occhi erano migliori che quelli in biaco e nero della quarta di copertina. In relatá Lihn non sembrava Lihn, ormai quanto piuttosto uno di quegli attori di Hollywood di serie B che appaiono nei film che vanno subito in TV o che non passano mai nelle sale europee e entrano immediatamente nei videoclub. Comunque anche se non somigilia a se stesso Lihn era Lihn, non vi era alcun dubbio.
Roberto Bolaño
Incontro con Enrique Lihn
Trad genseki
Al principio lo ricobbi a stento, la sua faccia non era quella che appare nelle foto dei suoi libri, era dimagrito e ringiovanito, era piú bello, i suoi occhi erano migliori che quelli in biaco e nero della quarta di copertina. In relatá Lihn non sembrava Lihn, ormai quanto piuttosto uno di quegli attori di Hollywood di serie B che appaiono nei film che vanno subito in TV o che non passano mai nelle sale europee e entrano immediatamente nei videoclub. Comunque anche se non somigilia a se stesso Lihn era Lihn, non vi era alcun dubbio.
Roberto Bolaño
Incontro con Enrique Lihn
Trad genseki
Enrique Lihn
Ora davvero tu e io siamo piú lontani uno dall'altro
Che due stelle in galassie differenti.
Nessun astronomo mai riuscirá a vederci insieme
Nel suo vertiginoso campo visuale
Né il fotografo di cartagena davanti alla sua Polaroid
Cosí fu per sette anni infiniti
Le altre immagini sono nubi di memoria
Da questa e da quelle se ne è andata la vita.
Drive in
Sullo schermo si legge: è solo per te
La proiezione comincerebbe se finalmente ti adormentassi
Se non fosse perché, a volte, per fortuna, la perdi
Vai al cinema da solo
Sei solo sullo schermo
I tuoi incontri con la star
Sarano pure fatali ma non aggiungono
Il suo nome alla povertá del cast:
Sei tu che reciti tutte le parti.
Magari, sará l'ultima volta che lavoreremo insieme
L'angoscia che ti sveglia suona falsa
Rinunzi ad annotare nel tuo quaderno dei sogni
Questa cosa da nulla che riempirebbe cento pagine
L'analisi che alla fine
Sarebbe un'operazione di routine.
Buona notte Achille
Finalmente ce l'abbiamo fatta a prenderti nel tallone
La morte che fuggi
Correrá senza scomporsi accanto a te.
Buona notte, Achille
Sto per attraversare la barriera
Sto per attraversare la barriera
Dello specchio per vedere
Ció che non si puó vedere:
Come sarebbe il mondo
Se copiasse lo specchio
La realtá non al rovescio
Colma infine del suo nulla.
Siccome erano anni che mi detestavi
Sicome erano anni che mi detestavi
Perché a tuo insindacabile giudizio ero stato
Cattivo coniuge d'una amica tua
Mi scegliesti per farmi dir di tuo marito
Cose che ripetesti avendole inventate
Come se io le avesi dette di lui, tra amici comuni
In una casa precisa
“Un perfetto mediocre”
Volesti infliggergli questa ferita nel costato
Celebro qui tutta la precisione
Della femmine perversitá
Per fare ammenda dei miei eccessi in lode e per la gloria
Delle donne
Mi piacerrebe ascoltare la tua verione dei fatti un giorno o l'altro
Ma, naturalmente, dopo la morte.
Come se il sogno fosse scritto in strofe regolari
Come se il sogno fosse scritto in strofe regolari
Ogni risveglio notturno significa
Che il corpo si riabitua alla sua idea fissa: il nemico
Monta la guardia dentro di lui
Senza mai chiudere un occhio
Signore e padrone della cittadella conquistata.
Enrique Lihn
Trad genseki
Che due stelle in galassie differenti.
Nessun astronomo mai riuscirá a vederci insieme
Nel suo vertiginoso campo visuale
Né il fotografo di cartagena davanti alla sua Polaroid
Cosí fu per sette anni infiniti
Le altre immagini sono nubi di memoria
Da questa e da quelle se ne è andata la vita.
Drive in
Sullo schermo si legge: è solo per te
La proiezione comincerebbe se finalmente ti adormentassi
Se non fosse perché, a volte, per fortuna, la perdi
Vai al cinema da solo
Sei solo sullo schermo
I tuoi incontri con la star
Sarano pure fatali ma non aggiungono
Il suo nome alla povertá del cast:
Sei tu che reciti tutte le parti.
Magari, sará l'ultima volta che lavoreremo insieme
L'angoscia che ti sveglia suona falsa
Rinunzi ad annotare nel tuo quaderno dei sogni
Questa cosa da nulla che riempirebbe cento pagine
L'analisi che alla fine
Sarebbe un'operazione di routine.
Buona notte Achille
Finalmente ce l'abbiamo fatta a prenderti nel tallone
La morte che fuggi
Correrá senza scomporsi accanto a te.
Buona notte, Achille
Sto per attraversare la barriera
Sto per attraversare la barriera
Dello specchio per vedere
Ció che non si puó vedere:
Come sarebbe il mondo
Se copiasse lo specchio
La realtá non al rovescio
Colma infine del suo nulla.
Siccome erano anni che mi detestavi
Sicome erano anni che mi detestavi
Perché a tuo insindacabile giudizio ero stato
Cattivo coniuge d'una amica tua
Mi scegliesti per farmi dir di tuo marito
Cose che ripetesti avendole inventate
Come se io le avesi dette di lui, tra amici comuni
In una casa precisa
“Un perfetto mediocre”
Volesti infliggergli questa ferita nel costato
Celebro qui tutta la precisione
Della femmine perversitá
Per fare ammenda dei miei eccessi in lode e per la gloria
Delle donne
Mi piacerrebe ascoltare la tua verione dei fatti un giorno o l'altro
Ma, naturalmente, dopo la morte.
Come se il sogno fosse scritto in strofe regolari
Come se il sogno fosse scritto in strofe regolari
Ogni risveglio notturno significa
Che il corpo si riabitua alla sua idea fissa: il nemico
Monta la guardia dentro di lui
Senza mai chiudere un occhio
Signore e padrone della cittadella conquistata.
Enrique Lihn
Trad genseki
Rue Fontaine 41
Rue Fontaine 41
Che è il nome adeguato per un nuovo blog o un nuovo diario o entrambe le cose, ancora non lo so, Rue Fontaine è da intendersi come l'indice, la localizazione geografica, e storica, in una certa misura del Barzakh. Una porta del Barzakh, insomma. E questo vuol dire che in realtá il mio modo di pensare mostra una continuitá che mi sorprende. La sorpresa dipende, credo, dal fatto che io mi sforzo di stare piú attento alle discontinuitá e alle variazioni che alla continuitá. l'anima, (che oggi si suole chiamare mente) è una successione di avvenimenti discreti e non continui, la continuitá è un'illusione. Questo equivale a dire che se si nega la continuitá dell'anima si finisce per riaffermarla come illusione, ovvero, una continuitá vi è e questa è la coninuitá dell'illusione che vi sia una continuitá, mentre la realtá è che i pensieri sorgono come bolle nell'acqua della marmitta in modo discreto, senza logica, senza relazioni e cosí come sono sorti ricompaiono e con i pensieri anche l'anima è sorta come una discontinutá e scoppierá come una bollicina confondendosi nell'acqua del tutto. Ora che ci penso mi pare che anche nel sorgere discreto dei pensieri ci sia una continuitá, la continuitá del loro stesso apparire: i pensieri e gli altri eventi che occorrono nell'anima, occorrono, appunto in modo continuo, non si possono mai arrestare. Sembra quindi che l'anima sia dotata di due ripi di continuitá, una la continuitá del'illusione e l'altra la continuitá della produzione.
Comunque alla soglia della vecchiaia comincio ad afferarmi come un naufrago ai tronchi marci di acqua salata alle occorrenze di continuitá. Volevo godermela questa mia vecchiaia cecando i semi a partire dai rami su cui le foglie giá hanno acquistato il colore del rame, avevo fatto, naturalemente, i conti senza il dolore e la debolezza che ora minacciano la mia capacitá di godere di qualsiasi cosa e meno ancora della vecchiaia. Cerco le origini delle mie convinzioni piú profonde, dei gesti e delle decisioni che hanno condizionato la mia vita e che la condizionano. La vecchiaia (incipiente) è come un altipiano. (Ovvero come l'illusione di un altipiano, sembra un altipiano perché è incipiente, poi giungerá a sembrare persino una parete, e credo che finira per apparire come uno strapiombo notturno con il trampolino dell'ultimo salto) da quassú si vedono tutti i sentieri che abbiamo percorso per arrivare fin quassú. (verso i ventanni pensavo che avrebbero finito per delineare una forma, un'immagine, una parola, che fosse il senso della vita, del percorso “Die Linien des Lebens sind verschieden”... ora temo che non sará cosí bello e nitido) e le loro intersezioni. Ho notato che le origini sono spesso un brano che lessi e dimenticai completamente, una poesia, una parola a volte, che non ricordavo ssolutamente piú e che si sono sviluppati come semi appunto in ramificati edifizi arborei. Io parto dalla fogliolina giallina lassú sul ramo tremolante e scendo nel tempo e nello spazio fino a trovare il seme che ha generato tutto questo e quando lo trovo sono sorpreso dalla casualitá di tutto il processo.
Che è il nome adeguato per un nuovo blog o un nuovo diario o entrambe le cose, ancora non lo so, Rue Fontaine è da intendersi come l'indice, la localizazione geografica, e storica, in una certa misura del Barzakh. Una porta del Barzakh, insomma. E questo vuol dire che in realtá il mio modo di pensare mostra una continuitá che mi sorprende. La sorpresa dipende, credo, dal fatto che io mi sforzo di stare piú attento alle discontinuitá e alle variazioni che alla continuitá. l'anima, (che oggi si suole chiamare mente) è una successione di avvenimenti discreti e non continui, la continuitá è un'illusione. Questo equivale a dire che se si nega la continuitá dell'anima si finisce per riaffermarla come illusione, ovvero, una continuitá vi è e questa è la coninuitá dell'illusione che vi sia una continuitá, mentre la realtá è che i pensieri sorgono come bolle nell'acqua della marmitta in modo discreto, senza logica, senza relazioni e cosí come sono sorti ricompaiono e con i pensieri anche l'anima è sorta come una discontinutá e scoppierá come una bollicina confondendosi nell'acqua del tutto. Ora che ci penso mi pare che anche nel sorgere discreto dei pensieri ci sia una continuitá, la continuitá del loro stesso apparire: i pensieri e gli altri eventi che occorrono nell'anima, occorrono, appunto in modo continuo, non si possono mai arrestare. Sembra quindi che l'anima sia dotata di due ripi di continuitá, una la continuitá del'illusione e l'altra la continuitá della produzione.
Comunque alla soglia della vecchiaia comincio ad afferarmi come un naufrago ai tronchi marci di acqua salata alle occorrenze di continuitá. Volevo godermela questa mia vecchiaia cecando i semi a partire dai rami su cui le foglie giá hanno acquistato il colore del rame, avevo fatto, naturalemente, i conti senza il dolore e la debolezza che ora minacciano la mia capacitá di godere di qualsiasi cosa e meno ancora della vecchiaia. Cerco le origini delle mie convinzioni piú profonde, dei gesti e delle decisioni che hanno condizionato la mia vita e che la condizionano. La vecchiaia (incipiente) è come un altipiano. (Ovvero come l'illusione di un altipiano, sembra un altipiano perché è incipiente, poi giungerá a sembrare persino una parete, e credo che finira per apparire come uno strapiombo notturno con il trampolino dell'ultimo salto) da quassú si vedono tutti i sentieri che abbiamo percorso per arrivare fin quassú. (verso i ventanni pensavo che avrebbero finito per delineare una forma, un'immagine, una parola, che fosse il senso della vita, del percorso “Die Linien des Lebens sind verschieden”... ora temo che non sará cosí bello e nitido) e le loro intersezioni. Ho notato che le origini sono spesso un brano che lessi e dimenticai completamente, una poesia, una parola a volte, che non ricordavo ssolutamente piú e che si sono sviluppati come semi appunto in ramificati edifizi arborei. Io parto dalla fogliolina giallina lassú sul ramo tremolante e scendo nel tempo e nello spazio fino a trovare il seme che ha generato tutto questo e quando lo trovo sono sorpreso dalla casualitá di tutto il processo.
mercoledì, dicembre 22, 2010
Memoria
Considerato, oggi, il passato mi appare come la faccia visibile della luna, con tutto quello che vi si voglia vedere di fantasmagorico e di impreciso. Luci, ombre, figure, La veritá, o quella cosa che si è abituati a chiamare veritá, proprio quella, io non la conosco, la dimentico, non la guardo, non so che cosa sia. Eppure io mo sento capacissimo di scrivere qualche cosa che si potrebbe chiamare un romanzo, una narrazione in cui non appaia assolutamente nessun essere del passato, nessun avvenimento accaduto, ma nel quale i fatti descritti da me e gli esseri che avró fatto agire saranno piú comparabili a ció che esistette che la loro fotografia fedelmente conservata nei ricordi e nei documenti...
Naturalmente tratteró di avvenimenti e faró delle dichiarazioni. Tuttavia non li considererño altro che vecchi vestiti, piú o meno amati di cui ci si ricorsda con una certa emozione, di viaggi compiuti, foto di un album di famiglia, parleró delle cose vissute con il sentimento di farmio capire.
Georges Ribemont-Dessaignes
Avant Dada
trad. genseki
Naturalmente tratteró di avvenimenti e faró delle dichiarazioni. Tuttavia non li considererño altro che vecchi vestiti, piú o meno amati di cui ci si ricorsda con una certa emozione, di viaggi compiuti, foto di un album di famiglia, parleró delle cose vissute con il sentimento di farmio capire.
Georges Ribemont-Dessaignes
Avant Dada
trad. genseki
martedì, dicembre 21, 2010
Preludio delle origini
Da cosa sei nato o poeta? Dal tempo e dallo spazio,
Senza principio né fine,
Senza padre e senza madre
Sorgente nel giardino delle origini.
Qualcuno chiede qual è la sua nascita?
Dall'acqua che sgorga dalla prima sorgente.
Oh fontana della memoria, fontana del gran centro della terra
Anche tu nascesti, tu che scorri sui ciottoli bianchi del ricordo,
Di ció che era senza essere, prima del sapere dell'esistenza?
Eccoti voluta arrotolata come una vipera
Sviluppata nella marea amica al sole e alla luna
E presto sfuggente alla mano che si bagna
Al piede che osa
Marciare sull'acqua
Da chi sono nato? Forse dal vento,
Dal gran vento senza pace, senza dimora
Anch'egli nato dagli orizzonti che mai raggiungono
Né la mano adulatrice
Né il piede del viaggiatore che per calmarlo meglio
Maschera la sua marcia in danza e la sua danza in volo.
Dal gran vento con criniera di giumenta
Con dita di foglie morte,
Con grida d'uccello migratore
Dal sonno senza riposo all'ombra dei camini,
Dallo sguardo di fumo,
Dall'amore crudele dei soli estivi
Nelle valli piú ampie,
Informato del sangue degli omicidi e delle lacrime dei lutti
Su pietre, polvere e sudore.
Forse sei nato dalla notte o dal fuoco?
È vero, ho visto le greggi transumanti
Dormire in uno spazio di pacifiche tenebre,
Mentre negli angoli cupi dimenticati dagli uomini
Risplendeva l'infimo miracolo dei versi lucenti.
Davvero ho visto sulle panchine della solitudine
Sulla lenta deriva dello zodiaco,
Intrecciarsi le mani, fondersi gli aliti
Aprirsi i cuori da dove sgocciolava
Un pianto straziante e divino.
Davvero ho visto danzare il fuoco sulla punta dell'erba
Correre sulle colline e godere della fuga del mistero,
Vegliare come l'amore in preda al ricordo
Nell'atrio del silenzio
Attorto dalle delizie del suicidio e i deliri,
Scaturito dal mio respiro con la fiamma che lo divora
E con cui nutre la sua fame di troni, sangue e contrade
Fino a vomitare da solo le proprie ossa, la pomice e lo zolfo
E la cenere della sua potenza.
Davvero in qualche eden di noncuranza
Ho visto lucciole accendersi tra balsami notturni
Fuochi fatui di assenza e mancanza
Sogno noncurante di raggiungere con due strilli il silenzio.
Forse, peró nacqui dalla terra,
Come un'erba, un grillo, una pietra
Come un¡eco da tempo dimenticata in un pozzo
Che germina di colpo quando la linfa cresce
E svapora sospiro promesso alla rugiada,
Liana virtuale aspirata dalle stelle,
Fuori dal tuo ventre, peso del cuore, terra mia.
Eccomi in equilibrio tra due forze
Danzatore effimero
Per un eterno giorno
Per un amore eterno,
Gioiello leggero impermanente
Per la vita eterna
Per la morte eterna
Ammutolisca la domanda posta!
Fratelli, sono ma giammai non naqui.
Georges Ribemont-Dessaignes
Trad. genseki
Senza principio né fine,
Senza padre e senza madre
Sorgente nel giardino delle origini.
Qualcuno chiede qual è la sua nascita?
Dall'acqua che sgorga dalla prima sorgente.
Oh fontana della memoria, fontana del gran centro della terra
Anche tu nascesti, tu che scorri sui ciottoli bianchi del ricordo,
Di ció che era senza essere, prima del sapere dell'esistenza?
Eccoti voluta arrotolata come una vipera
Sviluppata nella marea amica al sole e alla luna
E presto sfuggente alla mano che si bagna
Al piede che osa
Marciare sull'acqua
Da chi sono nato? Forse dal vento,
Dal gran vento senza pace, senza dimora
Anch'egli nato dagli orizzonti che mai raggiungono
Né la mano adulatrice
Né il piede del viaggiatore che per calmarlo meglio
Maschera la sua marcia in danza e la sua danza in volo.
Dal gran vento con criniera di giumenta
Con dita di foglie morte,
Con grida d'uccello migratore
Dal sonno senza riposo all'ombra dei camini,
Dallo sguardo di fumo,
Dall'amore crudele dei soli estivi
Nelle valli piú ampie,
Informato del sangue degli omicidi e delle lacrime dei lutti
Su pietre, polvere e sudore.
Forse sei nato dalla notte o dal fuoco?
È vero, ho visto le greggi transumanti
Dormire in uno spazio di pacifiche tenebre,
Mentre negli angoli cupi dimenticati dagli uomini
Risplendeva l'infimo miracolo dei versi lucenti.
Davvero ho visto sulle panchine della solitudine
Sulla lenta deriva dello zodiaco,
Intrecciarsi le mani, fondersi gli aliti
Aprirsi i cuori da dove sgocciolava
Un pianto straziante e divino.
Davvero ho visto danzare il fuoco sulla punta dell'erba
Correre sulle colline e godere della fuga del mistero,
Vegliare come l'amore in preda al ricordo
Nell'atrio del silenzio
Attorto dalle delizie del suicidio e i deliri,
Scaturito dal mio respiro con la fiamma che lo divora
E con cui nutre la sua fame di troni, sangue e contrade
Fino a vomitare da solo le proprie ossa, la pomice e lo zolfo
E la cenere della sua potenza.
Davvero in qualche eden di noncuranza
Ho visto lucciole accendersi tra balsami notturni
Fuochi fatui di assenza e mancanza
Sogno noncurante di raggiungere con due strilli il silenzio.
Forse, peró nacqui dalla terra,
Come un'erba, un grillo, una pietra
Come un¡eco da tempo dimenticata in un pozzo
Che germina di colpo quando la linfa cresce
E svapora sospiro promesso alla rugiada,
Liana virtuale aspirata dalle stelle,
Fuori dal tuo ventre, peso del cuore, terra mia.
Eccomi in equilibrio tra due forze
Danzatore effimero
Per un eterno giorno
Per un amore eterno,
Gioiello leggero impermanente
Per la vita eterna
Per la morte eterna
Ammutolisca la domanda posta!
Fratelli, sono ma giammai non naqui.
Georges Ribemont-Dessaignes
Trad. genseki
sabato, dicembre 18, 2010
Tra i fiori degli ontani
Altri vivrá forse di mercoledi altre mattine
Io i miei mercoledi gli ho persi con l'inverno
E con la solitudine. mercoledi di mercato
Senza treni, mercoledi al caffé pensando
Al tuo stupore di vedermi nello specchio
Dove custodisci tutte le prospettive
Mercoldi di fusarie e di anemoni
Mercoledi tra tricoloma e muscaria
Mercoledi stringendo la tua crinolina
Domando i tuoi fianchi sul materasso di rame
Mercoledi fiutando benzina all'angolo del sicomoro
Mercoledi spiando i tuoi piedi
Desiderosi di tacco e cerniera
Mercoledi pisciando nel lavabo
D'una stanza nemica senza rami
Il melo alla finestra era solo un fantasma
Tu cantavi tra i fiori degli ontani.
genseki
Io i miei mercoledi gli ho persi con l'inverno
E con la solitudine. mercoledi di mercato
Senza treni, mercoledi al caffé pensando
Al tuo stupore di vedermi nello specchio
Dove custodisci tutte le prospettive
Mercoldi di fusarie e di anemoni
Mercoledi tra tricoloma e muscaria
Mercoledi stringendo la tua crinolina
Domando i tuoi fianchi sul materasso di rame
Mercoledi fiutando benzina all'angolo del sicomoro
Mercoledi spiando i tuoi piedi
Desiderosi di tacco e cerniera
Mercoledi pisciando nel lavabo
D'una stanza nemica senza rami
Il melo alla finestra era solo un fantasma
Tu cantavi tra i fiori degli ontani.
genseki
Nel tuo fiume
Invano avevo cercato di guadarti
Coscienziosamente avvolgendomi i gins
Al di sopra la caviglia
Poi finivo sempre per inciampare e sommergermi in te
Nel tuo fiume
E andare in letargo come uno di quei caimani
Che avevano fatto indigestione di tartarughe
E non avevo abbastanza lacrime
Per confluire nel tuo fiume
Per esserti affluente del tuo corso torrentizio
Per fondermi nella tua corrente principale
Accarezzato dalle tue anguille
Avevo nausea invece, mi trascinavi,
Come un travicello per i tuoi mulinelli
Invano cercavo la pozza, lo stagno
Invano tendevo le mani ai rami degli ontani.
Ero grasso, maledizione, e nudo,
Ero la tua balena d'acqua dolce
Su di me si posavano anche gli aironi
Rosa e cinerini, non avevo mai avuto
La destrezza necessaria per farmi acqua
Cataratta delle tue angosce, cascata dei tuoi soprassalti
No poco a poco andavo evaporando
Tra le tife e i canneti nella carezza di quel sole
Che portava al pascolo tutte le sue nuvole.
genseki
Coscienziosamente avvolgendomi i gins
Al di sopra la caviglia
Poi finivo sempre per inciampare e sommergermi in te
Nel tuo fiume
E andare in letargo come uno di quei caimani
Che avevano fatto indigestione di tartarughe
E non avevo abbastanza lacrime
Per confluire nel tuo fiume
Per esserti affluente del tuo corso torrentizio
Per fondermi nella tua corrente principale
Accarezzato dalle tue anguille
Avevo nausea invece, mi trascinavi,
Come un travicello per i tuoi mulinelli
Invano cercavo la pozza, lo stagno
Invano tendevo le mani ai rami degli ontani.
Ero grasso, maledizione, e nudo,
Ero la tua balena d'acqua dolce
Su di me si posavano anche gli aironi
Rosa e cinerini, non avevo mai avuto
La destrezza necessaria per farmi acqua
Cataratta delle tue angosce, cascata dei tuoi soprassalti
No poco a poco andavo evaporando
Tra le tife e i canneti nella carezza di quel sole
Che portava al pascolo tutte le sue nuvole.
genseki
gemini e apollo
Cosa fosse poi quel nostro discorrere da un equivoco all'altro
Quando in fondo quello che cercavo
Era solo tepore, luce di un giorno feriale
Minestra sorbita lentamente col cucchiaio
A radio spenta le ciabatte della vicina di ballatoio
Le tue labbra sapevano allora di zinco, le tue dita
O le tue dita intorno a tutti quei bicchieri
Come fuscelli tirolesi mi richiamavano
Alle estati alpine dell'infanzia
Quando ero grasso e felice e solo come una felce
E gemini e apollo riempivano il cielo notturno
Da dove sei venuta fuori, da quale mattino
Da quale sciopero dei tram o dei treni
Da quale dei tanti miei mercoledi all'alba
Fragranti di soltudine tra i bagolari?
La tuta del mercoledí era davvero rosa?
I tuoi seni odoravano di posacenere
Di tappo di bottiglia di birra dell'infanzia
I tuoi capelli stingevano sul sofá
Nell'umiditá richiamo per i merli.
genseki
Quando in fondo quello che cercavo
Era solo tepore, luce di un giorno feriale
Minestra sorbita lentamente col cucchiaio
A radio spenta le ciabatte della vicina di ballatoio
Le tue labbra sapevano allora di zinco, le tue dita
O le tue dita intorno a tutti quei bicchieri
Come fuscelli tirolesi mi richiamavano
Alle estati alpine dell'infanzia
Quando ero grasso e felice e solo come una felce
E gemini e apollo riempivano il cielo notturno
Da dove sei venuta fuori, da quale mattino
Da quale sciopero dei tram o dei treni
Da quale dei tanti miei mercoledi all'alba
Fragranti di soltudine tra i bagolari?
La tuta del mercoledí era davvero rosa?
I tuoi seni odoravano di posacenere
Di tappo di bottiglia di birra dell'infanzia
I tuoi capelli stingevano sul sofá
Nell'umiditá richiamo per i merli.
genseki
Ontologia e caffé
Il caffé lo preferivi senza sale
L'ontologia dialettica
Scendevi le scale da anni nei miei sogni
E le tue ascelle erano il nido
O la tana tiepida del mio frugare
L'indivia nel tinello
L'odore di ammoniaco sul pianerottolo
Tutto quanto in una luce di sabato mattina
Vissuto al mercoledi, non pensavo nemmeno
A togliere i tuoi alluci dalle tasche del mio cappotto
Quando dovevo andare al Collegio Docenti
Gli accarezzavo mentre dormivo sul calorifero
Ma comprando il giornale mi dimenticavo il tuo nome
Il tuo indirizzo era quello di un altro portone
Se sventolavi lo facevi da un altro balcone
Il mio desiderio si perdeva tra le antenne
Poi ti incontravo in una nuova latteria
E era sempre una sorpresa vederti tra i ceci
E la mezzaluna fragrante della panissa
E non sapere come cominciare quel discorso
Che si era tane volte interrotto per sempre.
*
genseki
L'ontologia dialettica
Scendevi le scale da anni nei miei sogni
E le tue ascelle erano il nido
O la tana tiepida del mio frugare
L'indivia nel tinello
L'odore di ammoniaco sul pianerottolo
Tutto quanto in una luce di sabato mattina
Vissuto al mercoledi, non pensavo nemmeno
A togliere i tuoi alluci dalle tasche del mio cappotto
Quando dovevo andare al Collegio Docenti
Gli accarezzavo mentre dormivo sul calorifero
Ma comprando il giornale mi dimenticavo il tuo nome
Il tuo indirizzo era quello di un altro portone
Se sventolavi lo facevi da un altro balcone
Il mio desiderio si perdeva tra le antenne
Poi ti incontravo in una nuova latteria
E era sempre una sorpresa vederti tra i ceci
E la mezzaluna fragrante della panissa
E non sapere come cominciare quel discorso
Che si era tane volte interrotto per sempre.
*
genseki
Nascita del canto
Poi sarebbero apparse anche le ali
Sole, sull'orizzonte come una fuga di pioppi
Nel crepuscolo del parabrezza
Come l'arco di un'arpa vulcanica inclinata sulla pianura
E noi due li a tremare
Con i palmi madidi delle mani
Con i pollici in astinenza e tutto quel rimorso di bottiglie
Sulla sporcizia dimenticata dei tavoli
Immonde nella loro diafana immensitá
Ci minacciavano fin nel ventre del bagagliaio
Dove ci stringemmo tra catene e ruote di scorta
Nel desiderio di un'altra nascita canora.
genseki
Sole, sull'orizzonte come una fuga di pioppi
Nel crepuscolo del parabrezza
Come l'arco di un'arpa vulcanica inclinata sulla pianura
E noi due li a tremare
Con i palmi madidi delle mani
Con i pollici in astinenza e tutto quel rimorso di bottiglie
Sulla sporcizia dimenticata dei tavoli
Immonde nella loro diafana immensitá
Ci minacciavano fin nel ventre del bagagliaio
Dove ci stringemmo tra catene e ruote di scorta
Nel desiderio di un'altra nascita canora.
genseki
Da altri vertici mossa, sibilando, fragorosa
Come lava che nel suo cammino sfrigolando soffoca
L'ascoltavo avanzare ma il nero, l'oscuro
Non era il manto, non l'avvolgente panneggio
Che rifulgeva notturno; l'ossame avariato
Che ticchettava nella sua voce e quell'odore di farina
Che finiva per disfare anche la speranza.
Non lasciavano spazio alla serenitá selvosa
Che percepivo salire dal muschio, dalla foglie di betulla
Gioielli sul velluto delicato degli aghi di pino.
Alle spalle, come l'alito dell'attesa, gialla
Come l'avorio dello sfinimento con passo arenoso,
Tra gli anemoni marciti delle primavere che mancammo
Scendeva come fuoco incerto serpeggiante tra trucioli,
Tra rovi, da vertici ove i Baal sanguinavano dai ventri
Gonfi e crudeli, la maledizione sfinita
Che evocammo sul nostro abbraccio
A sigillarne il patto infecondo come monete
Prestate l'una all'altra nel mutuo d'usura dei corpi.
Cosí ci avrebbe trovati come il morto diadema
Nella tomba dello scrigno vuoto tra le risatine dei sorci
E lo schiamazzare dei corvi pochi istanti prima
Che tutto il bosco crollasse e la realtá del male
Si svelasse nella sua nausea d'oceano.
genseki
Come lava che nel suo cammino sfrigolando soffoca
L'ascoltavo avanzare ma il nero, l'oscuro
Non era il manto, non l'avvolgente panneggio
Che rifulgeva notturno; l'ossame avariato
Che ticchettava nella sua voce e quell'odore di farina
Che finiva per disfare anche la speranza.
Non lasciavano spazio alla serenitá selvosa
Che percepivo salire dal muschio, dalla foglie di betulla
Gioielli sul velluto delicato degli aghi di pino.
Alle spalle, come l'alito dell'attesa, gialla
Come l'avorio dello sfinimento con passo arenoso,
Tra gli anemoni marciti delle primavere che mancammo
Scendeva come fuoco incerto serpeggiante tra trucioli,
Tra rovi, da vertici ove i Baal sanguinavano dai ventri
Gonfi e crudeli, la maledizione sfinita
Che evocammo sul nostro abbraccio
A sigillarne il patto infecondo come monete
Prestate l'una all'altra nel mutuo d'usura dei corpi.
Cosí ci avrebbe trovati come il morto diadema
Nella tomba dello scrigno vuoto tra le risatine dei sorci
E lo schiamazzare dei corvi pochi istanti prima
Che tutto il bosco crollasse e la realtá del male
Si svelasse nella sua nausea d'oceano.
genseki
Al confine, al silenzio
Era nel punto di intersezione del sogno
Che perforava la palma il centro di quella e altre reti
Staccionate, filo spinato
altri limiti e canalizzazioni come vene
Dello spazio inclinato, del manto, della pelle
Era nel punto in cui il sogno confina con il simbolo
Sotto quel lnguaggio frondoso, la brezza di trillanti ghirlande
E l'anima che il pollame lascia cadere nelle piume bianche
Che avanzava verso il proprio sogno
E che in esso avanzanza anche quel nulla
L'altro, il senza tempo, l'oscuro volto di luce assoluta
E non era che il suo corpo addormentato
Quello che carbonizzava le parole, che si assopiva nei suoi brividi
Che si faceva eterno nel panico e poi nell'alito
Piú fermo ancora convinto in se stesso posto
A guardia del suo concepirsi di fronte alla possibilitá
Al confine, al silenzio.
genseki
Che perforava la palma il centro di quella e altre reti
Staccionate, filo spinato
altri limiti e canalizzazioni come vene
Dello spazio inclinato, del manto, della pelle
Era nel punto in cui il sogno confina con il simbolo
Sotto quel lnguaggio frondoso, la brezza di trillanti ghirlande
E l'anima che il pollame lascia cadere nelle piume bianche
Che avanzava verso il proprio sogno
E che in esso avanzanza anche quel nulla
L'altro, il senza tempo, l'oscuro volto di luce assoluta
E non era che il suo corpo addormentato
Quello che carbonizzava le parole, che si assopiva nei suoi brividi
Che si faceva eterno nel panico e poi nell'alito
Piú fermo ancora convinto in se stesso posto
A guardia del suo concepirsi di fronte alla possibilitá
Al confine, al silenzio.
genseki
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