sabato, ottobre 23, 2010

José Coronel Urtecho

José Coronel Urtecho

Questo è come la luce
Questo è luce
Utile come la luce
Così adorabile
Incantevole

La poesia è di sicuro
Pú interessante e più apprezzata
E certamente piú incantevole
Delle cascate del Niagara, del Gran Canyon
l'Oceano Atlantico
E altri ancora piú ammirevoli fenomeni naturali.
È utile almeno come la luce e altrettanto meravigliosa.
Stravagante
Precisamente perché rende possibile dire
Che non è possibile far muovere una montagna ma una poesia
Puó
Essere mossa ovunque.

Gratamente mostruosa
Perché puó dire sul serio o per scherzo:
"La poesia è migliore della speranza,
Perché la poesia è la pazienza della speranza,
E tutte le immagini vive della speranza,
La poesia è meglio dell'eccitazione, piú deliziosa,
La poesia è superiore al successo e alla vittoria.
La sua serena benedizione persiste
Molto dopo che la piú favolosa prodeza
È decollata come un bengala ed è caduta
La poesia è un animale molto piú afascinante e potente
Di quanti bosco, giungla, arca, circo, o zoo
Possano contenere".

Perché la poesia ingrandice e sublima la realtá:
La poesia dice della realtá che se è magnifica
È pure stupida:
Perché in certo modo la poesia è onnipotente,
Perché la realtá è varia, ricca, potente e viva,
Ma non basta,
Perché è stupida e disodinata o solo a tratti
In modo erratico, intelligente:
Perché senza la poesia la realtá è muta
O incoerente:
È incipiente, come la pompa e la magniloquenza del tuono
I suoi sermoni confinano conl'incessante orazione dell'oceano:
Perché lo splendore e la gloria della realtá
Senza la poesia,
Impallidiscono, come le rosse recite del crepuscol
I fiumi blu, le finestre matutine.
L'arte della poesia rende possibile dire
Pandemonium.
Perché la poesia è allegra e esatta. E dice:
"Il tramonto sembra una corrida.
Un braccio addormentato si sente come soda,
Effervescente".

La poesia risuscita il passato, come Lazzaro,
Trasforma un leone in sfinge e ragazzina.
Conferisce a una ragazzina lo splendore del latino
Converte acqua in vino in tutte le nozze di Cana in Galilea.
Insomma è un fatto che la poesia inventó
L'unicorno, il centauro e la fenice.
Eppoi! La poesia è un'arca perenne,
Un autobus che custodisce, trasporta e partorisce tutti
Gli animali della mente.
Per questo la poesia diede e da la parola al perdono
Per questo una storia della poesia sará una
Storia dell'allegria e una storia
Del mistero d'amore,
Perché la poesia fornisce spontanemene
Abbonantemente e liberamente
Tutti quei vezzeggiativi e diminutivi di cui
L'amore ha bisogno e senza i quali il mistero dell'amore non si domina.
La poesia è come luce è luce.
Risplende su tutte le cose come il cielo azzurro
Con eguale azzurra giustizia.
La poesia, infatti, è la luce del sole del conscio.
È la terra dei frutti del sapere
Negli orti dell'essere:
Ci insegna i piaceri della cittá
Illumna le strutture della reatá.
È una delle cause del sapere e del ridere:
Affila i fischi degli intelligenti:
È come il mattino e i flauti della
Mattina che cantano incantatori.
È come nascita e rinascita della
Prima mattina per sempre.
La poesia è rapida come le tigri, abile come
I gatti, piena di vita come le arance.
E tuttavia è immortale: sempre-verde e
Sempre-in-fiore; molto dopo che i faraoni e i cesari sono crollati,
Continua a brillare e dura piú che diamante,
Perché la poesia è la attualitá della
Posibilitá. È
Realtá dell'immaginazione
Garanzia di esaltazione
Processione di possesso
Attivitá di significazione e
Significazione del mattino e
Maestria di significazione.

La lode della poesia è come la chiaritá delle
Cime dei monti,
Le cime della poesia sono come l'esaltazione delle montagne.
È la consumazione della coscienza nel paese del domani!

Da Pol-la d'anánta, katánta, paránta .... 1970

Memorie di Dreiser Cazzaniga

Il mio Comunismo

Riporto qui queste poche linee di Dreiser Cazzaniga che ho trovato in un taccuino omaggio delle supposte UNIPLUS. Il comunismo cui Dreiser Cazzaniga si riferisce è quello che nei Barrios del Norte si esprimeva soprattutto nelle grandi feste della Salciccia, con la rumba e le ragazzone grassone con le gonne di cotorne a fiori. Qualcuno di questi militanti diventava Alguazile di un barrio, talvolta e ingrassava, la faccia si copriva di rughe sagge con le lacrime agli occhi raccontgava ai giovani della bellezza del grande paese della steppa in cui era stato in torpedone per una visita coatta e oobligata di 4 giorni ai mausolei dei suoi dirigente assassinati da quegli stessi che, una volta mummmificati, affermavano di venerarli.
genseki

Sul mio Comunismo

In realtá io non ho avuto mai un incontro, o un'esperienza di quello che fu davvero il comunismo. Quel comunismo per cui milioni di persone furono disposti a sacrificare tutto anche la vita e ad affrontare morte e disperazione, Quello che ho conosciuto era una pallida immagine dell'originale o, peggio ancora, una tossica contraffazione. I comunisti che ho conosciuto io non erano in grado di sacrificarsi per niente e per nessuno il loro orizzonte mentale era limitato al consumo, nei confini del quartiere o del paese. Comunismo era per loro, al massimo il nome di una rivalsa individuale, di un'individuale promozione sociale, o piú semplicemente, nel caso di quelli che avevano meno capacitá, pura e semplice invidia e risentimento. Il comunismo era generositá e amore. In tutti coloro che ho conosciuto e che si chiamavano comunisti non ho mai visto né generositá né amore. Forse la parola che meglio descrive il tono fondamentale del loro carattere è risentimento. Risentimento che si mescolava di volta in volta con la paura, l'invidia, la grettezza, la rabbia. Il comunismo era passione per la giustizia. Tra i comunisti che mi è toccato in sorte di incontrare non vi era, davvero, passione per l'ingiustizia. Rabbia per l'ingiustizia subita e anche dolore si, certo, ma non passione per la giustiizia da fare (che la giustizia è fare) agli altri.
Così il mio comunismo fu sempre libresco, passione cartacea, pergamenaceo, astratto. Fu, insomma, un equivoco in piú di una vita fondatata sul vuoto e appunto sull'equivoco.
Dreiser Cazzaniga

martedì, ottobre 19, 2010

Febbre

L'abbraccio delle felci cancellava
Il felice ricordo degli accordi,
Che risuonavano tra l'erica e i miei passi,
Quanto ho bevuto dalla fonte ove
Piú non bevo: purezza fin da giovane
Fuggendo, occulto educavo la vergogna
Nel sentiero selvoso nascondendo
L'amore che negavo, la rampogna
Che mi fece nemico del mio bene
Al mio gene ribelle, al candore inetto
Poi finalmente rinnegai giovinezza
Come la serpe che cambia di pelle
Vissi di stizza ora riposo in febbre.

genseki

Messiaen: "Un vitrail et des oiseaux"

lunedì, ottobre 18, 2010

Luigi Nono : Prometeo, I. (Prologo) --- 1/2

2 Ottobre

Fu nel momento in cui l'ora si apriva
Che la lasciai filtrare tra le mani
Nell'equilibrio sobrio della schiuma
Alla soglia del culmine del getto
Il battito fu allora una cascata
Di gemiti, di ritornelli, di intarsi
Luce d'abete: schizzi di conifere
Che in spirale si svincolano dal rosso
Abbraccio del granito a scaturire
In flusso di purezza verticale.

genseki

Le contemplazioni

XIV

Domani allora in cui imbianca la campagna
partiró, come vedi, so bene che mi aspetti
Andró per la foresta, andró per la montagna.
Troppo a lungo da te lontano ho dimorato.

Andró con gli occhi bassi fissi sui miei pensieri,
Solo, ignorato, curvo e con le mani in croce,
Senza vedere nulla, sordo ad ogni rumore,
Triste sará il mio giorno, e la mia notte atroce.

Non guarderò il tramonto che si colora d'oro,
Né le vele lontane in rotta in rotta verso Honfleur,
E quando giungeró poseró sul tuo avello
Un mazzetto di vischio e di erica in fiore.

giovedì, settembre 30, 2010

Morire

Ah! Tutto questo è proprio un gran morire
Un morire di morte che ci muore
CHe ci muore a morire d'ogni morte
Che ci tonde la chioma foglia a foglia
Che ci spoglia e disgrega in muta argilla
Come si sfoglia ora la parola
E ne resta la pala che si affonda
La dove a morte ognun ognora muore.

genseki

Decostruendo Lutero

Come potevamo smontare Lutero
Considerare la sua mascella come un edificio
Fare degli occhi una cavitá urbana
Una grotta metropolitana
Come stanare i topi della sua incoscienza
Installati, noi peccatori
Sotto la pioggia detergente
Di sangue ossidato, di origano e grano
Grano cosí biondo spighe su spighe immense biche?
Tutto tutto dipendeva dai suoi occhi
Maturati come vecchie prugne e il calamaio di Worms
Statico il suo passo, dipanava il sentiero
Con il suo incedere retto
Per furibonde diagonali, strabica rotta
Senza collo: capitello troppo rigido
Nella fotografia con il saio - colpa dell'amido -
La corda del mugnaio cingendo: l'orribile latrato
Del cavallo che scivola sull'argilla - finalmente -
Sull'argilla? No non era Guernica!
Fu gesucristo che parló con i suoi tomi
Che svolazzavano come pipistrelli
Sotto le volte della biblioteca,
Il tessuto delle sue mele, il moccolo
Mentre lui strillava parole scheggiate
all'immensa vetrata della Fede.

genseki

léo ferré - Rimbaud - le bateau ivre
Cargado por bisonravi1987. - Videos de música, entrevistas a los artistas, conciertos y más.

Rimbaud - Le bateau ivre (Gerard Philipe)

Il battello ebbro

Dedicato alla Gaviota de Solentiname


Mentre andavo scendendo per i fiumi impassibili
Notai che i battellieri non mi guidavan piú:
Pelle rossa chiassosi gli avevan bersagliati
Per inchiodarli nudi a pali colorati.

Io che non sopportavo di avere un equipaggio.
Carico di frumento e cotone britannico
Perduti i battellieri con il loro baccano,
I fiumi mi permisero di scendere a mio arbitrio.

Nello sciabordio furioso dei marosi,
Per un inverno intero, piú sordo dei cervelli
Dei lattanti io corsi! E salpate penisole
Non subirono mai un simile saccheggio.

Tempeste benedissero i risvegli marini.
Più leggero d'un tappo ho danzato sui flutti,
Che eternamente portano le salme delle vittime
Dieci notti lontano da ogni faro sciocco!

Piú dolce che ai bambini polpa aspra di pomi
Penetró l'acqua verde il mio guscio d'abete
Lavando macchie azzurre di vino vomitato,
Trascinando con se il timone e gli uncini.

Da allora mi bagnai nel poema del mare
il mare lattescente come infuso di astri.
Che azzuri verdi inghiotte; ove discende a volte
Un pallido annegato dall'aspetto pensoso

Ove di colpo vanno colorando gli azzurri,
Deliri e ritmi lenti nel rutilante giorno,
Piú forti che lo spirito piú vasti che le lire
I rossori d'amore in amaro fermento!

So i cieli crepati in lampi, e le trombe
E risacche e correnti: e poi la sera e l'alba,
Come se di colombe fosse un popolo in volo,
E qualche volta ho visto ció che l'uomo ha creduto!

Ho visto soli bassi, macchie d'orrori mistici,
Illuminare lunghi coaguli violetti,
Simili ad attori di drammi antichissimi
Flutti che allontanavano brividi di persiane!

Sognai la notte verde delle nevi abbaglianti,
Salir fottendo agli occhi dei mari con lentezza,
E la circolazione delle linfe inaudite,
Giallo risveglio azzurro di fosfori cantori!

Ho seguito, per mesi le transumanze isteriche
Delle onde che andavano assaltando i frangenti,
Non pensando che i piedi splendenti delle Vergini
Possan forzare il muso degli oceani ormai bolsi!

Ho urtato, credetemi! Le Floride incredibili
Che mescolano ai fiori gli occhi delle pantere
Dalla pelle di uomo! Gli arcobaleni tesi
A glauche mandrie sotto l'orizzonte marino!

Ho visto fermentare maree enormi, nasse
Ove un Leviatano marcisce tra le canne!
E franare le acque in mezzo alla bonaccia,
Le lontananze ai vortici cadendo in catarratta!

Ghiacciai, soli d'argento, onde madreperlacee
Cieli in fiamme e relitti in fondo ai golfi bruni
Ove le pulci rodono giganteschi serpenti
Che in profumi si disfano sugli alberi contorti!

O quanto avrei voluto far vedere ai bambini
Dorate in flutti azzurri, canori pesci d'oro!
In secca mi cullai tra le schiume fiorite,
Ed i venti ineffabili mi prestaron le ali.

A volte, stanco martire dei poli e delle zone
Il singhiozzo del mare m'addolciva il rullío
Fiori d'ombra innalzando dalle gialle ventose
Che in ginocchio accettavo come se fossi donna...

Penisola scotendo ai miei bordi le liti,
Escrementi d'uccelli stentorei d'occhi biondi.
Vogavo e nell'intrico del cordame allentato
Scendevan come gamberi gli affogati a dormire!

Or io battello perso nelle chiomate cale
Nell'etra senza voli gettato dal tifone,
Che i velieri anseatici e gli esploratori
Avrebbero sdegnato carcassa ebbra di acqua;

Libero, fumigante carco di brume viole
Che perforavo il cielo rossastro come un muro
Portando, confetture che adorano i poeti,
I licheni del sole e le muffe del cielo;

Che correvo, macchiato di lunule elettriche
Folla plancia, scortato dagli ippocampi neri,
Quando luglio abbatteva a secche scudisciate
I cieli ultramarini dai vortici infuocati;

Io che tremavo, udendo il gemito remoto
Della foia dei Behemot e degli spessi Maelstrom,
D'immobilitá azzurre eterno seguitore,
Io rimpiango l'Europa dai parapetti antichi!

Ho visto gli arcipelaghi siderali! Le isole
Dai cieli deliranti aperti al rematore:
In notti senza fondo forse dormi e ti esili,
O milione d'uccelli d'oro, o futuro vigore?

Davvero ho troppo pianto, mi straziano le albe
Atroce m'è ogni luna ed ogni sole amaro:
Mi gonfió l'acre amore di sonni inebrianti.
Che scoppi la mia chiglia! Voglio colare a picco!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
Algida, oscura, ove, nel vespro profumato
Un bimbo ,accoccolato, tristemente abbandona
Come farfalla in maggio un fragile battello.

Non posso piú bagnato dai languidi marosi,
Succhiare ancor la scia ai carghi del cotone,
Né attraversar l'orgoglio delle bandiere in fiamme,
Né nuotar sotto gli occhi orribili dei moli.

Arthur Rimbaud
Trad, genseki

lunedì, settembre 27, 2010

Quello che restava di te

Di te non restava pietra di denti
Moneta di articolazione né sale
Scalza l'avevi scesa vertebra a vertebra
La divinazione dell'esoscheletro
E la spirale piú non era che polvere
Secco marcire asiutto compatire
La cuspide di bronzo, l'intelaiatura
Scricchiola pericolosamente
La cavitá oculare delle stelle
Lontana da qualunque vegetale-

genseki

Hans Werner Henze: Prison Song

Diana e il cardinale

Scostavi dall'assalto l'ampio volo
Con l'elitra, con l'altra mano
Con quello appena che restava della sguardo
Mandorla! Calmo come il lago
Lo sciame delle speranze, la fedeltá,
Latrano - dicevi con l'arco lunare
Minacciando cecitá ai discepoli,
Il cacciatore andava marcando
I suoi tarocchi uno per uno.
L'arco - dicevi non vedrá il mio seno
Costellazione della prima caduta
O cardinale sacro al sicomoro,
L'albero dalle bianche camicie
Macchia di sangue alla radice della neve
Al gelido fusto di screpolato candore
Scostavi con la mano il fragore degli occhi
Il coagulo del volo nel fantasma del tempo
L'abito cardinalizio rende impura la luna
Per il parto dell'albero che videro i tarocchi.

genseki

La morte di Dreiser Cazzaniga

Tra gli appunti del compianto Durfai acronico o ucronico amico di Dreiser Cazzaniga è stato trovato un foglietto che, in forza di un'annotazione sul retro, pare riferirsi agli ultimi minuti di vita del nostro Dreiser. Sono poche righe nel francese lievemente arcaico del Durfai che non oso tradurre per non rovinarne la bellezza appassita:

"Il avait les yeux hâvres et enfermés, la mâchoire inférieure couverte seulement d'un peu de peau paraissait s'être retirée, la barbe hérissée, le teint jaune, les regards lents, les souffles abattus. De sa bouche il ne sortait déjà plus de paroles humaines mais des oracles".

a cura di genseki

giovedì, settembre 23, 2010

Crocifissione

Da quando lo crocifissero il mare
Sulle ali viola, sugli spalti delle nubi
Sulle splendide visioni delle diatomee
Cominciarono a gocciolare furibondi
Estremi e cauti glauchi come fuchi
Da quelle mille ferite, dalle screpolature
Dagli iati come sbadiglio gli scampoli
Di tutti quei significati Era il simbolo
Finito di quell'infinito autunno in cui aggrapparsi
Al sonno marino, alla sera all'ocra dei boschi
Allo scorrere azzurro della selvaggina
Sui sentieri di muschio
Da quando lo crocifissero: il mare era tutto un calare
Di speranze dal nord di brandelli di lupi
Di zanne e ocarine e tutti quei ciondoli
come una ripida trina di schiuma laddove
Sfrangiata si spreca ogni altra possibile spiegazione
Che cosa spiegare? La solitudine
Il margine che confonde il nulla con l'altare?
Interrogare punteggiando le frasi con il sangue del mare
Mare incoronato di spine, una per ogni goccia
Flagellato di iodio e ferroso come qualsiasi altro deserto
Mare che crocifissero altri ad altre ali
Ancora piú in la di ogni possibile me stesso.

Figlio unico (Yasujiro Ozu, 1936). Una scena / 1