mercoledì, febbraio 24, 2010

Il cardo

Quando mi donasti il tuo cardo
Il latte profumava ancora caldo
Sulle tue labbra azzure per il freddo
Il coro delle capre balbettava
I passi di una danza zodiacale
Dalle tue labbra gocciolava il latte
Sul circolo dell'erba bruciata
Dove i ceppi carbonizzati
Fiorirono in ironiche scintille
Il tuo cardo era solo un ricordo
Grigio argentato del nostro sole antico
Il dio barbuto che preservava i tuoi talloni
Lo portava tatuato sulle palpebre
Convulsa come le pieghe della tua veste
La tua mano fingeva d'essere un gioiello
Nessun artista barbaro avrebbe cesellato
L'asprezza con cui ti seppi cingere.

genseki

lunedì, febbraio 22, 2010

Il tuo occhio

Il tuo occhio si schiudeva come un tulipano
Alle carezze delicate del mio sguardo
Il tuo occhio era velluto all'alito del mio contemplarti
Il tuo occhio sorgeva all'orizzonte della mia vista
Rotolava sulla mia luce come una palla da biliardo sul velluto
Il tuo occhio penetrava il mio osservarti
Tatuare su di me la tua avversione
A qualunque sbocciare
Pioveva su di me il tuo occhio le sue gocce ardenti
Sui petali delle mie palpebre
Le tue erano ali allora sulla notte della pupilla
Sulle smeraldo spezzato dell'iride
Con le nocche cercavo il tuo occhio
Perché per sempre fosse anello del mio essere in te
Lancia che assicurava il tuo possesso
L'occhio impenetrabile altrove
In cui ti ritiravi per sparire sotto la pellicola della luce
Come il lago sparisce sotto le increspature dell'acqua verde
Quando la brezza lo accarezza
Le onde sotto il grido rabbioso dei loro tentacoli corallini
Gli steli sotto le scaglie quando sognano i rettili
Il tuo occhio era alba al mio sogno indefinito
Tramonto rovente per l'ebrezza dei miei antichi liquori
L'avrei intrecciato alle mie dita il tuo occhio
Per accarazare con il palmo della mano
La direzione delle tue luci
Il tuo occhio guizzante come un luccio
Nel torrente delle tue visioni
Nella cascata turbinosa che vela la grotte
Delle tue passioni ramificate
Il tuo occhio fu sentiero al mio perdermi
Groppa al mio saltare alla mia fuga
Il tuo occhio testimone delle mie lacrime
Tomba del mio giudizio balbuziente
Galeone del mio oro perduto
Per sempre nei fondali del tuo oceano.

genseki

Michel Leiris II

Mi appare,l'insieme dei miei scritti, piuttosto come il racconto di un sogno durato smisuratamente che una lunga conversazione quando lo considero da questa distanza ove quello che si è visto e quello che si è immaginato non sono più che una foschia così indistinta che si finisce per domandarsi se davvero è esistito ció che pareva esservi di più reale, (di più fisicamente sperimentato).


Dando valore essenzialmente allo sgorgare presente del canto, non provo piacere nel rileggere quello che ho pubblicato molto tempo fa o appena ieri e quelle pagine diverse - che miravano nella maggior parte a una conoscenza di sé che pretendo perseguire ma che si dimostra illusoria alla prova dei fatti, i frutti della mia investigazione restano sparsi in una moltitudine di brani piú o meno letterari che il tempo mi fa dimenticare e i cui risultati dovrebbero riassumersi in una frase o una figura che si possa afferrare in un sol colpo (una chimera e niente piú, giacché bisognerebbe che questo riratto assoluto, mi mostrasse ripreseo a tutti i livelli e in tutte le diferenti etá che ho attraversato) - ne lascio allora naufragare il contenuto nel calderone di una memoria inetta a restituirmi qualche cosa di più che poche briciole del mio passato. Quasi quasi direi che i miei anni non sono stati altro che la materia di una aritmetica follemente astratta (i decenni che si aggiungono ai decenni) e che tutti questi racconti, impressioni, riflessioni o pure costruzioni mentali che ho messo nero su bianco non pesano niente, o almeno non più di un sogno sognato da tanto tempo e che ha perso ogni significato ammesso che ne avesse quando mi abitava.

A cor et à cri
Gallimard p. 96-97
trad genseki

Michel Leiris

Anatomizzando le parole che amamo, senza preoccuparci di seguire le etimologie e il significato ammessi, noi scopriamo le loro virtú pú recondite, canalizzate dalle associazion di suoni, di forme e di idee.

Smulacre et glossaire

Osservazioni sugli angoli

Era da un angolo che la parola conferiva visuale
Prima di cristalizzarsi al suo senso e ad altri possibili
Era da un angolo visuale predefinito
Che finiva per porsi la parola con tutto il peso del suo significato
Ammettevano anche un angolo particolarmente ottuso
Un seno di mare cristallino come la foto di un depliant
Una sequenza del tuffo di un gabbiano
A decapitare un grasso sudicio picccione sul granito
Di una gotica piazza accanto al mare.
Nell'angolo, in quall'angolo dimenticato
Un paracqua arcobaleno a spicchi
Evocava la natura dispiegabile di tutti gli altri angoli
La meraviglia dei meccanismi a soffietto
Come quelli delle vecchie macchine fotografiche
I quadri di pessimo gusto di rachel che raffiguravano paracqua
E ombrelloni arcobaleno
Piegati con angoli differenti su una fredda spiaggia arancione
Poi tutto volava via
Come un biglietto del bus
Come il ricordo degli angoli retti della metropolitana di Pechino
Era stretto nell'angolo ora dalla tempesta dei significati
Dei suoi ricordi si dibatteva nel suo angolo
Nella poltona di legno angolosa
Con i gomiti con i gomiti a formare un angolo divergente
Spezzato a significare la sconfitta, la disfatta
La crocifissione
Si, spezzato, ficcato a forza in un angolo
Eppure sempre cosciente di essere cosciente
Dei tanti angoli della coscienza
Ciascuno con il suo angolo visuale o auricolare
E così ancora di nuovo ancora
E ancora di nuovo fino al rompersi o meglio al frantumarsi
In uno scroscio vero e proprio delle specchio con il suo enigma
Dell'erompere del salmone come puro scatto
Madido muscolo sforza traiettoria

Argento e nulla.

genseki

sabato, febbraio 20, 2010

Hisperica famina

Devo confessare il mio stupore nell'incontrarmi per la prima volta con il mondo del “Latino Hisperico”. Fino ad ora non en avevo mai sentito parlare, nonostante una certa passione per il latino medioevale.
Il latino hisperico è il latino scritto dai monaci irlandesi nei primi secoli di cristianzzazione dell'isola. il VI e il VII. Si tratta di un latino quasi totalmente indecifrabile e stupefacente. La difficoltá di comprensione e lo stupore sono dovuti soprattutto al suo lessico. La sintassi è infatti elementare, paratattica, quasi del tutto priva di subordinate, con il verbo tra il soggetto e il complemento. Il lessico invece è assolutamente stravagante. Le parole del latino classico sono impiegate nel latino hisperico come se avessero tutte lo stesso valore e la stessa funzione, come se fossero equvalenti. Una metafora è considerata equivalente a un sostantivo di uso comune, a un'immagine mitologica, o a un neologismo formato da parole greche per un uso tecnico filosofico o teologico. Gli oggetti e le azioni piú quotidiani sono designati di volta in volta con i termin piú peregrini. A questo si aggiunge una forte presenza di termini celtici o germanici brutalmente latinizzati, per esempio per mezzo dell'uso di una desinenza.
Una descrizione come questa, tuttavia, non rende lo stupore e la meraviglia che colgono il lettore di fronte ad un testo come questo:

Adelphus adelpha meter
Alle pilus hius tegater
Dedronte tonaliter,
Blebomen agialius
Nicate dodrantibus
Sic mundi vita huius,

Calexomen agialus
tu det bolen suum
nobisque auxilium
Didaxon, sapisure,

Toto biblion acute
Non debes reticere

Equinomicun epensum
Habemus apud deum
Si autumetimus audum

Fallax est vita mundi
Decidit ut flos feni

Chiuso nello splendore della sua impenetrabilitá nell'asprezza delle sue alliterazioni, nell'ingenuitá delle sue metafore.
È un testo il cui senso è quello di comunicare l'artificioso, faticoso, entusiasmante processo della sua elaborazione. Un testo che significa soltanto il suo farsi e il suo disfarsi.
Un testo progettato, infatti, per essere caduco. Il tempo finisce per chiuderlo ancora di piú in se stesso, per allontanarlo da ogni possibile interpretazione per trasformarlo da testo a gioiello, un gioiello cesellato nel significante grafico e in quello sonoro.
Un testo che peró si apre alla fine nella ingenua banalitá di un facile e leggero proverbio sapienzale, la cui banalitá non sorregge nessuna possibile malinconia.

Una possibile traduzione della prima strofa è la seguente:
Fratello, sorella, madre, padre figlio e figlia muoiono ugualmene
Vediamo la barca sbattuta dalle onde, cosí è la vita di questo mondo

venerdì, febbraio 19, 2010

Cappotto di finamore

Alla fine lei non si voltó nemmeno
Il suo profilo restó oscurato dal fiore della calla
Che emergeva appena dal vaso di cristallo
Come la bocca di un bambino che sta affogando
Anche le teste decapitate delle anatre
Una per ogni posacenere erano restate
Esattamente la dove lei le aveva lasciate
Si mosse per afferrare le chiavi le squame
Scivolarono appena sulla lama piantata nella crepa del tinello
Non avevo piú abbastanza saliva
Per fumare un'altra sigaretta
Indossava scarpe di scarabeo i suoi piedi erano cuoriformi
Il neon del palazzo dirimpetto disegnava sul suo cappotto di cammello
RISTORANTE CINESE KUNMING
Pensavo al suo seno come a una lattina di pesche scriroppate
Da lasciare per anni nella dispensa del ricordo.

genseki


Tournesol

Léger
Tournesol

Girasole

Di André Breton non ho mai amato Lautréamont. Che non è poca disamistade, Non ho mai amato nemmeno Sade e nemmeno quell'idea degna del peggior Tarantino che la cosa più ganza che ci sia sia uscire per strada con la pistola e sparare nel mucchio, nelle folla, alla rinfusa. Ci sono tante cose di André Breton che come il mio povero amico Dreiser Cazzaniga non ho mai amato. Eppure è stato uno dei miei venerati maestri, Grazie a lui ho coltivato l'arte dell'insuccesso con il solo successo che in essa è permesso: il fallimento. Lbertá colore d'uomo.
Sempre ho sognato di tradurre

Il girasole

Girasole

La viaggiatrice che aveva attraversato le Halles nel crepuscolo dell'estate
Camminava in punta di pedi
La disperazione trascinava per il cielo i gicheri bellissimi
La borsetta conteneva la fiala dei sali mio sogno
Sali che solo la madrina di Dio aveva fino ad allora respirato
Come bruma si dispiegavano i torpori
Nel Cane Fumatore
Dove erano appena entrati pro e contro
La ragazza la si poteva appena scorgere a sghimbescio
Essere pareva nunzia del salnitro
O della curva nera su bianco che diciamo pensiero
Poco a poco si accendevano i lampioni negli ippocastani
La Dama senza ombra si era inginocchiata sul Pont-au-Change
Rue Git-le-Coeur non erano piú gli stessi
Gli impegni notturni erano infine mantenuti
I piccioni viaggiatori i baci d scorta
Confluivano in seno all'incognita beltá
Come dardi sotto il crespo dei significati perfetti
Una fattoria prosperava in piena Parigi
Le sue finestre davano sulla via lattea
Nessuno piú vi abitava a causa di coloro che la frequentavano
Tutti lo sapevano che erano piú fedeli di coloro che la infestavano
Alcuni come questa donna sembra che nuotino
E nell'amore c'è posto per un po' della loro sostanza
Che li interiorizza
Nessun potere sensoriale si sta facendo beffe di me
Eppure il grillo che cantava nella chioma cinerina
Una sera accanto alla statua di Étienne Marcel
M ha strizzato l'occhio con complicitá
Ecco che passa m'ha detto André Breton

André Breton
da "Clair de terre"
Trad. genseki

giovedì, febbraio 18, 2010

Cuori di primavera

L'azzurro penetrava a stento
la gran coltre frondosa di tutte le primavere
Una primavera per ogni bacio
Un'ala per ogni primavera
Era tutto un tramestio di frulli e spinte
Gli aceri cercavano un varco verso il sole
Le graminacee come raggi
Saettavano tra le scure foglie dell'edera
verso la processione dei cuori
Con un panno giallo sfregavo i ricordi
Li collocavo in ordine di primavera
Tutte le primavere avevano almeno un cuore
Alcune ne avevano piú di uno
Alcuni cuori erano sfregiati dal peso del risentimento
Altri dall'oscuritá del loro stesso sangue
La processione dei cuori la illuminavano
Ceri di menta e buttafuochi di bronzo
Cuore per cuore primavera per primavera
Il suo cuore sanguinante lui lo reggeva in una mano
Avvolto in una coroncina fosforescente
Il cuore di sua madre era trafitto da un ramo appuntito di fusaria
Le gocce di sangue si confondevano
Con quegli stupidi fiorellini rossi
Anche il suo petto dava latte di sangue
Da tutti quei forellini di rubino
Si fissavano con occhi lampeggianti
Come lampade al neon tra le gemme dei carpini
Sotto quei raggi scorrevano le primavere
Passavano i cuori e i grandi mantelli
I fastelli di belladonna e le salamandre
E tutti i dolori che erano piú di sette
Da maggio a maggio
Fino a dopo autunno
Fino alla croce di ghiaccio di gennaio.

genseki

mercoledì, febbraio 17, 2010

Pianto

indossati i vestiti da tramonto
senza pupille declinavi il mio sguardo
senza innalzare le mani alle nuvole
spalancavo la vista a un altro volto
dall'interno del cavo dei tuoi occhi
conobbi infine i tratti tuoi perfetti
mi feci allora azzurro come l'acqua
che sulle guance ti scorre se non piangi

genseki

martedì, febbraio 16, 2010

Soglia

Alla soglia sta il punto di parola
Dove collassa l'istante successivo
Ogni istante necessita uno sguardo
dalla soglia si scorge la finestra
Il volo, o solo l'ala e poi la schiuma
Che si frange in processo senza fine
E ricade prima d'altri istanti
L'istante è istante solo se lo dici
La soglia stringe l'istante taciuto
Fuori è la cavitá del tuo soffrire
La soglia è specchio dell'oltrepassare.

genseki

Bruno Maderna: Aura (1972) Prima parte

lunedì, febbraio 15, 2010

Invano

Invano ascoltava gli ottoni
Avvolgere le gomene sonore
Ai tronchi delle palme, al bagolaro
Solitario nell'azzurro del parco
L'inquietudine del metallo
Distillava solo remota
L'eco d'altri ascolti
Futuri, forse sperati
Concavi sempre rotando
Certamente oscuri oltre i mondi

Alla rete sonora, alla griglia delle trombe
Al zampettare inetto dei clarinetti
Allo sbocciare dell'oboe come orchidea
Dal limo dell'improvvido laghetto
Si aggrappava cercando un appoggio
Uno specchio, possibilmente lo spiccare d'un volo
In piena consapevolezza d'istante in istante
Dell'ardente errore del delitto delle galassie
Degli acidi del latte e delle linfe

Raggi di flauti come schegge di fresco mattino
Scintillavano sullo spessore del prato
Il tamburo della terra scuoteva l'ombelico
Del guerriero sepolto dalla madreselva
Trascinato da un odore di polvere
Nel numinoso regno degli archi

Invano, certamente, il suono lo torniva
In presenza in consistenza
Appena a un capello
Dall'essere accolto

Invano - ancora

genseki

domenica, febbraio 14, 2010

Hijab


C'è sempre un angolo del velo che richiede espressamene di non essere sollevato, qualsiasi cosa ne pensino gli imbecilli questa è la condizione stessa dell'incantesimo.

André Breton
Flagrant Délit

La Dama Bunducchia e Dreiser Cazzaniga

II Parte

Le memorie di Dreiser Cazzaniga che ci sono state legate come un lascito che per noi è un onore e un rinnovato dolore non sono, come qualche lettore potrebbe pensare, una serie di ordinati quadernetti o pile di fogli numerati in appositi classificatori. No! Sono una serie di appunti, paragrafi, racconti, annotazione, cartoline postali, lettere, pacchetti di sigarette, biglietti del bus e altro materiale scrivibile ancora gettati alla rinfusa in una serie di vecchi scatoloni IKEA, quelli con le maniglie di corda da marinai per intederci (adesso non ricordo piú il loro nome svedese ma ricordo bene che corrisponevano ai robusti scaffali ISVAR). Sembra che Dreiser Cazzaniga avesse inscatolato tutto quanto restava della sua vita in forma cartacea per bruciarlo. Non lo fece e noi non sappiamo se mai volle farlo davvero. Quello che sappiamo è che è molto difficile organizzare questo materiale in forma coerente: i nomi delle persone si sovrappongono, i periodi si allungano o si accorciano, i luoghi degli eventi possono variare. La vita stessa non è univoca, le tracce che lascia dietro di sé una vita non costituiscono una successione univoca di eventi puntuali, classificabili magari anche come cause e effetti. La Dama Bunducchia dai piedi nodosi e dal sorriso tarlato è anche altre donne che appaiono e scompaiono sul palcoscenico degli amori di Dreiser Cazzaniga,
Dreiser Cazzaniga volle essere libero del suo passato e volle che fossero liberi tutti coloro che vi si trovarono intrappolati per una frazione di tempo piú o meno lunga, come i paesaggi sul cui sfondo trascorse, le case, le stanze e i letti che resero possibile l'intimitá e la densitá del suo tempo trascorso.
Lasció che il passato bruciasse se stesso in uno sfrigolio e in un sorriso si facesse scintilla e angelo
lui rimase sempre nel qui, proteso nell'istante, nell'emergenza dell'istante respirando, guardando, udendo per dimenticare.

Dorothy Day

Ancora su Catholic Worker

Dorothy Day, Peter Maurin e tutti gli altri perseguirono il sogno di istituire un vero ordine mendicante nella societá industriale, anzi nella societá capitalista e industriale per eccellenza, quella degli USA. Probabilmente fu, fino ad oggi, l'ultimo tentativo o uno degli ultimi tentativi di questo tipo. Io non sono a conoscenza di altri. Gl ordini mendicanti sono scomparsi progressivamente col progressivo scomparire del mondo contadino e dell'ordine sociale tradizionale. Le forme moderne di organizzazione ecclesiale sono piuttosto i “Movimenti” come “Sant'Egidio” o “i Kiko” in Spagna che mantengono molte volte un piccolo nucleo monastico, ma certamente non mendicante. Qualche cosa che sembra piuttosto uno spauracchio che un modello. Se sia possibile un ordine mendicante nel mondo dell'economia assoluta e del consumo è una questione forse oziosa. È concretamente possibile quello che nella storia si manifesta concretamente. Certo il tentativo del Catholic Worker fu un nobile fallimento. restó confinato nell'ambito dell'anticonformismo e nell'emarginazione culturale. Eppure è un fallimento da cui si irradia una luce che ancora ci illumina. Certo Dorothy day e i suoi un successo nemmeno tanto piccolo lo ebbero e fu quello di non essere iconizzai, di non diventare simboli buoni per qualsiasi uso come Madre Teresa o Che Guevara. Questo giá indica che il cammino da loro indicato era piú prossimo alla veritá, piú fecondo di quanto il fallimento lasci pensare e che per questo non cessa ancora di essere un modello.

Il fallimento è il dono che è dato a chi serve la veritá e che li permette di spogliarsi, di farsi trasparente, di accettare l'autunno della propria coscienza e di permanere in esso fino al glorioso inverno dello splendore.

Certo Dorothy Day volle testimoniare il cattolicesimo nel cuore della metropoli meno sacra della storia, volle radicarlo nella sua forma di Civitas Cristiana, nel centro della City inumana del morto valore di scambio e per farlo dovette farsi eretica.

Per rendere possibile l'ortodossia dovette rivestirsi dell'eresia, Farsi patara o bogomila per essere davvero radicalmente ortodossa.

genseki

venerdì, febbraio 12, 2010

Catholic Worker

Peter Maurin e Dorothy Day, il Catholic Worker, la bellezza di perseguire il fallimento con assoluta determinazione, con innocenza, con sfacciato coraggio. Il Catholic Worker era la deriva di un gruppo luminoso impegnato a rivivere il medioevo in piena Nuova York del XX secolo. Il medioevo con gli ordini mendicanti, con vagabondi, con i contadini e i movimenti pauperistici in una societá di operai e impiegati, ristorazione collettiva, conflitti razziali, democrazia pubblicitaria e marketing politico. Vissero ardendo il loro sogno acronico o discronico nella Terra di Mezzo delle loro case di accoglienza e fattorie pacifiste, non violente. La loro bellezza e la bellezza della loro vita sono una celebrazione della dignitá che sorge dalla vita quando è vissuta nella libertá. Anche o forse soprattutto nella libertá di sognare un mondo in cui sia possibile davvero vivere, Un mondo in cui la vita viva di ciascuno fecondi quella di tutti gli altri. Poi il tempo si è ripiegato su di loro, su di noi nell'etá oscura del conformismo e dell'inconsapevole disperazione.

genseki