Enciclopedia delle scienze filosofiche
Introduzione
Paragrafo 15
trad. B. Croce
Giocavamo alla luna sulla lama delle colline
La luna che non c'era già piú la luna era nera
Scorreva la luna sulla tua schiena come scorre la luce
La luna al palmo della mia mano non osavi succhiarla
Eppure fu proprio la luna che ti accese lo sguardo
Quando ardeva la malaria come altre costellazioni
E ti consumava il mio fuoco come una perla
Sbucata da un vecchio guanto nell'armadio di nonna
Fino a rotolare tra i riccioli di formaggio
Le capriole delle scintille nel vecchio camino di Ippolito
Il paiolo della polenta che un poeta dialettale
Avrebbe invocato come la luna che si disfa nel feltro
Che tarme e falene sfarinano luna di febbraio
Luna spenta come paraffina con l'impronta
Dei nostri pollici unti.
genseki
Hegel
Filosofia dello Spirito
Trad genseki
Mi pare che l'attribuzione a Salvator Rosa sia da scartarsi a prima vista proprio per la natura frammentaria del testo che contrasta con il resto della sua opera barrocca e estremamente articolata.
Ad una prima lettura sembra di essere di fronte ad una specie di testo surrealista: qualche cosa come poesia automatica o un Cadavere Squisito. Prodotti di un inconscio collettivo di piú generazioni. Sembrerebbe come se una generazione successiva abbia aggiunto alcune linee al testo della precedente ignorando o cancellando una parte di esso. Molti testi della tradizione popolare potrebbero forse essere interpretati con maggior successo se fossero considerati dei Cadaveri Squisiti certo questo è particolarmente adeguato.
Una delle prime fallacie delle interpretazioni internazionali del testo mi pare l'insistenza nel considerare “Michelemmà” come il soggetto di “nata miez'o mare”.
Sempre che il lemma “Michelemmà” sia un sostantivo o un nome proprio e non la storpiatura di una onomatopea ritmica certamente è un maschile e non vi è concordanza con il verbo.
La convinzione che “Michelemmà” sia un soggetto è servita per dare al testo una coesione sul piano della logica che propbabilmente non possiede e probabilmente non la possiede per la ragione che si tratta appunto di una specie di Cadavere Squisito.
Tra i frammenti di figure e le figure vere e proprie che costituuiscono la canzone mi pare che uno sia quello delle Dea Vergine che sorge dal mare, precisamente dal mare di un'arcipelago, presso un'Isola Cipro o Ischia come si puó intuire nel locativo “scarola” che per alcuni va letto “Ischiarola”.
La presenza dei Turchi è il ricordo di fatti certamente piú storici e piú recenti. Il Turco è ovunque nel mediterraneo cristiano presente nel folkolore.
La vergine sorta dal mare è guerriera. Non vi è chi la vince. Ed è figlia di un Dio Supremo, un legislatore del cosmo: il “Notare”.
Poi di nuovo ricorre il tema ciprigno con i due versi: “
"E mpieto porta na...
Stella Diana"
La particolare arcaicitá dell'immagine di questa Vergine Guerriera dea dell'amore è che essa è contemporanemente una dea della morte:
“Pe fa morí ll'amante
A duje a duje”
Gli amanti, evidentemente, non sono gli amanti della Dea, certo non quelli di Michelemmà come pretendono le esegesi piú afrettate. Evidentemene il fatto che muoiano a due due ci fa capire che sono appunto coppie di amanti. Il morire puó essere inteso come una metafora sessuale o iniziatica. Non ci sono elementi che possano far decidere in unsenso o nell'altro.
Michelemmà è come un affresco frammentato della mitologia unitaria mediterannea giunto fino a noi quasi al limite dell'intellegibilitá ma ancora ricco di suggestioni.
genseki
E' nata miez'o mare
Michelemmà
e Michelemmà
e' nata miez'o mare
Michelemmà e Michelemmà
oje na scarola
oje na scarola
Li turche se nce vanno
Michelemmà
Michelemmà
a reposare
Chi pe la cimma e chi
Michelemmà
Michelemmà
pe lo streppone
Visto a chi là vence
Michelemmà
co sta figliola
Sta figliola ch'e figlia
Michelemmà
Michelemmà
oje de Notare
E mpietto porta na ...
Michelemmà
Michelemmà
Stella Diana
Pe fa mori' ll'amante
Michelemmà
Michelemmà
A duje a duje
Pe fa mori' li amanti
a duje a duje
L'essere e il nulla son lo stesso, - questa proposizione è imperfetta.
L'accento, infatti, viene posto di preerenza su “lo stesso”, come accade in genere nek giudizio, in quanto che solo il predicato è quello che vi enuncia che cosa il soggetto è. Il senso sembra quindi essere che la differenza venga negata; mentre invece si presenta anch'essa inmediatamente nella proposizione. La proposizione, infatti, esprime tutte e due le determinazioni, l'essere e il nulla e le contiene come diverse. - Non si puó insieme intendere che si debba astrarre dalle due determinazioni e tener ferma soltanto l'unitá. Questo senso si darebbe a vedere come unilaterale, poiché quello da cui si dovrebbe astrarre, si trova poi nondimeno nella proposizione, cioé vi è esplicitamente nominato. - In quanto ora la proposizione: essere e nulla è lo stesso, eprime l'identitá di queste determinazioni, ma nel fatto le contiene tutte e due come diverse, questa proposizione si contraddice in se stessa e si risolve. Se ora teniamo fermo questo vediamo che è posta qui una proposizione la quale considerata piú in particolare, ha il movimento di sparire di per se stessa. Accade quindi in codesta proposizione stessa quello che ha da divenire il suo contenito proprio, vale a dire il divenire.
La proposizione contiene dunque il risultato, è in se stessa il risultato. Ma la circostanza sui cui occorre qui attirare l'attenzione è il difetto che qui il risultato non é espresso esso stesso, nella proposizione, è una riflessione esterna, quella che ve lo riconosce.
A questo proposito si debe far qui subito da principio l'osservazione che la proposizione in forma di giudizio non é atta ad esprimere le veritá speculative.
Hegel
Logica
Questo brano della Logica hegeliana è un vero e proprio “mode d'emploi” del linguaggio hegeliano, una guida breve alla comprensione in un dettato che sembra sempre sfiorare l'incomprensibilità assoluta.
In questo senso appare in piena luce la mala fede di quanti insistono sulla oscuritá del testo hegeliano per negare la sua legittimitá speculativa.
Hegel ci da le chiavi per entrare nel suo castello e per percorrerne le sale. si tratta soltanto di usarle correttamente. Usarle correttamente è, poi, in fondo, una questione di pazienza. Una pazienza quasi infinita, questo si. Leggere Hegel è qualche cosa di molto prossimo a leggere un testo in cinese di cui si debbano apprendere uno dopo l'altro tutti i caretteri che lo compongono.
Sembra che la dimensione lineare del linguaggio, cioè la sua bidimensionalitá necessaria sia quello che lo rende inadeguato alla speculazione.
La dialettica pare aver bisogno di un linguaggio tridimensionale o pluridimensionale.
Che forma potrebbe prendere un linguaggio simile? È possibile pensare di costruirne uno? Che cosa significa avvicinarsi a un linguaggio pluridimensionale?
Si tratta di qualche cosa come un linguaggio a piú livelli in cui ogni livello sia contemporaneamente presente ad ogni altro e sua colto dalla mente con un movimento unico.
Si potrebbe pensare, ad esempio ad un linguaggio grafico con una serie gerarchica di tratti sovrasegmentali.
Un approccio di questo tipo peró non permette di immaginare un linguaggio le cui proposizioni abbiano graficamente, sintatticamente, morfologicamente “il movimento di sparire di per se stessa”.
Certamente stimolante è considerare questo testo di Hegel come una proposta di poetica.
Leggerlo come una serie di regole per la poesia. Una poesia che renda sensibile, evidente il movimento dialettico della realtá. Una poesia che sia sempre un passo al di la di se stessa e in cui qualsiasi cosa venga detta sia detta sempre solo come silenzio a venire.
genseki