venerdì, giugno 19, 2009

JACK TEAGARDEN St. James Infirmary

Louis Armstrong - St. James Infirmary

Sono sceso all'ospedale di San Giacomo
A cercare la mia bambina
Lei giaceva su un lungo tavolo bianco
Era dolce tranquilla e ordinata

Sono salito a parlare col dottore:
“È proprio giú” mi ha detto
Son tornato dalla mia bambina
Mio dio Mio dio, era morta

Sono entrato nel bar di Gianni
All'angolo della strada
Mi ha servito come sempre
C'era sempre la stessa gente

Alla mia sinistra stava il vecchio Gianni
I suoi occhi come inondati di sangue
Fissavano tutta quella gente
Queste furono le parole che disse:

Lascia ora che vada in pace,
Signore con la tua benedizione
Se andasse fino alla fine del mondo
Non troverebbe un uomo migliore di me.

Quando morró vi prego seppellitemi
Con il mio Stetson da dieci dollari
Mettete un moneta da venti all'orologio
Gli amici sapranno che non son morto di fame

Sei buoni cavalli voglio per la mia bara
Sei ragazze per cantarmi una canzone
Una banda di jazz mi accompagni
Fino alla porta dell'inferno

Qui finisce anche la mia storia
Presto qualcuno paghi un altro giro
A chi lo voglia sapere rispondo:
Questo è il blues dell'Ospedale di san Giacomo.

Trad genseki

giovedì, giugno 18, 2009


Maurice Scéve

Dalla Délie

Traduzioni di genseki dedicate a Maresa.

In libertá vivevo nel mio aprile
Senza preoccupazioni, adolescente,
dagli occhi ignari del danno incombente
Pronti a stupirsi per la dolce presenza
Che con l'alta, divina sua eccellenza
Abbaglió l'alma ed i sensi talmente
Che dei suoi occhi l'arcier, semplicemente,
La mia volontá tutta ha asservita
E da quel dì, oramai continuamente
In sua beltá giacciono morte e vita.


Quellla beltá che abbelliva il mondo
Quand'Ella nacque in cui morendo vivo
Impresse al centro di un bagliore rotondo
Non solamente il suo viso ben vivo
Ma tanto ha lo spirto mio rapito
Nell'ammirare mirabil meraviglia
Che, come dea, quasi morto mi svegli
Alla chiarezza della mia brama funebre
In cui piú mi da luce, o meraviglia!
Piú mi lascia affondare nelle tenebre.

mercoledì, giugno 17, 2009

Se vuoi leggere ancora

Amico, ora basta!
Se vuoi leggere ancora
Fatti tu stesso scrittura
Divieni la tua essenza.

Angelus Silesius.


*
Trad. genseki



martedì, giugno 16, 2009

Servo padrone

Quello che segue è uno dei testi piú profondi e violenti sulla relazione servo padrone e sulla monarchia. Da un certo punto di vista lo si puó considerare come l'involuzione assoluta di un pensiero smarrito tra intuizioni e paura. Il servo si fa uguale al padrone in quanto decide di accettare di essere servo, cioé si riconosce come tale riconoscendosi come servo è lui che riconosce il padrone come tale, che gli conferisce ealtá e che lo conferma. Questa forma della dialettica di Simone Weil ricorda i quadri di Esher. Vi è un errore prospettico, qualche cosa di imposibile che si afferma peró come evidenza. Qui l'errore prospettico si situa tra i termini astratti della dialettica le cui funzioni si confondono leggermente ai margini, si fanno poco nette in modo percettibile e ci danno questa visione fiabesca, arcaica e in fondo oscena;

"Una condizione dlla subordinazione simile a quella che T.E. LAWRENCE trovó in Arabia nel 1917, a quella che , proveniente fose dai mori, ha impregnato per secoli la vita spagnola. Questa condizione che rende il servo simila al padrone, grazie a una fedeltá volontaria e gli pemette di inginocchiarsi, di obedire, di sopportare le punizioni senza nulla perdere della propria fierezza, appare nel "Poema del Cid" come pure nel teatro spagnole del secolo XVI e XVII, essa cinse la monarchia, in Spagna, di una poesia che non ebbe mai l'equivalente in Francia, estesa anche alla subordinazione imposta con la violenza, esa nobilitó perfino la schiavitú e permise agli spagnoli catturati e venduti come schiavi in Africa del Nord, di baciare le mani dei loro padroni senza abbassarsi, per dovere e non per viltá.

Simone We
I Catari e la Civiltá Mediterranea

lunedì, giugno 15, 2009

Il sermone delle cose inanimate

Che meraviglia che meraviglia!
L'insegnamento del mondo inanimato
Se cerchi di ascoltarlo con le orecchie
Non hai speranza di comprnderlo
Lo puoi comprendere soltanto
Se lo ascolti con gli occhi.

Tong-Chan

Trad. genseki


domenica, giugno 14, 2009

Non so davvero chi puó aver scritto

Non so davvero chi puó avere scritto questa frase:

"La bellezza femminile è la radice del piacere tanto per l¡uomo come per la donna e non puó essere un caso se la dea dell'amore è piú forte e piú antica che il dio. Desiderare che la propria bellezza sia desiderata è la vanitá di Lilith, ma desiderare il godimento della propria bellezza è l'obbedienza di Eva. In tutti e due i casi l'amante desidera che l'amata gusti il suo proprio diletto".

L'ho trovata in mezzo a vecchi appunti incompleti e senza data.

gensek

Cuor di carciofo

Cuor di carciofo, frana senza margini
Dove si spegne la luce dei carrubi
La carne è prescindibile se il sole
Non si stanca di tessere tesori:
Scarabei, cetonie, altri diamanti,
Scintille che negano il corpo
Lo diffondono in schiuma di clorofilla
A inondar l'ariditá dell'argilla.

genseki

venerdì, giugno 12, 2009

Come datteri

Infine tramontavi anche tu
Come il bagliore delle unghie
In un gesto distratto
Nello sbadiglio di lavanda degli armadi
Tra le coltri di fieno e di cotone
Piú non avremo sognato di ciliege
Di dentifricio e cubetti di ghiaccio
Che i topolini dell'incomprensione
Venivano a rosicchiare di notte
Come fosse formaggio
Infine tramontavi anche tu
Come i collletti inamidati e i cicli
Di letture popolari
Tramontavi dietro la barriera
dei barattoli di conserve e le lattine di crema di cocco
Le staccionate degli asparagi si facevano allora
Ancora piú scure, scrutavamo il destino
Oltre gli steli per l'ulima volta
Con dita secche, noi due,
Come datteri
E lingue smemorate.

Gaspard de la Nuit

La maschera: è notte, prendiamo le lanterne!
Mercurio: Bah! i gatti non han che gli occhi per lanterna

Il Lanternone

Una notte di carnevale


Ma perché diavolo, stanotte dovevo andare a pensare che c'era abbastanza posto per accoccolarmi, protetto dal temporale, per me, folletto di grondaia, nella Lanterna di Madame de Gourgouran!

Me la ridevo di cuore ascoltando uno spiritello, fradicio dell'acquazzone che ronzava attorno alla rimia lampada luminosa senza riuscire a trovare la porta da dove io ero entrato.

In vano mi supplicava, raffredato e rauco, di lasciare almeno che accendesse il suo moccolo per trovare la strada.

Di botto, s'incendió la pergamena gilla della lanterna, strappata da un colpo di vento che fece gemere, nella strada, le insegne a penzoloni come bandiere.

- Gesú, misericordia!- Esclamó la begina, facendosi il segno della croce. - Che il diavolo ti possa straziare, brutta strega! - Esclamai, sputando piú fiamme io di un fuoco artificiale.

Ohimé! Ero cosí grazioso questa mattina rivaleggiando con la mia acconciatura in grazia ed eleganza, con il cardellino dalle alucce scarlatte del signorino De Luynes!

Aloysius Bertrand
trad. genseki

giovedì, giugno 11, 2009

Caracoles III

Dagli occhi mi parlavi

Dagli occhi mi parlavi come fossi vicina
Perduta tra capelli fili di fiato petali
Il cenno era un supplizio tra caduta
E timore, ceree le dita avvolte in poca luce
Dipanavi dagli occhi un filo di sospiri
Come un gatto tossivi palpiti di fringuello
Sfinimento di tendini e pupille, sopore
Crescente fino all'esplosione
Rossastra del sonno e delle onde
Lontana dipanata, sviluppata in sequenze di voli
Finalmente intrapresa inafferrata
Nella veritá dell' asssenza
libero io dai ceppi del tuo sguardo.

genseki

mercoledì, giugno 10, 2009

caracoles II

caracoles

Onda, onda dicevi

Onda, onda dicevi e nel frattempo
Con la mano scostavi acque di sogno
dagli occhi salsi
Sul crinale i palmizi percuotevano
La grancassa del sole celebrando
Un mardi gras mediterraneo
Con le variopinte livree le piume di pavone
E i galli da sgozzare la testa penzoloni
I tuoi piedi si muovevano tra spruzzi di sangue
Leggeri come il mio desiderio di te
Il sole si insediava vincitore, poi,
Tra le tue dita, nel cono oscuro
Dove avevo creduto fino ad allora che si nascondesse il mio cuore
Talismano della mia persistenza
A illuminare le vane regioni del nulla
I piccoli tsunami dell'impermanenza:
Il mio divenire altro
Per troppa troppa luce
Appena un palmo piú in là
Di dove fino ad allora
Avevo continuato ad essere io.

genseki

venerdì, giugno 05, 2009

Lacrime. Da dove?

Quante lacrime sulla mia faccia
Quante lacrime gocciolavano sulle mie guance
Sulla fronte, sul mento
Lacrime amare, lacrime di bronzo
Lacrime azzurre lacrime taglienti
Lacrime concave lacrime stremate
Lacrime profumate di magnolia
Lacrime al dente o bianche come
Il tuorlo del solo uovo di un pavone albino
Lacrime dotte lacrime di selva
Lacrime spore lacrime scintille

Lacrime grani del grande melograno
Che fioriva a jabalsa nel giardino
Del re del rame
Lacrime rupestri
Lacrime rune
Lacrime alla salvia
Lacrime a fiotti
Lacrime a cascata
Mi lavavano il volto tumefatto
Dai baci freddi di tanto lacrimare

Lacrime, da dove?
Da quale fonte di infinito dolore
Inflitta al cielo alla terra alle radici
Cadevano a quell'ora sui miei occhi
Che non sapevo aprire a lacrimare?

genseki