martedì, dicembre 30, 2008

O fonti secche o arido vapore


O fonti secche o arido vapore
Pietra che manchi al piede
all'occhio al fuoco
Occhio che cieco anneghi di vedere
Parole di dolore
Non ne trovo
Prima della parola maledetti
Vi maledica il suono dal silenzio
La luce vi maledica dalla notte
Prima di spazio e tempo maledetti
O fonti secche o arido vapore
Pietra che manchi al piede
Voce all'odio
genseki

Gramsci e la fine della storia

Scrive Gramsci nelle pagine dei Quaderni dedicate alla filosofia di Benedetto Croce:

“La formulazione di Engels che l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre umanamente oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente soggettivo [...]. L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie [...]. C'è dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario».

L'unificazione culturale del genere umano corrisponde in questo testo alla sparizione delle contraddizioni. Tuttavia la sparizione delle contraddizioni non puó che significare anche contemporaneamente la sparizione della dialettica dal momento che non vi è dialettica ove non è contaddizione. Se, tuttavia, come pare, anche nel pensiero di Gramsci la dialettica è la legge che governa la realtá umana e quella naturale, quale tipo di realtá sarebbe quella senza dialettica? Una realtá certamente non piú umana. Non piú umana in che senso? Certamente non nel senso di una realtá piú naturale. Che cosa allora? Qualche cosa che si situa al di lá del reale, nell'elemento dell'ultrareale che non è né trascendente né immanente e che quindi non non è né puó essere neppure anteriore piuttosto che posteriore. Infatti se non vi è contraddizione, ció che resta abolito è la negazione. Non puó evidentemente darsi negazione senza che inmediatamente si dia contraddizione e all'inverso ove non vi sia contraddizione non vi è possilitá di negazione. Senza negazione non si puó parlare di “punto di partenza” e neppure di principio. Perché vi sia partenza o perché vi sia inizio, è infatti necessario che vi sia negazione di uno stato che è appunto quello anteriore alla partenza o all'inizio e che nello stesso tempo è interno ad entrambi. Non so se si potrebbe dire attuale a tutti e due. L'unificazione del genere umano non può dunque essere considerata un punto di arrivo o di partenza se non in senso assolutamente relativo o metaforico.
In queste linee, tuttavia, Gramsci sembrerebbe voler far consistere la differenza tra idealismo e materialismo proprio in una opposta concezione del punto di arrivo e di quello di partenza. Gli idealisti sarebbero quelli che considerano lo spirito come il punto di partenza e i materialisti coloro che lo considerano un punto di arrivo,
Tuttavia se lo spirito, sarebbe meglio dire, il regno dello spirito realizzato è concepito da Gramsci come il regno della non contraddizione allora anche la contraddizione partenza-arrivo è tolta e con essa la contraddizione tra idealismo e materialismo che appunto non puó sussistere che in senso soltanto relativo.
D'altra parte la relazione dialettica tra partenza e arrivo è tale per cui l'arrivo è concepibile solo come legato alla partenza. In questo senso Gramsci sembrerebbe volerci dire che il materialismo è necessariamente legato all'idealismo e che non puó essere concepito se non in relazione dialettica con esso.
genseki

Lichenology

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lunedì, dicembre 29, 2008

Etienne de la Boétie

Sonetto

Lasso per quanti giorni, lasso per quante notti
Vissi lungi del loco ove il cor mio dimora
Venti giorni costretto in oscura dimora
Un secolo mi parve di sofferenze a fiotti.

Solo porto la colpa o cattivo, infelice
Del sospirare invano, di ció che m'addolora:
Perché mal consigliato ho lasciato in mal'ora
Colei che in nessun luogo mai lasciare mi lice.

Ho vergoga che omai la pelle scolorata
Veggasi pel dolore di rughe come arata:
Ho vergogna che infine l' inumano dolore

Tinga il capo anzitempo con il bianco colore
Ancora son minore pel computo degli anni
Eppur sono giá vecchio per quello degli affanni.

trad. genseki

martedì, dicembre 23, 2008

Jalisco

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Bordiga

A Janitzio la morte non fa paura


«In Messico, nel lago Patzcuaro, si trova la piccola isola di Janitzio. A 2.350 metri d'altezza, un paesaggio stupendo si spalanca davanti ai visitatori: acque tranquille, montagne dai fianchi tormentati, un cielo così vicino che sembra di poterlo toccare col dito. Discendenti da una razza fiera, gli indiani Tarascani combatterono contro gli Spagnoli «conquistadores». Furono vinti e adottarono la religione cristiana degli invasori; ma i santi che essi venerano hanno conservato i caratteri delle antiche divanità. Il Sole, l'Acqua, il Fuoco e la Luna. I Tarascani sono abili nel lavorare il cuoio, nello scolpire il legno, nel lavorare l'argilla e nel tessere la lana. Sono anche abilissimi pescatori. Quando ritirano le loro reti dalla strana foggia, somiglianti a grosse farfalle, sono sempre ricche di pesce. Ma anche se industriosi, i Tarascani sono ancora molto primitivi. Essi considerano infatti la vita come uno stato transitorio, un breve momento che bisogna passare per giungere alla beatitudine della morte. La morte non rappresenta più un'inesorabile fatalità; al contrario essa è considerata un bene, l'unico veramente inestimabile. Ecco perché «il giorno dei morti» non è, per gli abitanti di Janitzio, un giorno di dolore. La festa inizia di buon mattino. Le case vengono decorate a festa e tutte le immagini dei santi si arricchiscono di pizzi e fiori di carta. I ritratti dei defunti vengono esposti e illuminati da decine di ceri. Le donne preparano i piatti favoriti dai parenti defunti poiché essi, tornando a visitare i vivi, vi traggano consolazione.Nel cimitero, dietro la chiesa, si decorano anche le tombe che molto spesso non hanno nome. Non vi sono iscrizioni funebri a Janitzio! Ma non per questo si dimenticano i morti. La via che conduce dal cimitero al villaggio viene cosparsa di petali di fiori, affinché i defunti possano agevolmente trovare la strada di casa.Nel «giorno dei morti» le donne di Janitzio si fanno belle. Pettinano le lunghe trecce scure e si adornano di gioielli d'argento. Il costume si compone di una lunga sottana rossa bordata di nero a larghe pieghe. La camicetta ricamata scompare sotto il «rebozo» che ricopre la testa e le spalle e dal quale, spesso, spunta la testina dell'ultimo nato. A mezzanotte le donne vanno tutte insieme nel camposanto e si inginocchiano a pregare per i loro cari defunti. Accendono i ceri, i più grandi dedicati agli adulti e i più piccoli per coloro che se ne sono andati troppo presto da «questa valle di lacrime». Poi si abbandonano alla meditazione che, a poco a poco, si traduce in parole. Inizia così uno litania che non è di dolore, ma che esprime la comunione esistente tra i vivi e i morti.Intanto gli uomini rimasti al villaggio si riuniscono a bere vicino alla chiesa dove è stato elevato un catafalco nero dedicato ai morti che non hanno più nessuno che preghi per loro. Ritorneranno a casa verso l'alba, mentre le loro donne, che hanno vegliato tutta la notte al cimitero, vanno a sentire la messa seminascoste nel «rebozo». Trascorre così a Janitzio «la giornata dei morti». Sui volti degli abitanti del villaggio non si legge dolore, ma la festosa aspettativa di chi attende la visita delle persone più care».


Abbiamo ripresa tal quale e col suo titolo questa notiziola da un giornale italiano per i ragazzi. È una delle tante rifritture di materiale americano di «cultura» che passano di giornale in giornale e di rivista in rivista senza che pennaioli di servizio si accorgano di altro che del grado di effetto del pezzo che circola. Il ricopiatore ennesimo non si è nemmeno sognato il significato profondo che la sua diffusione nasconde, sia pur nella forma convenzionalmente conformista.
Le nobilissime popolazioni messicane, diventate cattoliche sotto il terrore spietato degli invasori spagnoli, mostrerebbero, col non avere terrore ed orrore della morte, di essere rimaste «primitive».
Erano, invece, quei popoli, eredi di una civiltà incompresa ai cristiani di allora e di oggi, e trasmessa dal comunismo antichissimo. L'insulso individualismo moderno non può che stupire beota se, pur nel testo scolorito, si legge di tombe senza iscrizione e di cibi che si apprestano ai morti che nessuno commemora. Veri «morti ignoti», non per retorica bolsa e demagogica, ma per possente semplicità di una vita che è della specie e per la specie, eterna come natura e non come sciocco sciame di anime vaganti negli extra-mondi, per la quale, e per il suo sviluppo, valgono le esperienze dei morti, dei vivi e dei non nati, in una serie storica il cui avvicendarsi non è lutto, ma gioia di tutti i momenti del ciclo materiale.
Anche nel simbolo, quei costumi sono più alti di quelli nostrani, ad esempio in quelle donne che si fanno belle per i morti e non per il più danaroso dei vivi, come nella società mercantile, fogna in cui noi siamo immersi.
Se sotto le spoglie degli squallidi santi cattolici vive ancora la forma antichissima delle divinità non inumane, come il Sole, ciò ricorda le notizie - quanto giunte a noi travisate! - della civiltà Incas, che Marx ammirava. Non erano primitivi e feroci tanto da immolare i più begli esemplari della specie giovane al Sole che chiedeva sangue umano, ma splendide di un intuito possente, quelle comunità che riconoscevano il fluire della vita nella energia, che è la stessa quando il Sole la irradia sul pianeta e quando fluisce nelle arterie dell'uomo vivo e diventa unità ed amore nella specie una, che fino a quando non cade nella superstizione dell'anima personale col suo bilancio bigotto di dare ed avere, soprastruttura della venalità monetaria, non teme la morte e non ignora che la morte della persona può essere inno di gioia, e contributo fecondo alla vita dell'umanità.
Nel comunismo naturale e primigenio, anche se l'umanità è sentita nel limite dell'orda, il singolo non ha scopi che consistano nel sottrarre bene al fratello ma è pronto ad immolarsi per il sopravvivere della grande fratria senza alcuna paura. Sciocca leggenda vede in questa forma il terrore del dio che si plachi col sangue.
Nella forma dello scambio, della moneta, e delle classi, il senso della perennità della specie sparisce, e sorge quello ignobile della perennità del peculio, tradotta nella immortalità dell'anima che contratta la sua felicita fuori natura con un dio strozzino che tiene questa banca e pesa. In queste società che pretendono di essere salite da barbarie a civiltà si teme la morte personale e ci si prostra alle mummie, fino ai mausolei di Mosca, dalla storia infame.
Nel comunismo, che non si e avuto ancora, ma che resta certezza di scienza, si riconquista la identità del singolo e della sua sorte con quella della specie, distrutta entro essa tutti i limiti di famiglia, razza e nazione. Con questa vittoria finisce ogni timore della morte personale, ed allora soltanto ogni culto del vivo e del morto, essendo per la prima volta la società organizzata sul benessere e la gioia e sulla riduzione al minimo razionale del dolore della sofferenza e del sacrificio, togliendo ogni carattere misterioso e sinistro alla vicenda armoniosa del succedersi delle generazioni, condizione naturale del prosperare della specie
.

Source: «Il Programma Comunista» N. 23 - 15-29 Dicembre 1961
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Natale 2008


Ancora una volta il Fuoco ha penetrato la Terra.
Non si è schiantato con strepito come un fulmine sulle montagne. Forse il Signore deve forzare la porta per entrare nella sua casa?
Senza sismi, senza tuoni, appare la fiamma che ha illuminato ogni cosa dall'interno.
Dal cuore dell'infimo tra gli atomi fino all'energia delle leggi piú universali,
ha invaso con assoluta naturalezza, ogni individuo, e nel suo insieme, ogni elemento, ogni modello, ogni unione del nostro cosmo, tanto che potrebbe credersi che esso abbia spontaneamente preso fuoco.
In ogni nuova Umanitá che oggi si genera,
il Verbo ha prolungato l'atto senza fine
della sua nascita, e in virtú della sua immersione nel seno del Mondo, le grandi acque della Materia, senza nemmeno un brivido, si sono riempite di vita.
Apparentemente nulla ha tremato, per l'ineffabile trasformazione. Tuttavia, misteriosamente e realmente, al contatto con la parola sostanziale, lUniverso, immensa ostia si è fatto carne.
Da allora ogni materia si è incarnata, Dio mio, per opera della tua incarnazione.

Pierre Teilhard de Chardin
Inno dell'Universo
Trad. genseki

lunedì, dicembre 22, 2008

César Vallejo


Ciro Alegria

César Vallejo come l'ho conosciuto

Parte I

Un signore circospetto, carico di anni e di sapienza, era in visita a casa una domenica sera, e fu allora che udii per la prima volta il nome di César Vallejo e le discussione che provocava. Si parlava del fatto che il lunedí avrei dovuto cominciare ad andare a scuola.

- Se avessi un figlio – suggerí questo Signore – lo manderei al Seminario. È una scuola di preti ed è molto conveniente.

Io ascoltavo attentamente questa conversazione dalla quale dipendeva il mio destino di studente. Mia nonna rispose con dignitá:

- In realtà suo padre mi ha scritto che lo mandi alla Scuola Nazionale di San Giovanni. È quello che ha detto definitivamente. Tutti gli uomini della famiglia sono stati educati li -.

- Che classe frequenterá?

- Quest'anno va in prima.

Il vecchio fece quasi un salto e poi disse con molta concitazione:

- Ma signora! Qui non si tratta di Scuole, si tratta di buon senso ... Ma lei lo sa chi insegna in prima alla Scuola di San Giovanni? Lo sa? Ebbene, quel Cesare Vallejo, quello che crede di essere un poeta e gli manca qualche rotella ... -

- Vabbé, ma per insegnare in prima... - disse la nonna per calmarlo un po'.

Ma il nostro ospite sembrava deciso a salvare dal pericolo quel povero innocente che io ero e argomentó:

- No, signora! Questo Vallejo se non è un idiota è sicuramente un pazzo. Non potrebbe farlo entrare in seconda. Entrando ho visto che il bambino stava leggendo il giornale ...-

Il mio presunto salvatore fece una smorfia sconsolata quando la nonna gli disse:

- Si, sa giá leggere e scrivere ma non le altra materie che si insegnano in prima -.

Il vecchio era peró determinato a spendere tutte le sue risorse per liberare il mio povero cervello da influenze perturbatrici, e prese una direzione piú condiscendente:

- Tuttavia signora, lei non mi negherá che in quanto all'educazione e specialmente a quella religiosa il seminario è il collegio migliore. Il suo prestigio va crescendo ... -

E la nonna:

- anche nel piano di studi del San Giovanni c`è religione e non sono per niente anticattolici ...-

Il vecchio si arrese. Forse per consolarsi, peró, si mise a esporre alcune considerazioni fatali per il modernismo e per tutta una serie di altri ismi e poi fece lampi e tuoni di ordine estetico contro l'arte del mio maestro, ma io non ci capivo niente. Finalmente se en andó con un'espressione abbastanza contrariata e non senza farmi gli auguri di buona fortuna in un modo tra disperato e compassinevole.
Mi riuscí difficile conciliare il sonno nel mezzo delle inquietudini che si impadronivano di un bambino che domani aspettava il suo primo giorno di scuola e pensava al suo maestro, che si diceva fosse un poeta e che il vecchio severo aveva chiamato pazzo o forse idiota.
Un mio compagno di viaggio che studiava in quella stessa scuola mi ci accompagnó.

- Voi non entrate da qui – mi disse quando giungemmo ad una grande porta sulla quale si leggeva l'iscrizione: dio e patria, - questa porta è per noi, quelli delle medie. Passiamo di lá -.
Camminammo verso l`angolo della strada, e quando lo svoltammo, si aprí a metá la porta che usavano i maestri e gli alunni delle elementari. Ci fermammo di colpo e mio zio mi presentó a quello che sarebbe stato il mio maestro. Accanto alla porta, immobile c'era Cesare Vallejo, magro, giallognolo, quasi ieratico, mi parve un albero che avesse perso le sue foglie. Il suo vestito era scuro, come scura la sua pelle. Per la prima volta vidi la luce intensa dei suoi occhi quando si inclinó per domandarmi, con tenera attenzione, come mi chiamassi. Scambió poi alcune parole con mio zio e quando questi se en andó mi disse “vieni di qua” Entrammo in un piccolo cortile dove stavano giocando molti bambini. La classe di prima era su uno dei lati. Allora si mise ad aprire i banchi per vedere se ce en fosse uno libero in base al fatto che vi fossero o no abiti al suo interno, poi me en indicó uno dicendo:
- Ti siederai qui, metti le tue cose, no, non così, devi essere ordinato, prima la lavagnetta che è piú grande, sopra il tuo libro e il berretto -.

Trad. genseki

Jimmy Giuffre

venerdì, dicembre 19, 2008

Celan





Io ho scritto poesie, cosa altro posso dire?


Paul Celan

Huerta

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Obaku

Huang-Po
Insegnamenti

I

Il maestro disse a Pei Siu:
Tutti i Budda e tutti gli esseri viventi non sono altro che uno spirito solo: altro metodo spirituale non v'è.
Da tempi senza inizio, questo spirito, che non è mai nato, non ha mai cessato di esistere, non è giallo e non è neppure azzurro, non possiede forma alcuna nè aspetto, non dipende dall'essere e neppure dal non essere, non è antico e non è nuovo, nè lungo, nè corto, nè grande nè piccolo, oltre ogni delimitazione e ogni denominazione: Eccolo, realtá intriseca.
Ma quando si fanno delle considerazioni si finisce per divagare... illimitato e insondabile, sembra lo spazio vuoto
Questo spirito è il Budda e tra il Budda e gli esseri viventi non c'è differenza. Tuttavia gli esseri viventi cercano sempre altrove afferrandosi a caratteri peculiari, e mentre van cercando avviene che perdono tutto, perché inviando la loro idea di Budda alla ricerca del Budda e il loro spirito alla ricerca dello spirito, anche senza mai tirare il fiato per interi kalpa, non possono arrivare da nessuna parte, ignorando, come ignorano che`proprio il Budda è gli esseri viventi tutti.
Quando è essere vivente, questo spirito non risulta in nulla sminuito e quando è Budda non per questo deve apparire come accresciuto. Così avviene che le sei trascendenze e l'infinitá delle pratiche come i meriti piú numerosi che i granelli di sabbia del Gange vi si trovino riuniti fondamentalmente al completo senza che un esercizio temporaneo ve li abbia aggiunti. Quando l'occasione si presenta ecco che allora , essi si esprimono, se no, se ne restano tranquilli.
Se non credete fermamente che questo spirito è il Budda e se volete praticare aggrappandovi a caratteri particolari per ottenere meriti siete preda di un equivoco grave e finirete per abbandonare la Via.
Questo spirito è il Budda e non v'è altro Budda e neppure altro spirito. Questo spirito chiaro e puro è simile allo spazio vuoto, in nessun punto avendo forma particolare alcuna.
Suscitare un particolare stato dello spirito per mezzo dei pensieri significa allontanarsi dalla sostanza delle cose e afferrarsi a caratteristiche particolari. Ora, fin dai tempi senza inizio, non vi fu mai un “Budda attaccato alle particolaritá”. Esercitarsi nelle sei trascendenze e nell'nfinitá di pratiche per diventare Budda significa intraprendere una via graduale e mai si vide un Budda graduale. Basta risvegliarsi a questo spirito uno per non “avere piú la menoma veritá da trovare”, tale è l'autentico Budda.
Il Budda e gli essere viventi non sono distinti nello spirito uno, che come lo spazio vuoto non è mai confuso e mai si degrada. Infatti, guardate il sole che illumina la terra intera. Al suo sorgere la luce si diffonde su tutta la terra ma non per questo lo spazio è reso piú luminoso. Quando tramonta e le tenebre ricoprono la terra non si fa per questo piú oscuro.
Luce e oscuritá reciprocamente si scacciano, immutato e vuoto resta lo spazio nella natura sua. Lo stesso avviene per questo spirito del Budda e degli esseri viventi.
Havvi chi suol considerare il Budda provvisto di segni particolari come la purezza, la luminositá e la libertá, e gli esseri viventi con i segni dell'impuritá, dell'oscuritá e dell'essere incatenati al samasara. Eppur coloro che in siffatto modo credono, neppure al trascorrere di kalpa innumerevoli potranno entrare nel porto del risveglio, essendo essi come afferrati ai caratteri particolari.
In questo spirito uno, dunque non resta la menoma realtá da trovare, posto che lo spirito è il Budda. Ai giorni nostri, i discepoli che non si sono risvegliati a questo spirito, nella sostanza loro altro non fanno che produrre pensieri, uno dopo l'altro affannosamente, cercando il Budda all'esterno e praticare aggrappandosi ai caratteri particolari; si tratta di un metodo malvagio e non della Via del Risveglio
trad. genseki

giovedì, dicembre 18, 2008

Il prezzo di un sorso d'acqua

E trovansi nel diserto di Azoad due sepolture fatte di non so che sasso, nel quale sono intagliate alcune lettere che dicono ivi esser seppelliti due uomini, uno de' quali fu ricchissimo mercante, e passando per quel diserto infestato dalla sete comperó dall'altro che era vetturale, una tazza d'acqua per diecimila ducati: ma tuttavia morí della sete e il mercatante che cmpró l'acqua e il vetturale che gliela vendé.

Leone Africano
Descrizione dell'Africa

mercoledì, dicembre 17, 2008

Equivalenti Matematici del Dogma

Lucian Blaga
L'Eone Dogmatico

La matematica piú recente include alcune costruzioni, come, per esempio, quelle dei “transfiniti” (il simbolo Aleph di Cantor) attraverso dei quali si fanno, involontariamente, alcune concessioni al pensiero dogmatico, cosí importanti, da poter essere chiamate, senza mezzi termini “equivalenti matematici del dogma". Il simbolo Aleph designa una grandezza transfinita che si mantiene identica a se stessa qualunque grandezza finita venga ad essa sottratta. Ricordiamo qui la affermazione di Filone secondo il quale la sostanza prima non soffre nessuna diminuzione a causa delle emanazioni originate da essa. Tra il simbolo Aleph e la formula di Filone c'è una perfetta somiglianza strutturale (la differenza consiste nel fatto che il dogma paral di essenze e di processi comsologici, mentre l'Aleph è puramente matematico). Cantor e (altri con lui) giunse, per successioni logiche di calcoli e di considerazioni a stabilire le diverse antinomie del transfinito. La questione principale a questo livello non è in che modo i matematici giunsero a queste antinomie, bensí come pensano di risolverle. Le antinomie, in generale, si possono risolvere per differenziazione logica di concetti, per differenziazioni applicabili senza restrizioni non solo in un mabito trascendente ma anche in uno logico-concreto. (“Dio è uno e molteplice” è un'antinomia. Essa puó risolversi attraverso una differenziazione logica di concetti, valida senza restrizioni in qualunque dominio come, per esempio, attraverso i concetti di sostanza e di manifestazione; sulla base di questa differenziazione la antinomia si risolverebbe in modo logico: Dio è uno in quanto sostanza e molteplice nelle sue manifestazioni). Abbiamo visto che a volte si cercó la soluzione alle antinomie non attraverso la differenziazione logica di concetti, bensí attraverso la separazione di concetti solidali. (Dio è uno in quanto essere e molteplice in quanto persona) Come si risolvono le antinomie del transfinito? Attraverso una distinzione di concetti e più esattamente attraverso una distinzione tra i concetti di potenza e di somma di un insieme (Menge). Ma bisogna esaminare quale sia la natura di questa distinzione. Cantor ottiene il concetto di potenza (Mächtigkeit) per mezzo di un'astrazione della possibilitá di coordinazione (Zuordnung) reciproca degli elementi di due insiemi. Quando i due insiemi di elementi coordinati sono finiti, la potenza di ciascuno coincide con la somma di ciascuno. Potenza è quindi un concetto piú astratto di quello di somma mentre dal punto di vista delle sue caratteristiche matematiche (piú esattamente per quello che si riferisce alle sue relazioni di eguaglianza, di più e di meno) reciprocamente solidale con quello di somma. Se due insiemi sono uguali come potenza lo sono anche come somma e all'inverso. Ma quando questi due concetti si applicano all'ambito del transfinito la solidarietá aritmetica sparisce. Due transfiniti possono avere la stessa potenza pur rappresentando somme differenti. Perché Cantor suppone che la solidarietá di potenza e somma cessi nell'ambito del transfinito? Per le stesse antinomie del transfinito. Queste antinomie sono quelle che obbligano l'intelletto a postulare una separazione di concetti che l'intelletto non concepise altrimenti che come che come in relazione solidale. (Questo postulato, una volta ammesso, rende possibile tutta una matematica dei transfiniti, di articolazioni assolutamente logiche). Per la soluzione delle antinomie del transfinito, Cantor sceglie il cammino della separazione dei concetti solidali: potenza e somma. Le antinomie ottenute in questo modo conducono, tanto per calcoli come per considerazioni logiche, alla postulazione di un determinato dominio di una separazione di concetti solidali nell'ambito logico-concreto. Noiabbiamo seguito questo procedimento, quando abbiamo analizzatole formule dogmatiche, il procedimeno di “trasfigurazione delle antinomie”.
Si deve approfondire se apparirono, tra le costruzioni piú recenti della scienza, altre idee, piú o meno vicine strutturalmente, alla formula dogmatica e alla antinomia trasfigurata.

Trad. genseki

martedì, dicembre 16, 2008

la leyenda del tiempo-camaron

La leggenda del tempo

Sopra il tempo va il sogno
Come fosse un veliero
Nessuno sguscia semi
Dentro il cuore del sogno

Sopra il tempo va il sogno
Sepolto fino al collo
Oggi e domani mangiano
Fiori oscuri di lutto

Sulla stessa colonna
Sogno e tempo abbracciati
Il pianto del bambino
Nella lingua del vecchio

Sopra il tempo va il sogno

Se il sogno finge muri
Nelle lande del tempo
Il tempo gli fa credere
Ch'è nato il quel momento

Sopra il tempo va il sogno

Federico Garcia Lorca
trad. genseki

Per Maresa


Come chi s'è perduto


Come chi s`è perduto nella selva profonda
Lungi dalle radure dai sentier dalle genti;
Come colui che in pelago mosso da forti venti,
Si vede preda omai del turbinio dell'onda;


Come chi a passi lenti va mesurando il campo
Quando la notte al mondo ogni chiarezza tolle,
I' luce e rotta persi ed a modo di folle
Persi a lungo l'oggetto ove il mio ben accampo.


Ma quando vedi (e' mali più non ti stanno attorno)
Nel bosco, in mar al campo, e meta e porto e giorno;
Il ben presente credi maggior dei mali feri;


Ed io che in vostra assenza sofferto ho tal dolore
Dimentico, al veder vostro chiaro splendore,
Bosco, tormenta e notte lunghi rabbiosi e neri.


Etienne Jodelle (1532-1573)


trad genseki