giovedì, novembre 01, 2007

La Cattedrale V

Il libro della Cattedrale

Lo spazio sacro della cattedrale è anche l'immagine simbolica del Libro, o megli dei libri sacri: l'Antico e il Nuovo Testamento.
Il testo di parole diventa testo di pietra, qui, il Logos diventa edificio e l'edifcio rappresenta a sua volta il corpo morente del Logos incarnato: parole, carne e pietra. Ma il Logos di pietra è simbolicamente femminile, umido, sotterraneo, cupo e lunare.

Come testo la cattedrale può e deve essere letta, bisogna però possedere le chiavi che permettano di accedere alla sua scrittura, conoscere il suo linguaggio e le sue regole.
Tuttavia non c'è dubbio la cattedrale va letta, è fatta per essere letta, è leggibile.


“Ed egli ripensó a questa cripta tiepida di Chartres. Si, non vi era dubbio, come tutti gli edifici dell'epoca romanica, essa simboeggia bene lo spirito dell'Antico testamento, ma non è soltanto cupa e triste, è anche avvolgente e discreta, e così tenera e dolce!E poi, se ammettiamo che essa sia l'immagine in pietra del Vecchio Libro, non lo rappresenta certo nel suo insieme, quanto piuttosto nella scelta speciale, invece, delle grandi oranti che prefigurano la Vergine nelle Scritture. Essa è la traduzione in pietra delle pagine riservate soprattutto alle donne illustri della Bibbia che furono in qualche modo incarnazione profetiche della nuova Eva.

Insomma, disse Durtal, malgrado le contraddizioni di alcuni dei suoi testi la cattedrale é leggibile.
Essa contiene una traduzione dell'Antico e del Nuovo Testamento; innesta inoltre sulle sacre scritture le tradizioni degli apocrifi che riguardano la Vergine e San Giuseppe, le vite dei santi raccolte nella Leggenda Aurea di Jacopo da Voragine e le monografie dei Celicoli della diocesi di Chartres.
La cattedrale è un immenso dizionario della scienza del Medio Evo, su Dio, sulla Vergine e sugli eletti.

*

Il testo di pietra che si trattava di comprendere era, se non difficile da decifrare, almeno imbarazzante per i passaggi interpolati, perl le ripetizioni, per le frasi scomparse oppure troncate; per dirla tutta, anche, per una certa incoerenza che si spiegava, del resto, quando si constatava che l'opera era stata continuata da diversi artisti, da essi alterata in forma o dimensioni, in un lasso di tempo di più di duecento anni.

genseki

mercoledì, ottobre 17, 2007

L'Arcano dello Stupore



"Dico dunque che, passando il mar Maggior, me en andai in Trebisonda, anticamente chiamata Ponto Eusino. Questa terra è molto ben situata de è porto e quasi scala di Persiani, di Medi e di tutti quelli che sono di là dal mare. Qui vidi cosa che molto mi piacque: eravi un uomo qual menava seco più di quattromila pernici, de esso camminava a piedi per terra, e quelle lo seguivano volando per l'aere; e se en aandavano a un certo castello chiamato Zanga, , lontano da Trebisonda tre giornate. Queste pernici erano di tal sorte che volendo il dito uomo riposarsi, tutte, a guisa de polli, intorno a lui si acconciavano; e così le conduceva in Trebisonda, sino al palazzo dell'imperatore, ove egli eleggeva quante ad piacevano, e l'altre menava da novo al loco di dove prima l'aveva tolte".

Odorico da Pordenone
da “Navigazioni e viaggi” di Giovan Battista Ramusio


Con queste parole inizia il resoconto del viaggio in Cina che il Beato Odorico da Pordenone compì dal 1314 al 1330 con propositi di evangelizzazione.
Inizia il viaggio con questa immaggine di meraviglia e di leggerezza: un gregge volante che segue un pastore pedestre.
Ingenua meraviglia e allegra leggerezza, la leggerezza del viaggiatore che affronta l'ignoto che si segue il cammino senza bagaglio e senza beni si riflette in questo confuso frullo di ali.
Il Pastore del gregge Volante è il simbolo della vicenda terrena del Beato Odorico, sotto questo segno, che varrebbe la pena di essere rappresentato in un arcano maggiore di un nuovo Tarocco, viene a svolgersi la sua avventura nell'universo dello stupore.
Il tarocco potrebbe mostrare il pastore con una veste azzurra e pantaloni azzurri con una verghetta gialla nella mano sinistra e nella destra una fune alla quale sono legate altre funicelle che terminano nei collari fissati al collo delle pernici, il gregge delle pernici potrebbe essere asimmettrico con tre uccelli alla destra del pastore e sette alla sinistra, numeri e posizioni evidentemente simbolici.
Le pernici nere e verdi con ali goffamente spiegate su un cielo cobalto.
Questa arcano potrebbe avere come titolo: il limite.
Il limite tra il nostro mondo e il mondo dello stupore e quello della meraviglia: il mondo in cui i buoi sono divinitá, i pesci vengono spontaneamente alla spiaggia per farsi pescare, i figli si mangiano i padri per orrore della putrefazione, il mondo dove si puó incontrare il lago formato dalle lacrime di Adamo e Eva piangenti il figliuol loro Abele, dove dentro i meloni, come fossero uova vegetali nascono agnelli.
E il buon Odorico si appresta a varcare questo limite senza però potersi separare dai suoi preconcetti, dalle sue convinzioni, dalle sue opininioi, in una parola dalla sua cultura, che anche se non gli servono piú da guida, continuano, tuttavia a frullargli nel cervello, non gli indicano il cammino ma lo seguono svolazzando come un gregge di pernici segue il suo pastore.
Con questa immagine, sulla soglia dell'avventura, Odorico rappresenta se stesso nell'atto di prepararsi a varcarla e insegna al lettore come deve porsi davanti all'avventura dell'esplorazione del testo nato dallo stupore, a tutti noi insegna a varcare la soglia della meraviglia.
genseki

martedì, ottobre 16, 2007

 
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Dialettiche



In ogni attimo della storia in fieri c'è lotta tra razionale e irrazionale, inteso per irrazionale ciò che non trionferá in ultima analisi, non diventerá mai storia effettuale, ma che in realtá è razionale anch'esso perché è necessariamente legato al razionale, en è un momento imprescindibile; che nella storia, se trionfa sempre il generale, anche il “particulare” lotta per imporsi e in ultima analisi si impone anch'esso in quanto determina un certo sviluppo del genere e non un altro.
Gramsci
Quaderno II
p. 690

Questo passo di Gramsci si intende solo all'interno di una concezione precisa del tempo. Una concezione in cui il tempo è lineare e finito.
Se pensiamo ad una dimensione circolare del tempo risulta, infatti, difficile parlare di trionfo in termini storici, in quanto qualsiasi cosa si affermi in questa particolare struttura temporale è destinata a rivolgersi nel suo contrario.
Anche in un tempo concepito come infinito non puó trionfare proprio nulla in quanto qualsiasi avvenimento storico, sarebbe solo un punto senza dimensioni, senza significato particolare che non sia il fare parte di una catena di successioni.
Il tempo in cui si muove il pensiero di Gramsci è dunque un tempo lineare e finito.
Solo un tempo finito puó essere storico cioé adeguato all'essente che è naturalmente finito, adeguato all'uomo che anche considerato come specie è sempre, inesorabilmente imprigionato nel finito.
La storia è quindi concepibile solo come finita, perché solo se finita puó essere umana, puó essere la storia dell'uomo, se no si tratterá di "historia naturalis" o di teostoria.
È la certezza della fine della storia che rende la storia “storica”
Si tratta peró di un finito che non finisce mai; la storia è finita in quanto comporta un numero inifinito di fini (o di trionfi).
Oppure si puó pensare a un tempo finito a cui manca sempre una parte per finire come nel paradosso di Zenone la freccia non puó raggiungere il bersaglio, proprio allo stesso modo la storia non può raggiungere la sua fine, c'è sempre un frammento di tempo ancora da trascorrere.
In questo tempo che lascia sempre un resto si fa possibile la storia, la storia dell'uomo.
Eppure non é proprio la dialettica con il suo movimento avvolgente che pare suggerire un'altra forma del tempo?
Razionale e irrazionale, generale e particolare sono due elementi della dialettica la cui sintesi é il superamento-assunzione di entrambi.
Quindi non si può parlare di un movimento del tempo che va dal particolare al generale in linea retta, ma piuttosto di due movimenti a spirale che si avvolgono l'uno con l'altro.
Il tempo della dialettica non sembra essere un tempo lineare. Il tempo del particolare non é solo precedente al tempo del generale ma è anche contemporaneo e successivo ad esso.
La concezione del tempo che è sottesa a questo brano di Gramsci è una concezione cristiana piuttosto che dialettica; si tratta di un tempo che si estende da una origine ad una fine (creazione e giudizio) Il trionfo del generale e del razionale stanno al posto della “parousia” e com ella “parousia” la loro realizzazione si trova sempre dopo un residuo di tempo che é “sempre” ancora non consumato.
Il tempo della dialettica non va da un cominciamento ad una fine perché il cominciamento è sempre presente nella fine e la fine è già tutta nel principio.
La tensione che innerva questo frammento di Gramsci e forse tutto il suo pensiero è proprio in questa contraddizione tra procedere dialettico e fondamento cristiano.
genseki

martedì, settembre 18, 2007

Le Concentrazioni


Il testo che segue è tratto dal SUTRA del Loto, Capitolo XXIII “GADGADASVARA” e si colloca tra i capololavori del genere letterario definito da Borges: il Catalogo di cui si trattava qui esattamente un anno fa presentando un catalogo sublime come quello de veli di Ibn Arabi (12 settembre 2006.
In realtá il Sutra del Loto ci é giunto solo nella traduzione cinese e circola abbastanza sotto forma del pasticcio giapponese diffuso dalla neo-religione SOKA GAKKAI.
Il Testo che riporto qui contiene le parole sanscritte frutto di retrotraduzione perché non so poroprio come scrivere in cinese in questo blog.
Genseki

Questo è il catalogo delle concentrazioni:

La concentrazione Dvajagakeyvia : Braccialetto dello stendardo
La concentrazione Saddharmapundarika : Loto della Vera Dottrina
La concentrazione Vimaladatta : Dono di Vimala
La concentrazione Naksatrarajavikiridita: Divertimento del Re degli Astri
La concentrazione Anilambha: Senza Oggetto
La concentrazione Jnanamudra: Sigillo della conoscenza
La concentrazione Candrapradipa: Luce della luna
La concentrazione Sarvarutakausalya: abilità in tutti i suoni
La concentrazione Sarvapunyasamucaya: Raccolta di tutti i meriti
La concentrazione Prasadavati: Signora Gentile
La concentrazione Rdivikiridita: Divertimento dei poteri miracolosi
La concentrazione Jnanolka: Lampada della conoscenza
La concentrazioneVyuharaja: Monarca dei ragionamenti
La concentrazione Vimalaprabhasa: Luce immacolata
La concentrazione Vimalagarbha: Ventre immacolato
La concentrazione Apkrstna: Totalmente acquatica
La concentrazione Surynavarta: Volgersi del sole.
***

venerdì, agosto 03, 2007

Verano

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Gli Dei

Alain

Da cosa dipende l'assenza totale di Alain dlla cultura italiana? È un'assenza tanto piú stupefacente quando si consideri la presenza della sua discepola piú importante Simone Weil.
La lettura di Alain mostra quanto i "Quaderni" di Simone dipendano dal suo pensiero. Quanti fili legano questi due universi, in quanti punti essi si intersechino e quante forti siano i ponti che li pongono in comunicazione Senza Alain il percorso filosofico e poetico di Simone Weil appare come un notturno volo spettacolare e luminoso che si accende in un punto qualsiasi della notte e scompare tra le nebulose.
Quella che segue è una piccola antologia tratta dal ñibro: "Les Dieux" a cura di genseki.


Alain
Les Dieux
Gli Dei


Spinoza dit qu'il n'y a rien de positif dans l'erreur, ce qui signifie qu'en Dieu l'imagination de l'homme est toute vraie.

Spinoza dice che nell'errore non c'è nulla di positivo, il che significa che in Dio l'immaginazione dell'uomo è perfettamente vera
*

Si je pouvais penser les dieux en dieu et comme dieu, tous les dieux seraient vrais ; mais la condition humaine est d'interroger un dieu après l'autre et une apparence après l'autre, ou, pour mieux dire, une apparition après l'autre, toujours poursuivant le vrai de l'imagination, qui n'est pas la même chose que le vrai de l'apparence.

Se potessi pensare gli dei in dio e come dio, tutti gli dei sarebbero veri; ma la condizione umana è di interrogare un dio dopo l'altro e un'apparenza dopo l'altra, o, per meglio dire un'apparizione dopo l'altra, perseguendo sempre la verità dell'immaginazione, che non è la stessa cosa che la verità dell'apparenza.
*

L'imagination est toute dans le corps humain, et consiste seulement dans les mouvements du corps humain.

L'immaginazione sta tutta nel corpo umano, e consiste soltanto nei movimenti del corpo umano
*

L'homme fut condamné à travailler. Très vrai. Et très vrai aussi qu'il y comptait bien. Toutefois cette acceptation ne va jamais sans tricherie. C'est que jamais le travail ne fera exister tout l'Univers.

L'uomo fu condannato a lavorare. Verissimo. Ed altrettanto vero e che ci contava. Tuttavia questa accettazione comporta anche un inganno: il lavoro non farà mai esistere l'universo intero.
*

L'être de l'enfant n'est jamais sans travail ; seulement c'est la nécessité du travail qui ne lui apparaît pas.

L'essere del bambino non è mai senza lavoro; soltanto la necessità del lavoro si situa al di là del suo orizzonte.
*

L'idée de travailler seulement pour apprendre est l'utopie essentielle ; ce n'est que l'enfance continuée ; et ce qu'on nomme la curiosité, qui promet plus qu'elle ne tient, est la suite d'un travail musculaire qui ne mord point, et qui explore seulement. Dont le goût de la promenade, toujours décevant, est un reste pur. Il y a une rupture éton­nante entre la fatigue du promeneur et le repas qu'il trouve préparé.

L'idea di lavorare soltanto per apprendere è l'utopia essenziale; è soltanto infanzia protratta; ciò che chiamiamo curiosità, che promette più di quanto non mantenga è la conseguenza di un lavoro muscolare che non incide, che soltanto esplora. Il gusto della passeggiata, sempre deludente, ne è un puro residuo. C'è una cotraddizione stupefacente tra la fatica di chi passeggia e il pasto che egli trova pronto.
*

Il n'y a que le chasseur devenu cuisinier qui connaisse le chemin d'un oiseau qui s'envole au succulent rôti.

Soltanto il cacciatore che sia divenuto cuoco conosce il cammino che conduce dall'uccello in volo all'arrosto succulento.
*

Mais ce qui est surtout à remarquer, c'est une avance du discours sur la pensée ; ce qui serait peu croyable, si l'on ne comprenait pas que l'enfant parle naturellement avant de savoir ce qu'il dit. Analysez le dialogue entre la mère et l'enfant, vous verrez que l'enfant renvoie les mots comme des balles, et admire qu'il s'entende lui-même comme il entend l'autre ; cette sorte d'écho est le premier sens du langage, et le sera toujours. Cette résonance humaine se développe en musique ; mais d'autre part la musique des mots se développe en magie, par la nécessité de prier continuelle­ment tous les génies familiers maîtres des jouets, maîtres des fruits, seigneurs souverains des portes, fenêtres, et escaliers. Cette méthode d'obtenir, qui est d'abord la seule, et longtemps la principale, rend compte d'une fonction des mots que l'on oublie presque toujours, d'après cette idée que l'on forme d'abord la connaissance, et qu'on l'exprime ensuite. Or, si la connaissance d'un objet résulte toujours des essais par lesquels on l'atteint, on le manie, on le conquiert, il est clair, seulement par la faiblesse première de l'enfant, que le langage est la première manière de conquérir, et donc la première connais­sance. Les noms de personne, les politesses, les cris imitatifs, les noms com­muns, sont d'abord directement liés à nos besoins, à nos peurs, à nos affections, à nos désirs, et sont tous, à vrai dire, des « Sésame, ouvre-toi ». L'incantation, qui fait paraître ce qu'on nomme, seulement par l'exactitude, la répétition et l'obstination, est la première physique. Et cette position d'attente et d'espérance est ce qui conserve aux mots leur puissance d'exprimer.

Ma quello che bisogna notare soprattutto è un anticipo del discorso sul pensiero; cosa che sarebbe difficile da credere se non si capisse che il bambino parla naturalmente prima di capire quello che dice. Analizzate il dialogo tra la madre e il bambino, vedrete che il bambino rinvia le parole come delle palle, e si stupisce di coomprenderle anche lui, come l'altro le comprende; questa specie di eco è il primo significato del linguaggio, e sempre lo sarà. Questa risonanza umana si sviluppa nella musica; ma, d'altra parte, la musica delle parole si sviluppa nella magia, per la necessità di pregare continuamente i geni familiari signori dei giocattoli, dei frutti, sovrani delle porte, delle finestre, delle scale. Questo modo di ottenere che è il primo, resta a lungo il principale, esso spiega una funzione delle parole che si tende a dimenticare sempre, seguendo l'idea che prima si forma la conoscenza e poi la si esprime con le parole. Ora, se la conoscenza di un oggetto sempre deriva dai tentativi di raggiungerlo, di maneggiarlo, di conquistarlo, secondo l'idea, che si formi dapprima la conoscenza, e che la si esprima successivamente. Ora, se la conoscenza di un oggetto risulta sempre dai tentativi di raggiungerlo, di maneggiarlo, di conquistarlo, appare chiaro, già per la primaria debolezza del bambino, che il linguaggio è il primo modo di conquistare e quindi la prima conoscenza. I nomi delle persone, le formule gentili, le grida onomatopeiche, i nomi comuni, sono dapprima direttamentelegati ai nostri bisogni, alle nostre paure, ai nostri affetti, ai nostri desideri, e sono tutti, a dire il vero degli: "Apriti sesamo". L'incantesimo, che fa apprire la cosa nominata, solamente attraverso l'esattezza, la ripetizione, l'ostinazione, è la prima fisica. E questa posizione di attesa e di speranza è ciò che conserva alle parole la loro potenza di espressione.
*

Nos sens sont remués par le sang et les humeurs de façon à produire des commencements de fantômes, tels que bourdonnements, nappes de couleurs, mouches volantes, fourmillements, salivation, nausées, et autres effets de l'attente passionnée ; mais ces formes mouvantes, si nous y faisions attention, ne nous présenteraient jamais que la structure de notre propre corps, et encore en un mouvement de fleuve. Toutefois ce murmure du corps à lui-même est effacé par le discours qui est un objet réellement produit et réellement perçu. La conjuration par les paroles fait donc surgir premièrement les génies de la chair et du sang, mais aussitôt les disperse par la déclamation rituelle, solennelle, qui ouvre sur l'événement une porte de silence.

I nostri sensi sono commossi dal sangue e dagli altri umori in modo da produrre degli abbozzi di fantasmi, ovvero ronzii, macchie di colore, mosche volanti, formicolii, salivazione, nausee e altri effetti di un'attesa appassionata; ma queste forme mobili , se prestassimo loro attenzione, non ci presenterebbero altro mai che la medesima struttura del nostro proprio corpo, e per di più nella forma del movimento di un fiume. Questo movimento del corpo, tuttavia, è anch'esso cancellato dal discorso che è un oggetto realmente prodotto e realmente percepito. La congiura delle parole fa dunque sorgere in primo luogo i geni della carne e del sangue, ma subito li disperde per mezzo della declamazione rituale, solenne che apre sull'avvenimento una porta di silenzio.
*

L'enfant, de même que l'homme, ne voit jamais que le monde comme il se montre, et le monde se montre comme il doit, je dirais même comme il est. Mais le discours, qu'il soit récit, poésie ou prière, fait un autre monde, de choses, de bêtes, et d'hommes, et de tout ce qu'on peut nommer ; un monde qui n'apparaît jamais. La magie ne peut pas plus aisément évoquer un homme qu'une forêt. Le lien magique n'est pas d'un homme imaginaire aux choses qu'il nous donne et nous enlève ; il est du mot à la chose invisible et à l'homme invisible ; et cette présence que nous cherchons toujours derrière la présence résulte d'une impérieuse, disons même impériale, manière d'agir qui est la première pour tous.

Il bambino, così come l'uomo, non vede il mondo che come esso appare, e il mondo appare come deve, direi quasi come è. Ma il discorso, sia esso racconto, poesia o preghiera, crea un altro mondo, di cose, di bestie e di uomini, e di tutto ciò che può essere nominato; un mondo che non appare mai. La magia ha la stessa difficoltà a evocare un uomo piuttosto che una foresta. Il legame magico non è quello tra un uomo immaginario e le cose ch'egli ci da o ci toglie; è quello tra la parola e la cosa invisibile e l'uomo invisibile; e questa presenza che noi sempre cerchiamo dietro la presenza risulta da una maniera di agire imperiosa, persino imperiale, che è per tutti la prima.
*

On s'étonne du prodigieux effet des prières ; je ne pense pas qu'une prière soit jamais plus crue qu'un récit, et c'est déjà beaucoup. Au reste les contes sont des récits de prières exaucées ; la parole se confirme elle-même. Telle est la vertu des paroles.

Ci si stupisce dell'effetto prodigioso delle preghiere; io non penso che una preghiera sia mai più ddi un racconto, ed è già molto: Del resto i racconti sono racconti di preghiere esaudite; la parola conferma se stessa. Tale è la virtù delle parole.
*
Ce qui fait l'existence, ce n'est pas le paraître, c'est le paraître au commandement et sous la condition d'un travail.

Ciò che fa l'esistenza non è l'apparire, ma l'apparire a comando in dipendenza da un lavoro.
*

giovedì, agosto 02, 2007

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La Cattedrale III


La fortezza, l'armatura

La Cattedrale è paragonata a una fortezza e persino all'armatura i un cavaliere di quella crociata predicata da S. Bernardo proprio nella Cattedrale. Si tratta di una “Lorica” l'armatura magica fatta di orazioni e di scongiuri che avrebbe dovuto proteggere il cristiano che se en serviva. La cattedrale è una “Lorica” ma non una “Lorica” di parole o di altri segni verbali, quanto piuttosto di pietre e di segni architettonici:

“Ritornava a casa sua per mangiare qualche cosa e, abracciando, con un'ultimo sguardo, la chiesa ammirevole, ricapitolando i simulacri guerrieri così come apparivano: le forme di scudo dei rosoni, di lama di spade dei vetri , i contorni dei caschi e degli elmi delle ogive, la somiglianze di alcune vetrate in grisaglia filigranata di piombo con le tuniche di maglia di ferro dei combattenti, e, fuori, contmplando uno dei campanili intagliato a lamelle come una pigna, come una cotta di maglia, si diceva che pareva davvero che “gli ospiti del buon Dio” avessero preso in prestito i loro modelli ai bellicosi arnesi dei cavalieri; che avessero voluto perpetuare come per perpetuare il ricordo delle loro imprese, raffigurando dovunque l'immagine ingrandita di quelle armi di cui i Crociati si cinsero quando si imbarcarono per partire alla riconquista del Santo Sepolcro".

genseki

mercoledì, agosto 01, 2007

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Son così fresche le foglie d'acacia

Son così fresche le foglie d’acacia
Son così verdi che si fanno azzurre
Scorrono come l’acqua dentro di noi
Quando ti stringo e mi stringi
E siamo vene d’acqua celeste
Linfa d’autunno che si fa bagliore
Teneri e verdi
Scorriamo uno nell’altro
Fatti a vicenda alveo e corrente.
Son così verdi le foglie d’acacia
Son così fresche che si fanno azzurre
Quando corteccia avvolgi la mia linfa
Ed io son foglia delle tue pupille
E siamo luce che trascorre il fiume
Alto e sottile delle nostre vene.
Freschi esistiamo come foglie verdi
Tremo al tuo vento
Fremi alla mia brezza
Siamo fronde d’acacia nell’autunno
Gocce di linfa
Dei rami della pelle.
Son così freschi e verdi i nostri corpi
Son così freschi che si fanno azzurri
Se nella trasparenza ci mutiamo
Intrecciando le dita alle pupille
Attraversati di stupore azzurro:
Esserci
Nudi
Freschi come foglie.

genseki
1998

Pino negral

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Scienza della Logica


Quando delle cose diciamo che son finite, con ciò si intende che non solo hanno una determinatezza, che non solo hanno la qualità come realtà e determinazione, che è in sé, non solo son limitate, così da aver poi un esserci fuor del loro limite, ma che anzi la lor natura, il loro essere, è costituito dal non essere. Le cose finite sono, ma la loro relazione a se stesse e che si riferiscono a se stesse come negative, che appunto in questa relazione a sé si mandano al di là di se stesse, al di là del loro essere. Esse sono, ma la verità di questo essere è la loro fine. Il finito non solo si muta, come il qualcosa in generale, ma perisce; e non è già soltanto possibile che perisca, quasi che potesse essere senza perire, ma l’essere delle cose finite, come tale, sta nell’avere per loro essere dentro di sé il germe del perire: l’ora della nascita è l’ora della lor morte.

*

Il pensiero della finità delle cose porta con sé questa mestizia, perché una tale finità è la negazione qualitativa spinta al suo estremo, perché alle cose, nella semplicità di codesta determinazione, non è più lasciato un essere affermativo distinto dalla loro destinazione a perire.
*

La finità è la negazione come fissata in sé, epperò si erge rigida di contro al suo affermativo. Quindi è che il finito si lascia bensì portar nella corrente; esso consiste appunto in questo, nell’esser destinato alla sua fine, ma soltanto alla sua fine; - anzi è il rifiuto di lascairsi affermativamente portare al suo affermativo, all’infinito, di lasciarsi unire con quello. Il finito è dunque posto inseparabilmente dal suo nulla, ed ogni conciliazione col suo altro, coll’affermativo, è così impedita.
La destinazione delle cose finite non è nulla più che la lor fine.

*
Il finito si distrugge in sé ma risolve effettivamente la contraddizione, non già ch’esso sia soltanto caduco e che perisca, ma che il perire, il nulla, non è l’ultimo, ossia il definitivo, ma perisce.
Hegel
Da: La scienza della Logica

lunedì, luglio 30, 2007

Rivelazioni

Il Corano non è un libro che parla di Allah, bensì un libro che lo rivela, cioè che lo mostra, segnala la sua direzione e riconduce chi lo recita alle sue proprie origini, là dove tutto si incontra di nuovo.

La Rivelazione, però, non è solo il Corano, Il Corano è solo l'esterno della Rivelazione, una delle sue manifestazioni storiche, in realtá, tutto ció che è, è Rivelazione, Sura di un Corano non scritto.

Il Corano si dischiuse in Mohammad perchè incontrò un cuore vuoto.


Gonzalez e Haya
Islam para ateos
trad genseki

domenica, luglio 22, 2007

VIVIT

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VIVIT

Sopra ognuna delle figure in bassorilievo
È incisa la parola VIVIT
La si legge per tre volte
VIVIT VIVIT VIVIT
Come uno scongiuro
Eppure le forme limate dei volti
Nella pietra non sono nemmeno più umane
Non ci parlano piú di affetto o di attitudini
Ma di erosione, di disgregazione
del succedersi di temperatura e di umiditá,
Forse anche di reazioni chimiche e di batteri.
Quello che ci racconta la pietra
È un racconto appunto minerale,
Un racconto che non coincide
Con la dimensione dell'umano,
E quello che resta di volto, nelle pietre
È, proprio per questo, ancora piú morto.
La pretesa che la parola VIVIT
Grida ai nostri occhi
Rende la morte ancora piú ignobile
Anzi, è questa pretesa che la rende ignobile
Là dove quelli che furono volti
Si rivelano parti della storia minerale
Il loro essere scolpiti vicenda meccanica
Della materia
Il loro essere ricordo
Sfigurato dalla volontá di persistenza
Di separatezza dalla forza vitale
Delle pietre del vento, dell'acqua e dei batteri
Delle molecole e delle stelle
Delle crepe e degli insetti
Un dolore acuto ci rende liberi dalla paura
Dalla paura della vita giocosa delle pietre
Delle loro lente metamorfosi che piegano il tempo
Fino a farne la culla della vita.

venerdì, luglio 20, 2007

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Il Canto dell'Autunno

Il canto del nostro autunno
Era un canto terso d’attesa
Un canto di cristallo di speranza
Fresco come l’aria del mattino
Era un vetro venato di voli
Nel cielo di nuvole accartocciate
Dall’estinguersi ocraceo della luce
Un canto senza tamburi
Ma con vuoti di basso profondo
Come gesto d’intelletti senza forma
Intenti a rispecchiarsi negli stagni
Oh era un canto di spine
Un canto di rose di carta velina
Di corteccia svilita dalla pioggia
Perché noi sapevano cos’era il fango
Allora sapevamo che era reale
Che nel fango marciscono i frutti
E le piume dei voli defunti
Ed anche per questo cantavamo
Cantavamo un canto d’autunno
Un canto che abbiamo dimenticato
Latrando catarrosi dietro ai claxon
Delle vecchie berline giapponesi.

genseki
10/10/00 21.35