martedì, dicembre 30, 2008
O fonti secche o arido vapore
Gramsci e la fine della storia
“La formulazione di Engels che l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre umanamente oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente soggettivo [...]. L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie [...]. C'è dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario».
L'unificazione culturale del genere umano corrisponde in questo testo alla sparizione delle contraddizioni. Tuttavia la sparizione delle contraddizioni non puó che significare anche contemporaneamente la sparizione della dialettica dal momento che non vi è dialettica ove non è contaddizione. Se, tuttavia, come pare, anche nel pensiero di Gramsci la dialettica è la legge che governa la realtá umana e quella naturale, quale tipo di realtá sarebbe quella senza dialettica? Una realtá certamente non piú umana. Non piú umana in che senso? Certamente non nel senso di una realtá piú naturale. Che cosa allora? Qualche cosa che si situa al di lá del reale, nell'elemento dell'ultrareale che non è né trascendente né immanente e che quindi non non è né puó essere neppure anteriore piuttosto che posteriore. Infatti se non vi è contraddizione, ció che resta abolito è la negazione. Non puó evidentemente darsi negazione senza che inmediatamente si dia contraddizione e all'inverso ove non vi sia contraddizione non vi è possilitá di negazione. Senza negazione non si puó parlare di “punto di partenza” e neppure di principio. Perché vi sia partenza o perché vi sia inizio, è infatti necessario che vi sia negazione di uno stato che è appunto quello anteriore alla partenza o all'inizio e che nello stesso tempo è interno ad entrambi. Non so se si potrebbe dire attuale a tutti e due. L'unificazione del genere umano non può dunque essere considerata un punto di arrivo o di partenza se non in senso assolutamente relativo o metaforico.
In queste linee, tuttavia, Gramsci sembrerebbe voler far consistere la differenza tra idealismo e materialismo proprio in una opposta concezione del punto di arrivo e di quello di partenza. Gli idealisti sarebbero quelli che considerano lo spirito come il punto di partenza e i materialisti coloro che lo considerano un punto di arrivo,
Tuttavia se lo spirito, sarebbe meglio dire, il regno dello spirito realizzato è concepito da Gramsci come il regno della non contraddizione allora anche la contraddizione partenza-arrivo è tolta e con essa la contraddizione tra idealismo e materialismo che appunto non puó sussistere che in senso soltanto relativo.
D'altra parte la relazione dialettica tra partenza e arrivo è tale per cui l'arrivo è concepibile solo come legato alla partenza. In questo senso Gramsci sembrerebbe volerci dire che il materialismo è necessariamente legato all'idealismo e che non puó essere concepito se non in relazione dialettica con esso.
genseki
lunedì, dicembre 29, 2008
Etienne de la Boétie
Lasso per quanti giorni, lasso per quante notti
Vissi lungi del loco ove il cor mio dimora
Venti giorni costretto in oscura dimora
Un secolo mi parve di sofferenze a fiotti.
Solo porto la colpa o cattivo, infelice
Del sospirare invano, di ció che m'addolora:
Perché mal consigliato ho lasciato in mal'ora
Colei che in nessun luogo mai lasciare mi lice.
Ho vergoga che omai la pelle scolorata
Veggasi pel dolore di rughe come arata:
Ho vergogna che infine l' inumano dolore
Tinga il capo anzitempo con il bianco colore
Ancora son minore pel computo degli anni
Eppur sono giá vecchio per quello degli affanni.
trad. genseki
martedì, dicembre 23, 2008
Bordiga
«In Messico, nel lago Patzcuaro, si trova la piccola isola di Janitzio. A 2.350 metri d'altezza, un paesaggio stupendo si spalanca davanti ai visitatori: acque tranquille, montagne dai fianchi tormentati, un cielo così vicino che sembra di poterlo toccare col dito. Discendenti da una razza fiera, gli indiani Tarascani combatterono contro gli Spagnoli «conquistadores». Furono vinti e adottarono la religione cristiana degli invasori; ma i santi che essi venerano hanno conservato i caratteri delle antiche divanità. Il Sole, l'Acqua, il Fuoco e la Luna. I Tarascani sono abili nel lavorare il cuoio, nello scolpire il legno, nel lavorare l'argilla e nel tessere la lana. Sono anche abilissimi pescatori. Quando ritirano le loro reti dalla strana foggia, somiglianti a grosse farfalle, sono sempre ricche di pesce. Ma anche se industriosi, i Tarascani sono ancora molto primitivi. Essi considerano infatti la vita come uno stato transitorio, un breve momento che bisogna passare per giungere alla beatitudine della morte. La morte non rappresenta più un'inesorabile fatalità; al contrario essa è considerata un bene, l'unico veramente inestimabile. Ecco perché «il giorno dei morti» non è, per gli abitanti di Janitzio, un giorno di dolore. La festa inizia di buon mattino. Le case vengono decorate a festa e tutte le immagini dei santi si arricchiscono di pizzi e fiori di carta. I ritratti dei defunti vengono esposti e illuminati da decine di ceri. Le donne preparano i piatti favoriti dai parenti defunti poiché essi, tornando a visitare i vivi, vi traggano consolazione.Nel cimitero, dietro la chiesa, si decorano anche le tombe che molto spesso non hanno nome. Non vi sono iscrizioni funebri a Janitzio! Ma non per questo si dimenticano i morti. La via che conduce dal cimitero al villaggio viene cosparsa di petali di fiori, affinché i defunti possano agevolmente trovare la strada di casa.Nel «giorno dei morti» le donne di Janitzio si fanno belle. Pettinano le lunghe trecce scure e si adornano di gioielli d'argento. Il costume si compone di una lunga sottana rossa bordata di nero a larghe pieghe. La camicetta ricamata scompare sotto il «rebozo» che ricopre la testa e le spalle e dal quale, spesso, spunta la testina dell'ultimo nato. A mezzanotte le donne vanno tutte insieme nel camposanto e si inginocchiano a pregare per i loro cari defunti. Accendono i ceri, i più grandi dedicati agli adulti e i più piccoli per coloro che se ne sono andati troppo presto da «questa valle di lacrime». Poi si abbandonano alla meditazione che, a poco a poco, si traduce in parole. Inizia così uno litania che non è di dolore, ma che esprime la comunione esistente tra i vivi e i morti.Intanto gli uomini rimasti al villaggio si riuniscono a bere vicino alla chiesa dove è stato elevato un catafalco nero dedicato ai morti che non hanno più nessuno che preghi per loro. Ritorneranno a casa verso l'alba, mentre le loro donne, che hanno vegliato tutta la notte al cimitero, vanno a sentire la messa seminascoste nel «rebozo». Trascorre così a Janitzio «la giornata dei morti». Sui volti degli abitanti del villaggio non si legge dolore, ma la festosa aspettativa di chi attende la visita delle persone più care».
Abbiamo ripresa tal quale e col suo titolo questa notiziola da un giornale italiano per i ragazzi. È una delle tante rifritture di materiale americano di «cultura» che passano di giornale in giornale e di rivista in rivista senza che pennaioli di servizio si accorgano di altro che del grado di effetto del pezzo che circola. Il ricopiatore ennesimo non si è nemmeno sognato il significato profondo che la sua diffusione nasconde, sia pur nella forma convenzionalmente conformista.
Le nobilissime popolazioni messicane, diventate cattoliche sotto il terrore spietato degli invasori spagnoli, mostrerebbero, col non avere terrore ed orrore della morte, di essere rimaste «primitive».
Erano, invece, quei popoli, eredi di una civiltà incompresa ai cristiani di allora e di oggi, e trasmessa dal comunismo antichissimo. L'insulso individualismo moderno non può che stupire beota se, pur nel testo scolorito, si legge di tombe senza iscrizione e di cibi che si apprestano ai morti che nessuno commemora. Veri «morti ignoti», non per retorica bolsa e demagogica, ma per possente semplicità di una vita che è della specie e per la specie, eterna come natura e non come sciocco sciame di anime vaganti negli extra-mondi, per la quale, e per il suo sviluppo, valgono le esperienze dei morti, dei vivi e dei non nati, in una serie storica il cui avvicendarsi non è lutto, ma gioia di tutti i momenti del ciclo materiale.
Anche nel simbolo, quei costumi sono più alti di quelli nostrani, ad esempio in quelle donne che si fanno belle per i morti e non per il più danaroso dei vivi, come nella società mercantile, fogna in cui noi siamo immersi.
Se sotto le spoglie degli squallidi santi cattolici vive ancora la forma antichissima delle divinità non inumane, come il Sole, ciò ricorda le notizie - quanto giunte a noi travisate! - della civiltà Incas, che Marx ammirava. Non erano primitivi e feroci tanto da immolare i più begli esemplari della specie giovane al Sole che chiedeva sangue umano, ma splendide di un intuito possente, quelle comunità che riconoscevano il fluire della vita nella energia, che è la stessa quando il Sole la irradia sul pianeta e quando fluisce nelle arterie dell'uomo vivo e diventa unità ed amore nella specie una, che fino a quando non cade nella superstizione dell'anima personale col suo bilancio bigotto di dare ed avere, soprastruttura della venalità monetaria, non teme la morte e non ignora che la morte della persona può essere inno di gioia, e contributo fecondo alla vita dell'umanità.
Nel comunismo naturale e primigenio, anche se l'umanità è sentita nel limite dell'orda, il singolo non ha scopi che consistano nel sottrarre bene al fratello ma è pronto ad immolarsi per il sopravvivere della grande fratria senza alcuna paura. Sciocca leggenda vede in questa forma il terrore del dio che si plachi col sangue.
Nella forma dello scambio, della moneta, e delle classi, il senso della perennità della specie sparisce, e sorge quello ignobile della perennità del peculio, tradotta nella immortalità dell'anima che contratta la sua felicita fuori natura con un dio strozzino che tiene questa banca e pesa. In queste società che pretendono di essere salite da barbarie a civiltà si teme la morte personale e ci si prostra alle mummie, fino ai mausolei di Mosca, dalla storia infame.
Nel comunismo, che non si e avuto ancora, ma che resta certezza di scienza, si riconquista la identità del singolo e della sua sorte con quella della specie, distrutta entro essa tutti i limiti di famiglia, razza e nazione. Con questa vittoria finisce ogni timore della morte personale, ed allora soltanto ogni culto del vivo e del morto, essendo per la prima volta la società organizzata sul benessere e la gioia e sulla riduzione al minimo razionale del dolore della sofferenza e del sacrificio, togliendo ogni carattere misterioso e sinistro alla vicenda armoniosa del succedersi delle generazioni, condizione naturale del prosperare della specie.
Source: «Il Programma Comunista» N. 23 - 15-29 Dicembre 1961
Natale 2008
Ancora una volta il Fuoco ha penetrato la Terra.
Non si è schiantato con strepito come un fulmine sulle montagne. Forse il Signore deve forzare la porta per entrare nella sua casa?
Senza sismi, senza tuoni, appare la fiamma che ha illuminato ogni cosa dall'interno.
Dal cuore dell'infimo tra gli atomi fino all'energia delle leggi piú universali,
ha invaso con assoluta naturalezza, ogni individuo, e nel suo insieme, ogni elemento, ogni modello, ogni unione del nostro cosmo, tanto che potrebbe credersi che esso abbia spontaneamente preso fuoco.
In ogni nuova Umanitá che oggi si genera,
il Verbo ha prolungato l'atto senza fine
della sua nascita, e in virtú della sua immersione nel seno del Mondo, le grandi acque della Materia, senza nemmeno un brivido, si sono riempite di vita.
Apparentemente nulla ha tremato, per l'ineffabile trasformazione. Tuttavia, misteriosamente e realmente, al contatto con la parola sostanziale, lUniverso, immensa ostia si è fatto carne.
Da allora ogni materia si è incarnata, Dio mio, per opera della tua incarnazione.
Pierre Teilhard de Chardin
Inno dell'Universo
Trad. genseki
lunedì, dicembre 22, 2008
César Vallejo
Ciro Alegria
César Vallejo come l'ho conosciuto
Parte I
Un signore circospetto, carico di anni e di sapienza, era in visita a casa una domenica sera, e fu allora che udii per la prima volta il nome di César Vallejo e le discussione che provocava. Si parlava del fatto che il lunedí avrei dovuto cominciare ad andare a scuola.
- Se avessi un figlio – suggerí questo Signore – lo manderei al Seminario. È una scuola di preti ed è molto conveniente.
Io ascoltavo attentamente questa conversazione dalla quale dipendeva il mio destino di studente. Mia nonna rispose con dignitá:
- In realtà suo padre mi ha scritto che lo mandi alla Scuola Nazionale di San Giovanni. È quello che ha detto definitivamente. Tutti gli uomini della famiglia sono stati educati li -.
- Che classe frequenterá?
- Quest'anno va in prima.
Il vecchio fece quasi un salto e poi disse con molta concitazione:
- Ma signora! Qui non si tratta di Scuole, si tratta di buon senso ... Ma lei lo sa chi insegna in prima alla Scuola di San Giovanni? Lo sa? Ebbene, quel Cesare Vallejo, quello che crede di essere un poeta e gli manca qualche rotella ... -
- Vabbé, ma per insegnare in prima... - disse la nonna per calmarlo un po'.
Ma il nostro ospite sembrava deciso a salvare dal pericolo quel povero innocente che io ero e argomentó:
- No, signora! Questo Vallejo se non è un idiota è sicuramente un pazzo. Non potrebbe farlo entrare in seconda. Entrando ho visto che il bambino stava leggendo il giornale ...-
Il mio presunto salvatore fece una smorfia sconsolata quando la nonna gli disse:
- Si, sa giá leggere e scrivere ma non le altra materie che si insegnano in prima -.
Il vecchio era peró determinato a spendere tutte le sue risorse per liberare il mio povero cervello da influenze perturbatrici, e prese una direzione piú condiscendente:
- Tuttavia signora, lei non mi negherá che in quanto all'educazione e specialmente a quella religiosa il seminario è il collegio migliore. Il suo prestigio va crescendo ... -
E la nonna:
- anche nel piano di studi del San Giovanni c`è religione e non sono per niente anticattolici ...-
Il vecchio si arrese. Forse per consolarsi, peró, si mise a esporre alcune considerazioni fatali per il modernismo e per tutta una serie di altri ismi e poi fece lampi e tuoni di ordine estetico contro l'arte del mio maestro, ma io non ci capivo niente. Finalmente se en andó con un'espressione abbastanza contrariata e non senza farmi gli auguri di buona fortuna in un modo tra disperato e compassinevole.
Mi riuscí difficile conciliare il sonno nel mezzo delle inquietudini che si impadronivano di un bambino che domani aspettava il suo primo giorno di scuola e pensava al suo maestro, che si diceva fosse un poeta e che il vecchio severo aveva chiamato pazzo o forse idiota.
Un mio compagno di viaggio che studiava in quella stessa scuola mi ci accompagnó.
- Voi non entrate da qui – mi disse quando giungemmo ad una grande porta sulla quale si leggeva l'iscrizione: dio e patria, - questa porta è per noi, quelli delle medie. Passiamo di lá -.
Camminammo verso l`angolo della strada, e quando lo svoltammo, si aprí a metá la porta che usavano i maestri e gli alunni delle elementari. Ci fermammo di colpo e mio zio mi presentó a quello che sarebbe stato il mio maestro. Accanto alla porta, immobile c'era Cesare Vallejo, magro, giallognolo, quasi ieratico, mi parve un albero che avesse perso le sue foglie. Il suo vestito era scuro, come scura la sua pelle. Per la prima volta vidi la luce intensa dei suoi occhi quando si inclinó per domandarmi, con tenera attenzione, come mi chiamassi. Scambió poi alcune parole con mio zio e quando questi se en andó mi disse “vieni di qua” Entrammo in un piccolo cortile dove stavano giocando molti bambini. La classe di prima era su uno dei lati. Allora si mise ad aprire i banchi per vedere se ce en fosse uno libero in base al fatto che vi fossero o no abiti al suo interno, poi me en indicó uno dicendo:
- Ti siederai qui, metti le tue cose, no, non così, devi essere ordinato, prima la lavagnetta che è piú grande, sopra il tuo libro e il berretto -.
Trad. genseki
venerdì, dicembre 19, 2008
Obaku
I
Il maestro disse a Pei Siu:
Tutti i Budda e tutti gli esseri viventi non sono altro che uno spirito solo: altro metodo spirituale non v'è.
Da tempi senza inizio, questo spirito, che non è mai nato, non ha mai cessato di esistere, non è giallo e non è neppure azzurro, non possiede forma alcuna nè aspetto, non dipende dall'essere e neppure dal non essere, non è antico e non è nuovo, nè lungo, nè corto, nè grande nè piccolo, oltre ogni delimitazione e ogni denominazione: Eccolo, realtá intriseca.
Ma quando si fanno delle considerazioni si finisce per divagare... illimitato e insondabile, sembra lo spazio vuoto
Questo spirito è il Budda e tra il Budda e gli esseri viventi non c'è differenza. Tuttavia gli esseri viventi cercano sempre altrove afferrandosi a caratteri peculiari, e mentre van cercando avviene che perdono tutto, perché inviando la loro idea di Budda alla ricerca del Budda e il loro spirito alla ricerca dello spirito, anche senza mai tirare il fiato per interi kalpa, non possono arrivare da nessuna parte, ignorando, come ignorano che`proprio il Budda è gli esseri viventi tutti.
Quando è essere vivente, questo spirito non risulta in nulla sminuito e quando è Budda non per questo deve apparire come accresciuto. Così avviene che le sei trascendenze e l'infinitá delle pratiche come i meriti piú numerosi che i granelli di sabbia del Gange vi si trovino riuniti fondamentalmente al completo senza che un esercizio temporaneo ve li abbia aggiunti. Quando l'occasione si presenta ecco che allora , essi si esprimono, se no, se ne restano tranquilli.
Se non credete fermamente che questo spirito è il Budda e se volete praticare aggrappandovi a caratteri particolari per ottenere meriti siete preda di un equivoco grave e finirete per abbandonare la Via.
Questo spirito è il Budda e non v'è altro Budda e neppure altro spirito. Questo spirito chiaro e puro è simile allo spazio vuoto, in nessun punto avendo forma particolare alcuna.
Suscitare un particolare stato dello spirito per mezzo dei pensieri significa allontanarsi dalla sostanza delle cose e afferrarsi a caratteristiche particolari. Ora, fin dai tempi senza inizio, non vi fu mai un “Budda attaccato alle particolaritá”. Esercitarsi nelle sei trascendenze e nell'nfinitá di pratiche per diventare Budda significa intraprendere una via graduale e mai si vide un Budda graduale. Basta risvegliarsi a questo spirito uno per non “avere piú la menoma veritá da trovare”, tale è l'autentico Budda.
Il Budda e gli essere viventi non sono distinti nello spirito uno, che come lo spazio vuoto non è mai confuso e mai si degrada. Infatti, guardate il sole che illumina la terra intera. Al suo sorgere la luce si diffonde su tutta la terra ma non per questo lo spazio è reso piú luminoso. Quando tramonta e le tenebre ricoprono la terra non si fa per questo piú oscuro.
Luce e oscuritá reciprocamente si scacciano, immutato e vuoto resta lo spazio nella natura sua. Lo stesso avviene per questo spirito del Budda e degli esseri viventi.
Havvi chi suol considerare il Budda provvisto di segni particolari come la purezza, la luminositá e la libertá, e gli esseri viventi con i segni dell'impuritá, dell'oscuritá e dell'essere incatenati al samasara. Eppur coloro che in siffatto modo credono, neppure al trascorrere di kalpa innumerevoli potranno entrare nel porto del risveglio, essendo essi come afferrati ai caratteri particolari.
In questo spirito uno, dunque non resta la menoma realtá da trovare, posto che lo spirito è il Budda. Ai giorni nostri, i discepoli che non si sono risvegliati a questo spirito, nella sostanza loro altro non fanno che produrre pensieri, uno dopo l'altro affannosamente, cercando il Budda all'esterno e praticare aggrappandosi ai caratteri particolari; si tratta di un metodo malvagio e non della Via del Risveglio
giovedì, dicembre 18, 2008
Il prezzo di un sorso d'acqua
Leone Africano
Descrizione dell'Africa
mercoledì, dicembre 17, 2008
Equivalenti Matematici del Dogma
La matematica piú recente include alcune costruzioni, come, per esempio, quelle dei “transfiniti” (il simbolo Aleph di Cantor) attraverso dei quali si fanno, involontariamente, alcune concessioni al pensiero dogmatico, cosí importanti, da poter essere chiamate, senza mezzi termini “equivalenti matematici del dogma". Il simbolo Aleph designa una grandezza transfinita che si mantiene identica a se stessa qualunque grandezza finita venga ad essa sottratta. Ricordiamo qui la affermazione di Filone secondo il quale la sostanza prima non soffre nessuna diminuzione a causa delle emanazioni originate da essa. Tra il simbolo Aleph e la formula di Filone c'è una perfetta somiglianza strutturale (la differenza consiste nel fatto che il dogma paral di essenze e di processi comsologici, mentre l'Aleph è puramente matematico). Cantor e (altri con lui) giunse, per successioni logiche di calcoli e di considerazioni a stabilire le diverse antinomie del transfinito. La questione principale a questo livello non è in che modo i matematici giunsero a queste antinomie, bensí come pensano di risolverle. Le antinomie, in generale, si possono risolvere per differenziazione logica di concetti, per differenziazioni applicabili senza restrizioni non solo in un mabito trascendente ma anche in uno logico-concreto. (“Dio è uno e molteplice” è un'antinomia. Essa puó risolversi attraverso una differenziazione logica di concetti, valida senza restrizioni in qualunque dominio come, per esempio, attraverso i concetti di sostanza e di manifestazione; sulla base di questa differenziazione la antinomia si risolverebbe in modo logico: Dio è uno in quanto sostanza e molteplice nelle sue manifestazioni). Abbiamo visto che a volte si cercó la soluzione alle antinomie non attraverso la differenziazione logica di concetti, bensí attraverso la separazione di concetti solidali. (Dio è uno in quanto essere e molteplice in quanto persona) Come si risolvono le antinomie del transfinito? Attraverso una distinzione di concetti e più esattamente attraverso una distinzione tra i concetti di potenza e di somma di un insieme (Menge). Ma bisogna esaminare quale sia la natura di questa distinzione. Cantor ottiene il concetto di potenza (Mächtigkeit) per mezzo di un'astrazione della possibilitá di coordinazione (Zuordnung) reciproca degli elementi di due insiemi. Quando i due insiemi di elementi coordinati sono finiti, la potenza di ciascuno coincide con la somma di ciascuno. Potenza è quindi un concetto piú astratto di quello di somma mentre dal punto di vista delle sue caratteristiche matematiche (piú esattamente per quello che si riferisce alle sue relazioni di eguaglianza, di più e di meno) reciprocamente solidale con quello di somma. Se due insiemi sono uguali come potenza lo sono anche come somma e all'inverso. Ma quando questi due concetti si applicano all'ambito del transfinito la solidarietá aritmetica sparisce. Due transfiniti possono avere la stessa potenza pur rappresentando somme differenti. Perché Cantor suppone che la solidarietá di potenza e somma cessi nell'ambito del transfinito? Per le stesse antinomie del transfinito. Queste antinomie sono quelle che obbligano l'intelletto a postulare una separazione di concetti che l'intelletto non concepise altrimenti che come che come in relazione solidale. (Questo postulato, una volta ammesso, rende possibile tutta una matematica dei transfiniti, di articolazioni assolutamente logiche). Per la soluzione delle antinomie del transfinito, Cantor sceglie il cammino della separazione dei concetti solidali: potenza e somma. Le antinomie ottenute in questo modo conducono, tanto per calcoli come per considerazioni logiche, alla postulazione di un determinato dominio di una separazione di concetti solidali nell'ambito logico-concreto. Noiabbiamo seguito questo procedimento, quando abbiamo analizzatole formule dogmatiche, il procedimeno di “trasfigurazione delle antinomie”.
Si deve approfondire se apparirono, tra le costruzioni piú recenti della scienza, altre idee, piú o meno vicine strutturalmente, alla formula dogmatica e alla antinomia trasfigurata.
Trad. genseki
martedì, dicembre 16, 2008
la leyenda del tiempo-camaron
La leggenda del tempo
Sopra il tempo va il sogno
Come fosse un veliero
Nessuno sguscia semi
Dentro il cuore del sogno
Sopra il tempo va il sogno
Sepolto fino al collo
Oggi e domani mangiano
Fiori oscuri di lutto
Sulla stessa colonna
Sogno e tempo abbracciati
Il pianto del bambino
Nella lingua del vecchio
Sopra il tempo va il sogno
Se il sogno finge muri
Nelle lande del tempo
Il tempo gli fa credere
Ch'è nato il quel momento
Sopra il tempo va il sogno
Federico Garcia Lorca
trad. genseki
Per Maresa
Come chi s`è perduto nella selva profonda
Lungi dalle radure dai sentier dalle genti;
Come colui che in pelago mosso da forti venti,
Si vede preda omai del turbinio dell'onda;
Come chi a passi lenti va mesurando il campo
Quando la notte al mondo ogni chiarezza tolle,
I' luce e rotta persi ed a modo di folle
Persi a lungo l'oggetto ove il mio ben accampo.
Ma quando vedi (e' mali più non ti stanno attorno)
Nel bosco, in mar al campo, e meta e porto e giorno;
Il ben presente credi maggior dei mali feri;
Ed io che in vostra assenza sofferto ho tal dolore
Dimentico, al veder vostro chiaro splendore,
Bosco, tormenta e notte lunghi rabbiosi e neri.
Gaspard de la nuit
La barba a punta
Chi non marcia a testa alta
Con la barba ben fresata
de il baffo torciglione
Di dama non trova considerazione
Le poesie di d'Assouci
Era festa nella Sinagoga tenebrosamente stellata di lucignoli argentati, i rabbini coi paramenti e i quevedos baciavano o loro talmud, norbottavano canticchiavano per il naso, sputavano e si soffiavano il naso, gli uni seduti e gli altri no.
Ma ecco che, all'improvviso, in mezzo a cotante barbe ora rotonde, ora ovali ora quadrate che ricciolavano o allisciavan esalando aromi d'ambra e benzoino, fu avvistata una barba a punta.
Un dottore chiamao Elébotham, che portava sul capo una mola scintillante di gioielli a modo di cappello si alzó e disse: “Profanazione! C'è qui una barba a punta!
Una barba luterana! - Un mantell corto! - A morte il Filisteo.” - E la folla ribolliva di rabbia nei banchi tumultuosi mentre il sacrificatore strepitava: “Sansone! A me una mascella d'asino!"
Ma il cavalier Melchiorre aveva srotolato una pergamena autenticata dal sigillo imperiale: “Si ordina, lesse ad alta voce, di arrestare il macellaio Isaac van Eck, per essere l'assasino impiccato, lui porco giudeo tra due porci fiamminghi”.
Trenta alabardieri si staccarono a passi pesanti e ticchettanti dall'ombra del corridoio.
- “Me ne infischio dei vostri alabardieri!” ghignó il macellaio Issac. E da una finestra si gettó nel Reno.
Mansur al-Hallaj
Il tasin della lampada profetica
a cura di genseki
Una lampada apparve dalla luce dell'invisibile, una lampada piú luminosa di ogni altra. Era la Signora delle lune che manifestava il suo splendore sulle altre lune. Era una stella dell'empireo. Allah lo chiamó “illetterato” a causa della concentrazione della sua ispirazione, lo chiamó “consacrato” per la maestá della sua benedizione e “Makkan” perché risiede nella Sua prossimitá.
Egli gonfió il petto e accrebbe il suo potere e sollevó il peso che pesava sulle tue spalle e così impose la sua autoritá. ... la sua lampada brilló dalla sorgente di ogni divina magnificenza.
Egli non riferì nulla che non fosse in accordo alla sua visione interiore, e non comandó nulla a coloro che seguono il suo esempio che non fosse in accordo con la veritá della sua condotta. Restò alla presenza di Allah e condusse altri alla Sua Presenza. Disse. quando spiegó chi egli fosse, che era stato inviato come guida per definire i limiti della condotta.
Nessuno è capace di intendere il suo vero significato, se non il Sincero, che lo accompagna, convinto della sua autenticitá, fino a che non resta nessuna differenza tra di loro.
Nessuno lo conosce senza ignorare la sua vera qualitá. La sua qualitá è rivelata solo a coloro a cui Allah ha deciso di aprirla. ...
La luce della profezia apparve dalla sua luce a la sua luce sorse da quella del Mistero. Nessuna luce è piú luminosa, piú manifesta, piú increata che la luce del Signore della Generosità.
La sua ispirazione precedette qualsiasi altra ispirazione, la sua esistenza precedette la non esistenza, il suo nome precedette la Penna perché esisteva anteriormente. Non vi era nulla sull'orizzonte, oltre l'orizzonte o sotto l'orizzonte di più bello, nobile e giusto, di piú benevolo e simpatetico di colui che ebbe questo ruolo. Il suo titolo è Signore della Creazione, il suo nome è Ahmad, il suo attributo è Muhammad. Il suo comando è il più sicuro, la sua essenza la piú eccellente, i suoi attributi i piú gloriosi, e la sua aspirazione è unica.
Oh meraviglia! Che cosa è piú manifesto, piú visibile, piú grande, pú famoso, piú luminoso, piú poderoso e piú saggio di lui. Egli è de era conosciuto prima della creazione delle cose e degli esseri. Egli fu e continua essendo prima del prima e dopo il dopo, prima di qualitá e di sostanza. La sua sostanza è pura luce, la sua parola è profetica, la sua conoscenza celestiale, la sua lingua l'arabo la sua tribú non è dell'Oriente e nemmeno dell'Occidente, la sua genealogia quella dei patriarchi, la sua missione la conciliazione e il suo titolo “Illetterato”.
Gli occhi furono aperti grazie ai suoi segni e i segreti svelati dalla sua presenza, fu Allah che lo fece articolare la Sua Parola, e essendone la Prova lo confermó. Fu Allah che lo invió. Egli è la prova e il provato. È lui che disseta la sete del cuore tanto assettato, è il portatore della parola increata che non è pronunziata dalla lingua, che non è prodotta. Essa è unita ad Allah senza separazione, e sorpassa il concepibile, essa annunzia la fine e le fini e le fini delle fini.
Si eleva alle nubi e si dirige alla Casa Sacra. Egli è il limite, l'eroico guerriero, Egli è colui che ricevette l'ordine di rompere gli idoli e colui che condusse l'umanitá a stermirnarli.
Sopra di lui una nube luminosa, una nube luminosa sotto di lui, da esse cade la pioggia che genera frutti, Tutta la conoscenza è una goccia del suo oceano, tutta la spaienza è appena una manciata della sua corrente e tutto il tempo è appena un'ora della sua vita.
Allah è con lui e con lui è la realtá. Egli è il primo nell'unione e l'ultimo dei profeti, egli è dentro la realtà e fuori è la gnosi.
Nessuno studioso mai raggiunse la sua conoscenza e nessun filosofo la sua comprensione.
Allah non concesse la sua Reltá alla sua creazione, perché lui e lui e il suo esserci è Lui, e Lui è Lui.
Nulla uscí dalla M di MHMD, e nulla entró nella H e la H è unita alla seconda M e la D è come la prima M. D è perpetuitá, M è rango, H è stato spirutuale cosí come la seconda M.
Allah rese manifesta la sua parola, ampliò la sua azione e confermó la sua prova. Inviò Furqan su di lui, rese adeguata la sua lingua e spendente il suo cuore. Rese i suoi contemporanei incapaci di imitarlo e ne esaltó la gloria.
Se fuggi dai suoi dominii, che strada prenderai senza una guida o povero infermo? Le massime dei filosofi sono come un mucchio di sabbia di fronte alla sua sapienza.
***
venerdì, dicembre 12, 2008
Canto espiatorio di cacciatori numidi
E non riuscivamo a sapere perché
Più ormai non si compiaceva
Di immergersi nell'Oceano
Sulle cui acque fluttuava
La sua pancia enorme
Iridata come una perla molle
Lucida come la luna piena sulle dune
Non conduceva più al pascolo
Le sue greggi di tonni dal dorso d'argento
Né si dilettava giacendo con le contadinotte
In forma di capro o di fagiolo cornuto
Non appariva, come soleva, nelle grandi vasche
Di rame brunito per le purificazioni
Lustrali degli amanti
Facendo bollire di colpo l'acqua azzurra.
Era alga, ora, ora muschio
Ora prateria di placton
Piaga dell'ascella delle fave
Goccia putrida sulla pelle di rospo
Dei meloni.
Era scontento il nostro Dio
Per questo l'acqua fermentava
Nelle caldaie di bronzo
I cetrioli si inturgidivano alla vista
Degli orifizi delle zucche
E i tacchini ammonivano segale e zecche
Dignitosi predicatori di un pestilente evangelio.
E in noi, in si andava spegnendo
Poco a poco
La poesia
Che era il santo complemento della caccia
Il balsamo di dolcezza dopo lo stupro
La Numidia rossa di bacche, distesa di cespugli spinosi
Giaceva sterile
Distesa silente di brume febbrili
Nella viscosa pace di novembre.
giovedì, dicembre 11, 2008
Cuor di Vascello
Vuoi aprire il cuore come di vascello
Cerca oltre la carena, fuori della stiva
Tra le vele sta il cuore bianco
Battito di vento, fiato
Polso della tramontana che monda
Le onde la spuma la luna e loda
Il volo appena un po' scabroso
delle api oceaniche, si le api di Teti -
Quella del mito -
Intente a cercare polline di placton
Nelle fratture dei capoversi
Nei sibili delle frombole, tra le froge delle balene
Che nitriscono come immense cavalle azzure
Tra le vele laggiú
E la luna del cuore.
Gilles de Rais III
A Tiffauges risiede tutto il clero di una metropoli, decano, vicari, tesorieri, chierici e diaconi scolari e coristi; ci è giunto il rendiconto delle spese per le , le stole e le casuble.
Gli ornamenti sacerdotali abbondano, qui incontriamo i teli vermigli dei paramenti di un altare, cortine di seta smeraldina, una cappa di velluto cremisi, viola con un telo d’oro , un’altra in tessuto di damasco aurora, dalmatiche di satin per i diaconi, baldacchini decorati a figure a uccelli d’oro cipriota, là piatti, calici, cibori, lavorati col martello, borchiati, cosparsi di gemme, reliquari tra i quali la testa in argento di Sait Honoré, un mucchio di ori incandescenti che un artista stabilitosi nel castello cesella secondo i suoi gusti.
E tutto era a portata di tutti; la sua tavola era aperta ad ogni ospite; da tutti gli angoli della Francia lunghe carovane si dirigevano verso questo castello in cui gli artisti, i poeti, gli scienziati trovavano un’ospitalità principesca, semplici agi, doni di benvenuto e omaggi alla loror partenza.
Già indebolita per i salassi profondi praticati dalla guerra la sua fortuna vacillò sotto queste spese; allora egli imboccò la strada terribile degli usurai, chiese prestiti ai peggiori borghesi, ipotecò i castelli alienò le proprietà, in certi momenti si ridusse a impegnare gli arredi del culto, i suoi gioielli, i suoi libri.
Una memoria che gli eredi di Gilles rivolsero al Re ci rivela che la sua immensa fortuna disparve in meno di otto anni.
Un giorno sono le signorie di Confolens, di Chabannes, di Chateaumourant, di Lombert che vengono cedute a un capitano d’armigeri a vil prezzo; un altro è il feudo de Fontaine-milon, le terre di Grattecuisse che compera il Vescovo d’Angers, la fortezza di Saint-Etienne de Mer Morte acquistata da Guillaume Le Ferron per un pezzo di pane; un altro ancora è il castello di Blaison e di Chemillé che un tal Guillaume de la Jumelière ottiene a forfait e che non paga. Tutta una lista poi di castellanie e foreste, saline e prati, un lungo foglio di carta sul quale egli aveva minuziosamente annotato gli acquisti e le vendite.
Spaventata da queste follie, la famiglia del maresciallo supplicò il Re d’intervenire; e, in effetti, nel 1436, Carlo VII°, “Convinto – come dice del cattivo comportamento del sire De Rais” gli vietò nel Gran Consiglio e con lettere datate da Amboise di vendere o alienare qualsivoglia fortezza, castello o terra.
Questa ordinanza, in realtà non fece altro che affrettare la rovina dell’interdetto.
Alfonso Cortés (1893-1969
Un frammento d'azzurro ha maggiore
Intensità del cielo intero
Sento che là vive quel fiore
Estasi del mio aneloVento di spiriti passa
Alla finestra, così lontano
Soffio nel quale si spezzacarne d'angelica diana
E nell'allegria dei gesti
Ebbri d'azzurro, fluenti
Odo il fermento di folli pretesti,
Di là mi chiama,
Più non lo sento.
*
Passi
Quando fra il tumulto della terra
Gli esseri sentiran la solitudine
Avrà tregua eterna la guerra
Del rumore e spingeranno i passi
L'Uomo e la Donna nell'eternità
Fino a percorrere le rughe della fronte
Di Dio, donde si innalza
L'estasi del passato in vapore incessante
Gli amanti resteranno, a due a due,
Come fossero svegli
Fisso lo sguardo ai pori
Sacri, impregnati d'eterni sudori,
Della divina fronte corrugata.
*
Aria
Suona l'aria d'un bimbo dietro il muro, la piazza
Guida pattuglie d'estasi antiche alle mie stanze
Canto di bimbo a passettini lassi
Trascorre come un oboe sopra i tetti,
Riempie di un'estasi crepuscolare
Tutto il giardino gonfio d'angoscia
Vuole parlare le sue parole
Che tra le foglie ha mormorate…
Si contorcono, allora, nella bruma
Con la letizia di folli moti
Le bianche pieghe come di spuma
D'anima appena sfiorata dai fiati.
*
Occaso
Occaso bianco d'estasi trattieni
Solo un momento nell'azzurro il tuo passo,
Non affrettare il tuo bene tranquillo,
Occaso,
L'ora triste del tempo, fa risorgere,
La visione potente di Betlemme;
Il notturno levriero sta latrando,
E nel silenzio di tempi passati
A lontani orizzonti van calando
lente le ombre di corpi ignorati...
*
La pace del sole
Io sono il vino, l'uomo la semente
Accumuliamo terra in mezzo ai rami
D'un'immutabile domenica di palme
Per proteggere Dio eternamente.
E' giunta la mia terra ad occidente
Dell'esser mio sigillo e prolunghiamo
Nuda d'ore una sera in cui restiamo
Volti all'eternità del fuoco ardente.
Vano è lo scriver poi che nessun scrive
E l'esser nostro ha soltanto il potere
Di dettare all'amor quel che concepe
Sol basta un buon silenzio, ben del dire:
ogni cosa è così come la brami
Naufrago Iddio di questa nostra plancia.
*
Fior di frutto
Nel silenzio dei fiori si nasconde
Un sacro amore che al futuro invita:
L’essere è meta al suo stesso cammino
Se vi è una grazia che profuma e tace.
Il dolce sangue che scoppia nella bocca
Quando si schiaccia la polpa di un frutto
E’ la parola viva ed assoluta
Ove saggia ogni pianta sua virtute.
Arbor mistico l’uomo solo a stento
Comprende Spazio e Tempo se si muta
Dell’alma sua nel fiore, frutto delle sue vene;
Che da sua doppia essenza non confusa
Traggono miele le api della Morte
E profumo le rose della Vita.
*
Anime sporche
Apro per il silenzio della fluida
Distanza sconosciuta tra l'una e l'altra vita
E dietro cui ci osservano, le cose che guardiamo.
Elencherò le vaste essenze che conservano
Il silenzio dei sogni nel loro petto enorme
E vi unirò i dettagli di forma, luce, accento
Che unifica la pallida lontananza del vento;
Perché in basso, nel mezzo, nei cieli la distanza
E' quell'idea medesima che pone la fragranza
di unite relazione sottili come lastre
Che tacciono, Oh! L'inerzia, anima delle cose.
*
mercoledì, dicembre 10, 2008
Un popolo di poeti
Leone Africano
Descrizione dell'Africa
martedì, dicembre 09, 2008
Fede e Volontá
Paolo di Tarso
Col cuore si crede così da giungere alla giustizia: e con la bocca si fa la confessione che conduce alla salvezza.
Romani X,1o
*
Commento di Tomaso d'Aquino.
Dante e l'Islam
“Sufi è colui il cui linguaggio, quando egli parla, riflette la realtá del sustrato, ovvero che nulla dice che egli non sia, e, quando è silenzioso, la sua condotta spiega il suo stato, e il suo stato proclama che egli ha spezzato ogni legame col mondo.
Hujwîrî
***
Dante
E io a lui: “I' mi son un che quando
amor mi spira noto e a quel modo
ch'ei ditta dentro vo significando
Purgatorio
Canto XXIV, 53-54
a cura di genseki
venerdì, dicembre 05, 2008
Montaigne in blog
Michel de Montaigne
Alla fine, davvero, dopo una serena riflessione ho deciso di porre anche Montaigne che da tantissimi anni non fequentavo più, tra i lari di questo blog.
Per quali ragioni?
Eccone alcune qui di seguito:
"Io, che ultimamente mi sono ritirato in casa deciso, per quanto dipende dalla mia volontá a passare riposatamente e in solitudine quel piccolo resto di vita che ancora mi tocca, parvemi non poter fare cosa piú grata all'anima mia che lasciarla libera, pienamente, abbandonata alle sue proprie forze, affinché ella si fermasse ove lo ritenesse maggiormente profittevole, sperando cosí che potesse per l'avvenire acquisire un grado maggiore di maturazione, tuttavia, cred'io che siccome
Variam semper dant otia mentem
quello che occorre è l'opposto. Cavallo che solo se en fugge corre cento volte piú rapido di quando alcun fantino lo governa, lo spirto mio ozioso tante chimere genera, tanti mostri fantastici senza tregua e senza riposo, senza ordine e senza armonia veruna, che per poter contemplare comodamente la debolezza e bizzarria di essi tutti
mi avvenne di ponerli per iscritto, sperando che col tempo gli sia causa di vergogna contemplare simiglianti spropositi." (trad. genseki) Montaigne Essais I,6
Che è la definizione esatta della ragion d'essere di questo blog.
genseki
giovedì, dicembre 04, 2008
Egemonia
Questa riflessione è anche amaramente critica ma non vi è nessun dubbio che l'orizzonte nel quale si muove è questo.
Il Partito di Lenin è considerato da Gramsci come un apparato di egemonia su piani differente, da quello economico a quelli sovrastrutturali tra cui il piano culturale. Certamente Gramsci concentra la sua riflessione in modo significativo sull'egemonia culturale. L'interesse a questa particolare forma di egemonia e al ruolo degli intellettuali mi sembra, implicitamente dipendere dall'ansia di comprendere come la macchina del partito di Lenin abbia potuto trasformarsi nell'incubo barbarico scita dello stalinismo.
Nonostante quest'ansia la nozione di egemonia resta in Gramsci sempre all'interno della nozione di Partito considerato come avanguardia necessaria di ogni movimento storico progressivo:
“Elementi di storia etico-politica nella filosofia della praxis: concetto di egemonia, rivalutazione del fronte filosofico, studio sistematico della funzione degli intellettuali nella vita statale e storica, dottrina del partito politico come avanguardia di ogni movimento storico progressivo.” 1235
Il Partito che, come è noto, Gramsci descrive come il nuovo Principe, è lo strumento nuovo, che forgiato da Lenin nella forma di un intellettuale-militante collettivo ha il compito di realizzare la famosa tesi di Marx a proposito di Feurbach e della filosofia.
Certamente uno degli antecedenti del Partito è stata la Compagnia di Gesú di Ignazio da Loyola.
Come si vede c'è davvero poco che possa servire al no-globalismo, o ai manifestanti anti-gelmini.
Mi sembra che una delle cose piú negative di quella che si pretende ancora una sinistra antogonista è aver perduto la nozione di quanto lavoro sia necessario, quanto tempo, quanto studio e soprattutto quante, quante sconfitte e amarezze, per creare una qualunque forma di opinione organizzata che permetta di introdurre cambiamenti, appunto, radicali nelle societá odierne.
Il compito principale di una simile struttura, oggi, poi, sarebbe quello di sopravvivere e di riprodursi salvaguardando il patrimonio di conoscenze e di pratica politica che è venuta accumulando nel tempo.
La qual cosa non sigifica ritirarsi dalla politica in un isolamento settario, ma essere presenti nel conflitto politico senza rinnegare mai per nessuna ragione nessun principio.
La battaglia politica sui principi è la sola forma conosciuta di selezionare militanti de intellettuali che costituiscano l'embrione di una futura possibile egemonia:
“La proposizione contenuta nell'introduzione alla Critica dell'economia che gli uomini prendono coscienza dei conflitti di struttura nel terreno delle ideologie deve essere considerata come un'affermazione di valore gnoseologico e non puramente psicologico e morale. Da ciò consegue che il principio teorico politico dell'egemonia ha anch'esso una portata gnoseologica e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporto teorico massimo di Ilici alla filosofia della praxis. Ilici avrebbe fatto progredire la filosofia in quanto fece progredire la dottrina e la pratica politica. La realizzazione di un apparato egemonico, in quanto crea un nuovo terreno ideologico determina una riforma delle coscienze e dei metodi di conoscenza, è un fatto di conoscenza, un fatto filosofico.” 1249-1250 Quaderno X – XXXIII
“Ho accennato altrove all'importanza filosofica del concetto e del fatto di egemonia dovuto a Ilici. L'egemonia realizzata significa la critica reale di una filosofia, la sua reale dialettica”.
882
**
L'egemonia è appunto la realizzazione di quanto è stato pensato nella storia filosofia.
È la filosofia diventata pratica.
Il concetto di egemonia è dunque molto, molto vicino a quello di fine della storia come viene letto da Kojève in Hegel.
L'egemonia è la forma della fine della storia nel pensiero di Gramsci. Naturalmente Gramsci ovviamente avrebbe piuttosto parlato di iniszio della Storia e di fine della preistoria.
Infine, l'egemonia si colloca in una visione della storia che ha nella lotta di classe e nella lotta di classe sul piano economico il suo asse:
“... se ne deduce che il contenuto dell'egemonia politica del nuovo gruppo sociale che ha fondato il nuovo tipo di stato deve essere prevalentemente di ordine economico: si tratta di riorganizzare la struttura e i rapporti reali tra gli uomini e il mondo economico o della produzione. Gli elementi di superstruttura non possono che essere scarsi e il loro carattere sará di previsione e di lotta, ma con elementi di piano ancora scarsi: il piano culturale sarà soprattutto negativo, di critica del passato, tenderá a far dimenticare e a distruggere...”
Tutte le letture post-moderniste, e noglobaliste di Gramsci sembrano davvero molto poco legittime alla luce delle linee precedenti.
L'egemonia non si riduce solo all'egemonia culturale e per egemonia culturale si intende soprattutto egemonia sul ceto intellettuale.
Ma l'egemonia non è una proposta teorica alla quale omologare la realtá.
Il concetto di egemonia è uno strumento di analisi della storia e della pratica di costituzione e di perpetuazione del dominio di classe.
La teoria di Gramsci dell'egemonia è la descrizione scientifica di come la borghesia costruisce il suo domino e di come lo mantiene.
Questa descrizione è fatta al fine di fornire alla classe antagonista gli strumenti perfezionati e coscienti che le permettano di costruire una nuova egemmonia e di subentrare agli antichi dominatori:
“Ogni rapporto di egemonia è necssariamente un rapporto pedagogico e si realizza non solo all'interno di una nazione, tra le diverse forze che la compongono, ma nell'intero campo internazionale e mondiale, tra complessi di civiltá nazionali e mondiali.”
1331
Riduzione a politica di tutte le filosofie speculative, a momento della vita storico-politica; la filosofia della praxis concepisce la realtá dei rapporti umani di conoscenza come elemento di “egemonia” politica.
1245
Le domanda da porsi quindi sarebbe:
È ancora possibile e in che termine è possibile riproporre qualche cosa di simile al Partito di Lenin?
Perché dalla risposta a questa domanda dipende l'attualitá della figura dell'egemonia gramsciana.
Da questa risposta dipende se la storia è finita nel regno dell'animale consumatore o se quella che si avvicina alla fine è la preistoria della specie umana.
I numeri delle pagine si riferiscono all'edizione Einaudi Tascabili dei Quaderni a cura di Valentino Gerratana. 2001
a presto
genseki
mercoledì, dicembre 03, 2008
La dialettica di Paco Yunque
Il racconto per bambini Paco Yunque di César Vallejo che fu rifiutato da diversi editori perché considerato, probabilmente, oltraggiosamente senza speranza, puó essere letto come un'illustrazione pedagocica della dialettica.
La poesia di Vallejo e segnatamente i “Poemas humanos” puó essere interpretata, certamente come un gigantesco sforzo di creare una dialettica poetica.
Paco Yunque fu scritto intorno al 1931, quando Vallejo era giá seriamente impegnato in una convinta militanza marxista.
La relazione che intercorre tra Paco Yunque il giovane andino e il bambino inglese Humberto Grieve è una relazione servo-padrone.
Humberto Grieve dice subito ai compagni di classe che Paco Yunque è il suo “muchacho” e per questo puó obbligarlo a sedere nel banco che decide lui e costrigerlo a lasciarsi picchiare e umiliare a suo arbitrio.
La relazione tra Paco Yunque e Humberto Grieve pare essere accettata senza nessun problema dalle autoritá: il maestro.
Non è accettata in modo altrettanto acritico dai compaghi di Paco come Fariña e i gemelli Zuniga che cercano di rendere Paco cosciente di una qualche anomalia della sua condizione servile e di spingerlo alla ribellione mostrandogli affetto naturale e spontaneo sostegno.
Paco Yunque non puó accettare la ribellione perché ha paura, paura del dolore sprattutto che Humberto Grieve puó decidere di infliggergli o forse perché non intravede la possibilitá di una relazione diversa come qualche cosa di reale.
Nel mondo da cui proviene tutti sono servi o padroni. Egli e la sua famiglia appartengono alla famiglia di Umberto Grieve: sono servi!
Servo e suo padre che accetta come naturale qualsiasi umiliazione gli venga dal Signor Grieve, seserva è sua madre che accetta con rassegnazione che il gioco preferito di Umberto Grieve sia quello di picchiare crudelmente suo figlio.
La servitú per Paco Yunque è un fatto naturale.
La scuola non è il mondo di Paco Yunque. La scuola è una soglia, il limbo di una nuova forma della coscienza.
Il mondo della servitú è per Paco anche il mondo della madre. Il mondo in cui vi è tenerezza e amore.
Servitù, dolore, paura, amore sono i sentimenti contradditori che si agitano nell'anima del bambino che poco a poco diviene cosiente di essi per il fatto stesso di aver varcato la soglia, per il fatto di trovarsi nel limbo della scuola.
Per Hegel, nella “Fenomenologia dello Spirito” la dialettica servo-padrone, è una figura del processo di formazione dell'autocoscienza. Il Signore è colui che sfida la morte e il dolore e per questa sua capacitá di sfida finisce per subordinare coloro che non sono in grado di affrontare queste realtá con altrettanta forza. Il Signore, peró, una volta costituitosi come tale dipende dal lavora del servo. È il servo che lo nutre e gli permette di restare in vita e nello stesso tempo e il servo che lo separa dalla realtá, dalle condizioni reali della sua stessa riproduzione nel tempo come individuo. Il padrone non puó piú fare a meno del servo.
Questo schema del pensiero hegeliano è chiaramente semplificato nella relazione tra Paco e Humberto.
Humberto ha assoluto bisogno di Paco per sopravvivere nella scuola. Ha necessitá che Paco stia nel suo stesso banco. È costretto a dipendere da Paco per poter svolgere i compiti e per poter avere un quadro accettabile della realtà. Humberto dice al maestro che in casa sua i pesci vivono sul tappeto del salotto di casa perché suo padre ha molto denaro e quindi in casa sua i pesci non hanno bisogno dell'acqua. Humberto non ha quindo quasi nessun rapporto con la realtá del mondo. Paco sa cosa è un pesce, sa che cosa è la morte e sa che cosa è il dolore. Per questo Humberto ha bisogno di Paco per poter sopravvivere nello spazio limbico della scuola.
È Humberto che ha bisogno di Paco e non Paco di Humberto. È Humberto che dipende da Paco.
A questo punto la relazione servo-signore, come in Hegel, risulta invertita. Invertita peró in modo dialettico. Nel cortile o nell'aula della scuola la relazione tra Paco e Humberto si inverte pur restando anche sempre la stessa. Restando cioè anche quella che è fuori della scuola.
Paco si trova preso nel compito di conseguire la consapevolezza di questa realtá e le sue lacrime alla fine del racconto sono il primo paso in questa direzione.
Paco Yunque non si chiude dunque su una nota disperata ma si apre su di un processo di liberazione e di conquista della dignitá nella sua fase embrionale.
genseki
lunedì, dicembre 01, 2008
Argerich Gaspard de la Nuit - Scarbo
Guardó sotto il letto, nel camino e nella credenza: nessuno. Non riuscí a capire da dove fosse entrato e da dove, poscia, se ne fosse uscito.
Hoffmann
Notturni
Oh! Quante volte ho visto e udito Scarbo, quando a mezzanotte la luna brilla nel cielo come uno scudo d'argento su una bandiera di lapislazzulo costellata di api dorate.
Quante volte l'ho udito ronzare, il suo riso, nell'ombra della mia alcova e stridere la sua unghia sulla seta delle cortine del mio letto.!
Quante volte l'ho visto scendere dal soffitto, fare le capriole con un piede solo e rotolare per la camera come il fuso caduto dalla conocchia di una strega!
Credevo che fosse svenuto? Cresceva, il nano, tra me e la luna come fosse il campanile di una cattedrale gotica, un sonaglio d'ro in movimento sul berretto appuntito.
Presto, peró, il suo corpo azurrava, trasparente come la cera d'una candela, il suo volto impallidiva come la cera di un lumicino, e - di colpo si spegneva.
A. Bertrand
trad. genseki
Gaspard de la nuit
Le precauzioni non sono mai abbastanza con i tempi che corrono, soprattutto da quando i falsari si sono stabilito nel nostro paese.
L'assedio di Berg-op-zoom
Si siede nella sua poltrona di velluto di Utrecht, Mastro Bissio, il mento nel suo colletto finemento ricamato, come un pollo che il cuoco abbia arrostito in un tegame di ceramica.
Si siede al suo banco per registrare la moneta di mezzo fiorino; io, povero scolaro di Leida, non ho che un berretto e un par di braghe bucati, e resto dritto su un piede solo come una gru su di un palo.
Ecco il bilancino che esce dalla sua custodia di lacca decorata di strane figurine cinesi, come un ragno, che ripiegando le sue braccine lunghe si rifugia in un tulipano dalle sfumature di mille colori.
Dalla sua faccia allungata, dal tremito delle sue dita secche secche che saggiano i pezzi d'oro, Mastro Bessio sembrerebbe propio un ladro colto sul fatto e obbligato con una pistola puntata alla gola a restituire a Dio ció che gudagnó come mercede del diavolo.
Il mio fiorino che esamini con la tua lente è meno equivoco e meno losco che il tuo occhietto grigio che fuma come uno stoppino mal spento.
Il bilancino è rientrato nella sua scatolina di lacca su cui brillano le figurine cinesi, Mastro Bessio si soleva un pochino dalla sua poltrona di velluto di Utrecht, e io, povero scolaro di Leida con le scarpe e le calze bucate, mi inchino fino al suolo e esco come un gambero.
Preghiera prima della studio
O Creatore ineffabile, che con il tesoro della tua sapienza hai tre gerarchie angeliche e le hai disposte sul cielo empireo in un ordine meraviglioso, tu che hai dsistribuito con suprema eleganza gli elementi dell'universo. Ti che sei detto fonte della luce e della sapienza, principio supereminente, degnati di illuminare con i raggi del tuo chiaro splendore le duplici oscure tenebre del mio intelletto, con le quali sono nato, ovvero il peccato e l'ignoranza. Tu che conferisci alla lingua degli infanti la facoltá di parlare, istruisci la mia lingua e poni sulle mie labbra il dono della tua benedizione.
Concedimi l'acume dell'intelligenza, la capacitá di assimilare, metodo efacilitá nell'apprendere, intuizione nell'interpretare, e una fluente eloquenza. Veglia sulla preparazione, dirigi il progresso e conserva il frutto. Tu che sei vero Dio e vero uono e vivi nei secoli dei secoli. Amen.