mercoledì, ottobre 31, 2012
Macbeth
Il sonno mi tortura
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Con la lama dei sogni
Ho ucciso tutti i coltelli
Non mi potró destare
genseki
Il problema azzurro
Mi hai messo in un problema azzurro
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Che mai sapró risolvere
Mi hai meso in un poema al freddo
Lá fuori a pascolare
In un deserto febbrile di volpi
Come se fossi io la crepa
La fenditura nella sabbia
Che granello a granello
Divora anche il dolore.
genseki
Pioggia
La pioggia mi aveva lasciato
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Piú quieto in passato
Maturava allora
D'acero in acero
Oppure tra i faggi in fitto colloquio
Una sfida:
Goccia dopo goccia
Orecchio gemente
Come una perla ascoltava
Le scariche nel muschio
Poi la rivolta vana ammutoliva
In gocce di vetro verde
Veggenti
genseki
Leopoldo Maria Panero
Como la vida del verso es una partida
de ajedrez con el horror
y el poema es peor que la muerte.
Da: Teoria del miedo
martedì, ottobre 30, 2012
Il vento tra gli olivi
Il vento tra gli olivi
Screpola la banchisa: graffi di acqua nera,
Trema appena la fiammella di un cero.
Sotto la volta romanica
Il muschio divora le pietre
Fin dove si estingue la brughiera.
Screpola la banchisa: graffi di acqua nera,
Trema appena la fiammella di un cero.
Sotto la volta romanica
Il muschio divora le pietre
Fin dove si estingue la brughiera.
lunedì, ottobre 29, 2012
martedì, ottobre 23, 2012
De senectute
V'è in me un'immagine della vecchiaia che ha a che vedere, con i lupi, l'inverno, Parigi e la neve. Insomna con Villon.
La presa di coscienza, "l'Insight" della vecchiaia è in me associata da tanto tempo con la miniatura immaginaria di un inverno medioevale, con un interno povero, scomodo, sporco ma abbastanza scaldato da un allegro braciere da rendere piacevole il contrasto con la notte fredda e fiera che morde la città.
Invecchiare è questione di un istante. Tutto comincia e finisce in un istante e in quell'attimo la vita prende ad allontantarsi nel passato.
Il passato diventa allora qualche cosa che ha molto piú a che fare con la geografia che con la cronologia. Una delle possibilitá che offre la vecchiaia è quella di cartografare la vita.
Si tratta di osservare la vita come una mappa, o come chi scruta un vasto paesaggio di pianura e basse colline da una montagna, o da una mongolfiera.
Ecco la landa allontanarsi vertiginosamente verso il basso e ampiarsi l'orizzonte fino a che i particolari: quel fienile, il cortile di quella scuola, il lupo che fiuta la traccia, la fuga zigzagante della lepre sull'ultima neve di primavera, finiscono per confondersi in verde e luce.
Ma torniamo a Villon. La vecchiaia ha bisogno di un fuoco, un bracere, un camino, una stufa insomma.
Ne ha bisogno per difendersi dal suo proprio inverno, cioè, in ultima istanza, per difendersi da se stessa, perché la vecchiaia è inverno.
Essa è peró anche rifugio.La vecchiaia a essa stessa a se stessa rifugio.Il calore accumulato in tutta una vita vissuta in modo appena dignitoso è sufficiente a conseguire un tepore e una protezione ragionevolmente confortevoli quando la fuori sibila l'inverno dell'annientamento. L'equilibrio che rende preziosa la vecchiaia è solo questo.
La mia povera vita non mi ha permesso di accumulare grandi ricchezze spirituali, no ne sono stato capace, non ho saputo rendermene degno. Quel poco che ho savato da tante procelle di cui fui naufrago basta comunque a scaldarmi. In questo tepore mi acccoccolo con gusto.
La vecchiaia non si sporge sulla morte, non ha finestro che diano immediatamente sul cortile del cimitero.
La vecchiaia è vecchiaia, la morte è morte.
In una prospettiva politica la vecchiaia ci permette di non essere giovani senza destare sospetti polizieschi. Ci libera dalla gioventú coatta che è la sola condizione permessa ai sudditi del capitale. Da questo incubo, infine, ci è consentito svegliarci. Non è detto che ci si riesca. Il successo resta dubbio, la tentazione è, tuttavia, luminosa. Occorre che invecchiando si resti prigionieri della gioventú coatta, si è allora il "ritratton di Dorian Grey di se stessi". Il Capitale è il pittore. Anzi questo orrore è la condizione comune dei sudditi del Capitale. Io sono ben deciso a invecchiare come un vecchio. Ho impiegato tutta la gioventú per premararmi a questa sfida. Sono deciso a espiare il peccato di gioventú: essere stato per tutta la giovinezza imperdonabilmente giovane.
genseki
lunedì, ottobre 22, 2012
Deleuze
“poiché
la razza votata all'arte o alla filosofia non è quella che si pretende
pura, ma quella oppressa, bastarda, inferiore, anarchica, nomade,
irrimediabilmente minore..."
Deleuze – Guattari.
venerdì, ottobre 19, 2012
Alberi
Questa è una poesia di Bolls Corracha caratteristica del periodo del suo lungo soggioro a Jeve e dell'amicizia povera e spoglia con Jules Lapache.
genseki
Questa poesia è dedicata agli alberi
Nella stagione in cui sono più tristi
La scrivo infatti il 31 Dicembre,
di notte prima che finisca l’anno
Privi di foglie lavati dalla pioggia
Avvolti nella nebbia
Intirizziti
Ora paiono antenne di metallo
Lance d’acciaio dai riflessi grigi
Che attendono tremando irrigiditi
Il bacio lieve, bianco della neve
Che li rivesta come morte spose
Del suo lino di gelo
Che simuli sui rami fantasmatici
La gioia spenta della fioritura.
Ché non c’è inverno
Privo di ricordi
Anche se non ululano più i lupi
Tra le file di tronchi fitte e scure
E non c’è morte senza che si disfi
L’ombra della speranza delle fronde.
Per questo scrivo gli alberi d’inverno
Quando le chiome sono solo d’ombra
Anche gli abeti sono fiamme nere
Profonde come il vento della notte.
Ritorneranno i boccioli arancione
E gialli per l’ardore d’esser verdi ?
Ora che il sogno dolce delle foglie
E’ un tappeto di linee che cancella
la pioggia grigia col fango vischioso ?
Foglie peltate, rotonde, reniformi
Digitate lobate bipennate
Forme di cuori d’asce di coltelli
di corna e zampe vive verdi orme
tenere carte tarocchi della vita
Ritorneranno a incarnare la luce
nella forma più verde del suo gioco
Nelle chiome che fremono di suoni
Chiome piramidali o arrotondate
Ombrelliformi oppure colonnari
Chiome candele di resina e di linfa
Chiome di latte e sperma vegetale ?
Ora le chiome sono solo un sogno
Ora la vita è nuda e trasparente
Raggi di vento ed aghi di cristallo
La trafiggono come fosse assente
Per questo scrivo gli alberi d’inverno
nella stagione in cui sono più tristi
Il 31 Dicembre: Capodanno.
Bolls Corracha
a cura di genseki
Jean Grosjean
Al bordo del sentiero
Quando mi seggo al bordo del sentiero
E volgo gli occhi indietro
Veggo il picciol cammino che ho percorso
E che ben poco ancora me ne resta.
Ma se vivere è già entrare da Te
In silenzio, in punta di piedi,
Con che gioia si cade in ginocchio
Al cospetto della tua gloria ostinata,
trad genseki
Quando mi seggo al bordo del sentiero
E volgo gli occhi indietro
Veggo il picciol cammino che ho percorso
E che ben poco ancora me ne resta.
Ma se vivere è già entrare da Te
In silenzio, in punta di piedi,
Con che gioia si cade in ginocchio
Al cospetto della tua gloria ostinata,
trad genseki
Barbara
Barbara è ancora una delle poesie giovanili di Bolls Corrachia ritrovata e pubblicata dal caro genseki.
Barbara
La notte scorsa
era una notte di nebbia
viscida e calda come la febbre
ha sognato
Barbara
si
proprio
Barbarà
quella di Prévert
bagnata e radiosa
come lo è da 50 anni
come lo sarà
ancora
per moltissimi altri
forse
per sempre
se questa locuzione ha un senso
per i mortali
l’ho sognata
sullo sfondo nuvoloso
del cielo di Brest
tra nuvole marce
dall’odore di nafta
e di acqua di mare
e la colonna sonora
era un rombo di archi
come nelle canzoni di Ferré
nel sogno
lei mi ha parlato
con una voce calda
e roca
come quella di Billie Holliday
non ricordo bene
quello che mi ha detto
le parole dei sogni
si dissolvono
al risveglio
come un volo di piccioni
grassi e sporchi
intorno
ai campanili grigi
di qualche cattedrale
posso quindi solo cercare
di ricostruire il senso delle sue parole
con la logica della veglia
“ Da 50 anni
ormai io corro
fradicia e radiosa
incontro all’amore che perderò
da 50 lo abbraccio
nella pioggia
da 50 anni ripeto questa scena
ininterrottamente
in bianco e nero
per il pubblico distratto degli studenti di francese
che sognano
l’uccello lira
e per gli innamorati che amano le fotografie di Doisneau
si Prévert
mi ha rovinato
nessun altro poeta dopo di lui
ha più voluto
scritturami
per altri
quelli che avevo sempre sognato
per cui mi sentivo ormai matura
ruoli drammatici
o ermetici
avrei voluto percorrere le strade
dell’America
in gins
e maglione di lana
con un vecchio zaino militare
affacciarmi morta
a una finestra neogotica
di Fiesole
oppure passeggiare tra i laghi di Carinzia
scendere con Annina
le scale di Livorno
con una catenina
dorata tra i denti
nelle mattine di mare
che sanno di latte
e di azzurro
approdare bruciata dal sole
bionda
sulle spiagge di isole vespertine
tra il brusio
ininterrotto dei pappagalli
vestita come una zingara hollywoodiana
invece
da 50 anni
posso solo
correre
sotto la pioggia
di Brest
che mi unge i capelli
e mi macchia il vestito
di cotonina a fiori
sullo sfondo
di nuvole marce
di soldati
morti
macerie
e trincee
rigorosamente in bianco e nero
e per di più
senza audio
e questa pioggia
mi ha guastato la salute
mi è entrata fino nelle ossa
mi ha tolto l’appetito
e il sorriso
e non ho mai potuto ascoltare
una canzone di Neil Young
anzi mi sono persa
anche
tutta la scena psichedelica
dove
avrei potuto svolgere
un ruolo di primo piano
e il cinema a colori
e le foto di Mapplethorpe
e i riccioli di Malcom Mcclaren
per correre sotto la pioggia
davanti a un pubblico
sempre più ristretto
di studenti di francese
e di liceali innamorati
i cui padri ascoltavano De André “
questo mi ha detto
- credo -
Barbarà
in un attimo di sosta
con una smorfia stanca sul volto ingenuo
prima di ricominciare
a correre
in bianco e nero
fradicia e radiosa
sotto la pioggia grigia
sotto le nuvole marce
di Brest
e
io
non ho saputo dirle
che l’ho
amata
e che l’amo sempre
e che tutte le sere
di pioggia
cerco il suo volto
tra quello di tutte le ragazze dai capelli fradici
che corrono sotto la pioggia unta
cercando invano
di ripararsi con la borsetta
dal tempo che le fisserà
per sempre
nel lampo mortuario
di una posa perfetta.
martedì, ottobre 16, 2012
lunedì, ottobre 15, 2012
Il mercatino dell'antiquariato
Continua la pubblicazione a cura di genseki delle poesie giovanili di Bools Corracha.
Bolls Corracha
Il mercatino dell’antiquariato
Quando viene l’autunno
spuntano dovunque
i mercatini dell’antiquariato
probabilmente ce ne sono anche in piena estate
e forse in primavera
ma il maggior numero di essi
si svolge
indubbiamente
all’inizio dell’autunno
oppure
alla fine dell’estate
cioè a settembre
l’autunno è essenziale all’antiquariato
nella sua forma di mercato all’aperto
perché
la luce calda e cristallina dell’autunno
e il riverbero delle foglie
che cominciano
a tingersi di rosso e d’oro
sono necessari per dare
alle madie
e alle specchiere
all’ottone
e alle rilegature dei libri
la patina di colore
malinconico che contraddistingue
nell’immaginario telecollettivo
ciò che è antico
come un mulino bianco
o la pasta di giovannirana
e l’autunno
è l’unico elemento
che possa legare insieme
la congerie di oggetti
estremamente incongrui
che si trovano
in un mercatino dell’antiquariato
fumetti americani della settimana scorsa
pappagalli centenari
con un’ala bruciata
e la voce arrochita
sigariavana sbocconcellati
denti d’oro cariati
divise risorgimentali
spartiti musicali
gialli e ocra
fotografie di ritapavone
bidè di stagno
bastoni da passeggio olandesi
mozziconi di sigarette
mollette di plastica
busti romani di plastica verde
specchi opacizzati
bottiglie di cocacola
telefoni verde pisello
o giallo canarino
carte stradali del Touring
con macchie di caffè ocracee e anche grigiastre intorno alle città
con più di 100.000 ab.
francobolli
del belis
letti di ottone malese
forchette di cellulosa
coltelli di porcellana
volpi canore che hanno perso la coda
bicchieri irregolari macchiati
indelebilmente di vini densi
pelli di gatto scabbioso
ermellini napoleonici
proclami savoiardi
biscotti al rosolio
ghiande saturnine
cartoline in biancoenero
con saluti rispettosi svolazzanti
di giovani impiegati di belle speranze
in riviera
a timide sartine del Canavese
e
poi
madie
madie
madie
madie
e
madie
la madia
è l’epitome
del mercatino dell’antiquariato
in essa convergono
tutti gli oggetti che lo costituiscono
e che noi guardiamo
mentre i nostri occhi divengono
grigi
e le nostre camicie vietnamite o taiwanesi
si trasformano in polverose redingotes
e noi ci sentiamo come chi è appena sceso da un calesse
mentre una foglia
rossa
che si è staccata da un platano o da una vite
plana sulle nostre teste
dove
è appena spuntata una bombetta magrittiana
e si posa
leggera
ai piedi di un grosso cane di ceramica arancione
nell’aria cristallina di settembre
Bolls Corracha
Troppo tardi
Forse ormai troppo tardi
Abbiamo raccolto i nostri stracci
Preso congedo dalla scogliera
Dalla finestra che si apriva
Sui rami del tiglio
Dalle sedie arancioni della terrazza.
I tuoi vestiti
- anche quello verde -
Non avevano smesso di sanguinare
Da quel giorno,
Da quando la pioggia cominció a cadere
Proprio sulla lattuga
E non cessó nemmeno
Quando gli ultimi cervi abbandonarono
Il parcheggio tra le raffiche arancioni
Dei lampioni
E non cessa nemmeno adesso
E piove
Sul sofá di pelle
Sulla credenza abbandonata tra le felci
Sulla spuma delle sottovesti
Dei reggiseni, delle mutandine.
Forse davvero troppo tardi
Ho raccolto i miei stracci
Ho fatto l'appello delle mie ossa
Ho pianto anch'io
Sulla polvere
Sulle piante grasse
E ce siamo andati
Passando per la breccia della porta
Oltre il guado
Verso gli ultimi campi di colza.
genseki
Abbiamo raccolto i nostri stracci
Preso congedo dalla scogliera
Dalla finestra che si apriva
Sui rami del tiglio
Dalle sedie arancioni della terrazza.
I tuoi vestiti
- anche quello verde -
Non avevano smesso di sanguinare
Da quel giorno,
Da quando la pioggia cominció a cadere
Proprio sulla lattuga
E non cessó nemmeno
Quando gli ultimi cervi abbandonarono
Il parcheggio tra le raffiche arancioni
Dei lampioni
E non cessa nemmeno adesso
E piove
Sul sofá di pelle
Sulla credenza abbandonata tra le felci
Sulla spuma delle sottovesti
Dei reggiseni, delle mutandine.
Forse davvero troppo tardi
Ho raccolto i miei stracci
Ho fatto l'appello delle mie ossa
Ho pianto anch'io
Sulla polvere
Sulle piante grasse
E ce siamo andati
Passando per la breccia della porta
Oltre il guado
Verso gli ultimi campi di colza.
genseki
domenica, ottobre 14, 2012
La poesia
La poesia è una visione del mondo che si ottiene con uno sforzo, a volte fino allo sfinimento, della volontá tesa come un arco. La poesia è della volontà. Non è debolezza e non entra in modo libero e gratuito attraverso sensi; non si confonde con la sensualitá, anzi, opponendosi ad essa...
Genet
Trad. genseki
Genet
Trad. genseki
La dea degli stracci
Incerti miti, gli ultimi scarti
Di scisti gloriose
Rocciosi tramonti, s'innesta
L'acero alla falesia
Nella speranza della frana
Nella notte dei gelsomini
Sacri alla dea degli stracci
Inutilmente gridano le fauci
La paura dell'ultimo animale.
genseki
Di scisti gloriose
Rocciosi tramonti, s'innesta
L'acero alla falesia
Nella speranza della frana
Nella notte dei gelsomini
Sacri alla dea degli stracci
Inutilmente gridano le fauci
La paura dell'ultimo animale.
genseki
venerdì, ottobre 12, 2012
Genet
Dio che creó dal nulla il cielo e la terra fece anche un altro miracolo, offrí un dono a Santa Elisabetta di Ungheria, la quale a causa della sua condizione di Regina era circondata dal lusso della corte.
Le offrí un regalo fatto apposta per lei, alla sua altezza, tagliato su misura: una cella monastica, invisibile, invisibile a suo marito, ai cortigiani, ai ministri alle dame di compagnia, una cella che, in ultima istanza, era personale e segreta, che si muoveva seguendo i movimenti della Santa Regina. I suoi muri esterni erano visibili solo per quattro occhi, quelli della Regina e quelli di Dio. Tutti e quattro costituivano un solo occhio...
GenetTrad. genseki
Invisibili
Invisibili ai nostri occhi
Gli uccelli dell'autunno
Era un esplodere lascivo
Di mandorle, sudavamo latte
Unghia dopo unghia
Merlo dopo merlo
Ua farfalla scagliata dalla frombola del sole
Ti aveva sfiorato una tempia.
genseki
Gli uccelli dell'autunno
Era un esplodere lascivo
Di mandorle, sudavamo latte
Unghia dopo unghia
Merlo dopo merlo
Ua farfalla scagliata dalla frombola del sole
Ti aveva sfiorato una tempia.
genseki
giovedì, ottobre 11, 2012
Veniva prima
Veniva prima d qualunque ricordo
Irresistibilmente prima, sai?
Del gioco azzurro delle felci
Sul sangue dell'avena
Veniva prima dell'amido
Delle medaglie
Del madore delle unghie
Del tuo morire abbracciata
Al tuo sudore
Gemendo l'aperto tepore della tua pelle
Veniva prima di qualunque ricordo,
Anche del tuo -
Si! Del tuo!
Come ricordarlo allora:
Quando ancora non avevamo appreso
La febbre che brucia nel cielo
A ogni volo
A ogni stormo
Come le chiome dei frassini
Si disfano in zolfo e cobalto
Se una nube le sfiora
Come ogni ombra di felce
Fu un angelo sfiorito
E l'ansito geometrico dei bruchi
Era fraterno al nostro bisogno di simmetria
Veniva prima di tutto questo
Pure prima di quell'altro
E non era un prima che avesse un dopo
Anche tutti i dopo venivano prima
Per questo alla fine
Riuscimmo a ricordarlo:
Solo chi ama puñ morire davvero.
genseki
Irresistibilmente prima, sai?
Del gioco azzurro delle felci
Sul sangue dell'avena
Veniva prima dell'amido
Delle medaglie
Del madore delle unghie
Del tuo morire abbracciata
Al tuo sudore
Gemendo l'aperto tepore della tua pelle
Veniva prima di qualunque ricordo,
Anche del tuo -
Si! Del tuo!
Come ricordarlo allora:
Quando ancora non avevamo appreso
La febbre che brucia nel cielo
A ogni volo
A ogni stormo
Come le chiome dei frassini
Si disfano in zolfo e cobalto
Se una nube le sfiora
Come ogni ombra di felce
Fu un angelo sfiorito
E l'ansito geometrico dei bruchi
Era fraterno al nostro bisogno di simmetria
Veniva prima di tutto questo
Pure prima di quell'altro
E non era un prima che avesse un dopo
Anche tutti i dopo venivano prima
Per questo alla fine
Riuscimmo a ricordarlo:
Solo chi ama puñ morire davvero.
genseki
mercoledì, ottobre 10, 2012
Blues castigliano
Da ventanni
Quando avevo quattordici anni
Mi facevano lavorare fino a sera;
Quando tornavo a casa
Mi prendeva la mamma
La testa tra le mani.
Ero un ragazzino che amava il sole e la terra
E gli strilli dei miei compagni in cortile
I falò nella notte
E tutte le cose che fanno bene
E l'amicizia
Che fa crescre il cuore.
Alle cinque, d'inverno,
Mia madre si sedeva sul bordo del mio letto
Mi chiamava per nome
E mi accarezzava la faccia
Fino a svegliarmi
Scendevoin strada che era ancora notte
Mi sembrava che il freddo pietrificasse gli occhi.
Non era giuso, ma era così bello
Caminnare per le vie e ascoltare i miei passi
E sentire la notte di quelli che dormivano
E comprendere che erano una sola creatura
Che riposava di un'unica vita
Tutti quanti con un unico sonno.
Entravo al lavoro
La fabbrica
Puzzava e mi faceva male
Poi arrivavano le donne
E si mettevano a strofinare in silenzio
Per ventanni
Mi hanno
Sfruttato e dimenticato
Ormai non comprendo la notte
Né il canto dei ragazzini nei prati
Eppure so
Che qualche cosa di più grnde e di più reale di me
È con me scorre per le mie ossa.
Terra instancabile
Firma
La pace che sai
Darci
La nostra esistenza
la nostra.
Antonio Gamoneda
trad genseki
Quando avevo quattordici anni
Mi facevano lavorare fino a sera;
Quando tornavo a casa
Mi prendeva la mamma
La testa tra le mani.
Ero un ragazzino che amava il sole e la terra
E gli strilli dei miei compagni in cortile
I falò nella notte
E tutte le cose che fanno bene
E l'amicizia
Che fa crescre il cuore.
Alle cinque, d'inverno,
Mia madre si sedeva sul bordo del mio letto
Mi chiamava per nome
E mi accarezzava la faccia
Fino a svegliarmi
Scendevoin strada che era ancora notte
Mi sembrava che il freddo pietrificasse gli occhi.
Non era giuso, ma era così bello
Caminnare per le vie e ascoltare i miei passi
E sentire la notte di quelli che dormivano
E comprendere che erano una sola creatura
Che riposava di un'unica vita
Tutti quanti con un unico sonno.
Entravo al lavoro
La fabbrica
Puzzava e mi faceva male
Poi arrivavano le donne
E si mettevano a strofinare in silenzio
Per ventanni
Mi hanno
Sfruttato e dimenticato
Ormai non comprendo la notte
Né il canto dei ragazzini nei prati
Eppure so
Che qualche cosa di più grnde e di più reale di me
È con me scorre per le mie ossa.
Terra instancabile
Firma
La pace che sai
Darci
La nostra esistenza
la nostra.
Antonio Gamoneda
trad genseki
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