venerdì, aprile 27, 2007
Maresa di Noto
L’albero secco riposa
oltre la coltre dei grigi e la neve
che lo ripara.
Non c’è fretta, pare,
nel nucleo intanto tutto risorge.
oltre la coltre dei grigi e la neve
che lo ripara.
Non c’è fretta, pare,
nel nucleo intanto tutto risorge.
Kunming
Accanto a Dio é la bellezza del ritorno
Corano III, 12-14
*
A Kunming fioriscono i ciliegi
Senza interruzione
Per mesi e per distese
Dove dormono e lottano
Bufali e leopardi
Avvinti in corna e denti
Tra gli alberi del te
Superbe colonne vegetali
Arroganti come divinitá
Non credute
Non venerate
A Kunming fioriscono i ciliegi
In nuvole di rose accese
Fior di ciliegio
Foglia di te, torri di bambú
Son vecchi sogni congiunti
Esplorali!
A Kunming fiorsicono i ciliegi
I sogni nuovi
Sono leggeri
Li porta la Primavera
Che resta qui per sempre
Dove la storia é morta
Sono incubi sottili
Appena un po´nauseabondi
Tra gli alberi del te
Nella luce di Kunming
*
Corano III, 12-14
*
A Kunming fioriscono i ciliegi
Senza interruzione
Per mesi e per distese
Dove dormono e lottano
Bufali e leopardi
Avvinti in corna e denti
Tra gli alberi del te
Superbe colonne vegetali
Arroganti come divinitá
Non credute
Non venerate
A Kunming fioriscono i ciliegi
In nuvole di rose accese
Fior di ciliegio
Foglia di te, torri di bambú
Son vecchi sogni congiunti
Esplorali!
A Kunming fiorsicono i ciliegi
I sogni nuovi
Sono leggeri
Li porta la Primavera
Che resta qui per sempre
Dove la storia é morta
Sono incubi sottili
Appena un po´nauseabondi
Tra gli alberi del te
Nella luce di Kunming
*
Fu da dentro una lacrima
Fu da dentro una lacrima
Che finii per vederla
Madida di primavera
Gocciolante di luce
La cittá che durava
Di pietra melancolica
Con le sue scalinate
Le cascate di fiori
Libera dal mio sguardo
Pura senza i miei passi
Ormai che io non c'ero
Esisteva davvero
*
Se mi distolgo
È il mondo che ritorna
Ad essere davvero
Luce per occhi morti
Frutto per mani vuote
E stillare di succhi
Dal cuore delle palme
Solo
Se mi distolgo
Mi sorge
Vero il Mondo
*
Perché le cose siano
Soltanto è necessario
Distogliere la vista
E rallentare il cuore
Per un istante
Allora
Saranno veri i pini
Che il calore del sole
Dissolve in luce verde
genseki
Che finii per vederla
Madida di primavera
Gocciolante di luce
La cittá che durava
Di pietra melancolica
Con le sue scalinate
Le cascate di fiori
Libera dal mio sguardo
Pura senza i miei passi
Ormai che io non c'ero
Esisteva davvero
*
Se mi distolgo
È il mondo che ritorna
Ad essere davvero
Luce per occhi morti
Frutto per mani vuote
E stillare di succhi
Dal cuore delle palme
Solo
Se mi distolgo
Mi sorge
Vero il Mondo
*
Perché le cose siano
Soltanto è necessario
Distogliere la vista
E rallentare il cuore
Per un istante
Allora
Saranno veri i pini
Che il calore del sole
Dissolve in luce verde
genseki
mercoledì, aprile 04, 2007
La dialettica
Non è evidente che la tendenza a porre l'infinito nel finito e viceversa è dominante in tutte le indagini e in tutte le conversazioni filosofiche? Questo modo di pensare è eterno come l'essenza di ciò che in esso si esprime, non è cominciato ora, non terminerà mai. E', come dice Platone, l'immortale, immarcescibile caratteristica di ogni indagine. Il giovane che lo ha provato per la prima volta se ne rallegra come se avesse trovato un tesoro di saggezza, e reso ardito dalla propria gioia, intraprende con piacere qualunque indagine, ora riunendo tutto quello che capita nell'unità del concetto, ora scomponendolo e dividendo tutto di nuovo in una pluralità. Questa forma è un dono degli dei agli uomini che Prometeo trasse dal cielo alla terra con il fuoco.
Dal: Bruno
lunedì, aprile 02, 2007
Il gelo le aveva serrate, strette
Il gelo le aveva serrate, strette
Nella sclerosi delle sue dita bianche
Le fonti
Tra il muschio fatto gioiello,
Come gioiello spento
E perfetto, immoto
Nel tempo.
Ora un lieve calore di febbre
Sale dalla terra sabbiosa
Si addensa sotto la coperta
Delle foglie morte.
E piano piano cominciano a stillare
Vorrebero scorrere
Le lacrime da occhi
Che più non vedono il cielo
Sul bosco fitto del pensiero.
genseki
Il gelo le aveva serrate, strette
Nella sclerosi delle sue dita bianche
Le fonti
Tra il muschio fatto gioiello,
Come gioiello spento
E perfetto, immoto
Nel tempo.
Ora un lieve calore di febbre
Sale dalla terra sabbiosa
Si addensa sotto la coperta
Delle foglie morte.
E piano piano cominciano a stillare
Vorrebero scorrere
Le lacrime da occhi
Che più non vedono il cielo
Sul bosco fitto del pensiero.
genseki
Peter Sloterdijk
Filosofia e tossicomania
I medici omeopati del XIX secolo pensavano che il praticante deve per prima cosa sperimentare su se stesso le medicine che prescrive poi alla sua clientela. Diciamo che un buon filosofo e’ una specie di tossicomane illuminato e che il suo sapere consiste precisamente in una polifonia dell’avvelenamento. Questo per me significa che il sapere filosofico non e’ soltando il risultato di una riflessione approfondita, e nemmeno un’espressione di se’ come soggetto, ma il risultato di una specie di suceso immunologico. La verita’ deve essere interpretata, secondo me, come un fenómeno immunitario che il discorso del filosofo contemporaneo genera alla fine di una serie di vaccinazioni o di autoavvelenamenti. Nelle reazioni del pensatore moderno emerge un nocciolo di verita’ che non e’ che la lotta del sistema che sopravvive in una serie di produzioni di anticorpi, logici come semantici, che fanno barriera all’invasione di virus ostili: questo modello e’ secondo me una buona risposta alla
domanda: che cos’e’ una saggezza contemporanea? Il pensatore cotemporaneo e’ il multitossicomane, forte di una lunga serie di piccole morti e di reazioni immunitarie, che sfugge alla definizione classica e universitaria di logico discursivo. Io avvicinerei questo alla poesia contemporanea che libera la capacita’ di allucinare del suo autore.
I medici omeopati del XIX secolo pensavano che il praticante deve per prima cosa sperimentare su se stesso le medicine che prescrive poi alla sua clientela. Diciamo che un buon filosofo e’ una specie di tossicomane illuminato e che il suo sapere consiste precisamente in una polifonia dell’avvelenamento. Questo per me significa che il sapere filosofico non e’ soltando il risultato di una riflessione approfondita, e nemmeno un’espressione di se’ come soggetto, ma il risultato di una specie di suceso immunologico. La verita’ deve essere interpretata, secondo me, come un fenómeno immunitario che il discorso del filosofo contemporaneo genera alla fine di una serie di vaccinazioni o di autoavvelenamenti. Nelle reazioni del pensatore moderno emerge un nocciolo di verita’ che non e’ che la lotta del sistema che sopravvive in una serie di produzioni di anticorpi, logici come semantici, che fanno barriera all’invasione di virus ostili: questo modello e’ secondo me una buona risposta alla
domanda: che cos’e’ una saggezza contemporanea? Il pensatore cotemporaneo e’ il multitossicomane, forte di una lunga serie di piccole morti e di reazioni immunitarie, che sfugge alla definizione classica e universitaria di logico discursivo. Io avvicinerei questo alla poesia contemporanea che libera la capacita’ di allucinare del suo autore.
Shelling
L'universo dorme come in un germe infinitamente fertile, con la pletora delle sue forme, la ricchezza della sua vita, l'esuberanza delle sue manifestazioni, senza fine nel tempo, ma qui immediatamente presenti, in'unità eterna: passato e futuro, entrambi infiniti per il finito, uniti, qui sotto manto comune.
*
Unamuno
Aquila
Aquila bianca che bevendo luce
Del sol eterno con lucide pupille
A noi la doni, pellicano, nel sangue
Delle tue stesse viscere mutata
Aquila bianca perché nei tuoi occhi
Veglia una nube nera, cupa chioma
Di nazareno? Ci fa luce, o torcia!
Il cuore tuo che ci illumina ardendo
Ci avezza a far del nostro sangue luce
Della tua luce, Tu che sei quell’Uomo
Che il mondo rischiara pei mortali.
Luce, Cristo Signor, la luce é vita!
Quando moriam nelle tue bianche braccia,
Le ali della Morte Imperatrice,
Ci sollevano su fino a quel sole
Ove si perdon gli occhi nostri e miran
Volto di Veritá quello che uccide
L’uomo perche’ rinasca, Aquila bianca
Che a gran sorsi bevendo viva luce
Del Sole Eterno con occhi divini
Ce la doni nel sangue che hai versato
Portaci a gustar del Sole eterno,
Portaci a gustar del Sole eterno,
Con gli occhi nostri, qual ne sia la luce,
A contemplar la Verità nel viso.
Cerchi la nottola che la luce abbaglia
Nel buio la sua preda. Aquile sono
L’anime nostre che vivono morendo
Per contemplare il volto del Signore
Sguardo di pura fede che non pieghi
Al raggio di quegli occhi abbacinanti
Di Verità del Sol che non si estingue
D’Iddio dal volto che ci da la vita
Quando con il suo sguardo ce la toglie.!
***
Bianco lino il tuo corpo, frágil tela
Che dalla grigia terra Iddio filando
Tessé e tinse e ne vesti’ il Pensiero
D’un nudo ed invisibile vestito
Donando al mondo di che illuminarsi
Luce della Parola, eterna cappa
Ricamata di stelle innumerevoli.
Si tinse il lino di porpora regia
Estratta dall’abisso dell’oceano
- Ove giunti riposano coloro
Che furo e che saranno – e della Morte
Fu sudario d’amor nell’immolarla.
Con mano irata il popolo a strattoni
Denudo’ la Parola creatrice,
Ma Ella raccogliendo il suo vestito
Di nuovo se lo cinse come un manto
E lo tese qual volta al nostro cielo.
Il Fattor del paesaggio illimitato
Di greggi d’astri e soli pellpellegrini
Che l’orbe nostro – spenta scintilla traen –
Dalle ceneri sue ando’ tessendo
Con incorporee mani tenebrose
- Che son strumenti dell’onnipotenza -
Per nove lunghi mesi dentro il seno
Oscuro d’una vergine la tunica
Che rivestito al fine lo mostrasse
All’anime sgorgate dal suo senno.
Trad. genseki
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