lunedì, maggio 08, 2017


DAVID MARIA TUROLDO

Signore, hai mai desiderato morire?
Sai cosa vuol dire: non farcela più,
perché il male è troppo grande, e amaro,
da renderci tanto infelici?
Dice un midrash antico che a volte
tu fai, a sera, delle nostre preghiere
un tappeto disteso nel cielo
e sopra tu pure ti prostri e preghi,
e questa sarebbe la tua preghiera:
- Di tanto male vi chiedo perdono, uomini…
Pensa al tuo popolo in mezzo al deserto:
- Fossimo morti per mano del Signore
in terra d’Egitto - per tua mano, Dio,
amante della vita!
E Giobbe a gridare:
- Perché le porte del grembo non chiuse?
Perché la pena ai miei occhi non nascose? -
Anche Cristo tentato di morire:
- Se tu sei il Figlio di Dio, buttati giù…-
anche lui sudando sangue, gridava:
- Padre, Padre, se è possibile …. -
Oh, le preghiere che salgono da tutti i deserti
dopo questo andare, e andare …
Come sono le preghiere di queste moltitudini
di braccianti, di deportati, di torturati, di uccisi?
Anche di te noi abbiamo pietà,
perché devi avere il cuore che scoppia,
e le notti che certo piangi per noi …
fino a farti pane, nostro cibo,
e a dirci: – Mangiate, alzatevi
che lungo è ancora il cammino. -
E noi andiamo ancora,
forti del tuo cibo;
solo perché tu ci ami
e noi ti amiamo,

giovedì, febbraio 23, 2017

Altre tre poesie di Pierre Reverdy

Oltre misura

Il mondo è la mia prigione
Se sono lontano da ció che amo
Non siete poi cossi lontane sbarre dell'orizzonte
L'amore la libertá nel cielo troppo vuoto
Sulla terra screpolata di doori
Un viso illumina e riscalda le cose dure
Che facevano parte della morte
A partire da questo volto
Da questi gesti da questa voce
Sono solo io che parlo
Il mio cuore che risuona e che batte
Uno schermo di fuoco tenero abat-jour
Tra i muri familiari della notte
Cerchio incantato di false solitudini
Fascio di riflessi luminosi
Rimpianti
Tutti questi brandelli di tempo cretpitano nel focolare
Ancora una mappa che i strappa
Un atto che manca all'appello
resta poco da prendere
In un moribondo

*

Sentiero seepeggiante

C'è un terribile grigio di polvere nel tempo
Un vento del sud dalle ali forti
Gli echi sordi dell'acqua nella sera che naufraga
E nella notte umida che sgorga dal tornante
Voci rugose che si lamentano
Un gusto di cenere sulla lingua
Un rumore d'rgano sui sentieri
La nave del cuore che becchegggia
Tutti i disastri del mestiere
Quando i fuochi del deserto si spengono uno a uno
Quando gli occhi sono madidi
Come ciuffi d'erba
Quando la rugiada scende a piedi nudi sulle foglie

Al mattino appena alzato
Qualcuno cerca
Un indirizzo perduto sul sentiero nascosto
Gli astri senza ruggine e i fiori precipitano
Attraverso i rami spezzati
E il ruscello scuro secca le sue labbra molli appena schiuse

Quando il passo del marciatore sul quadrante che conta
Regola il movimento e spinge l'orizzonte
Tutti i gridi sono passati tutti i tempi si incontrano
E io cammino verso il cielo con gli occhi nei raggi
C'è rumore per niente e nomi nella mia testa
Volti vivi
Tutto quello che è successo nel mondo
E questa festa
Dove ho perso tempo

Trad. genseki




mercoledì, febbraio 22, 2017

Tre poesie di Pierre Reverdy

La lampada

Il vento nero che torceva i tendaggi non poteva
Sollevare i fogli né spegnere la lampada.
Sembrava che qualcuno otesse entrare in una corrente di polvere.
Tra la porta aperta e la finestra
Che batte – nessuno
Eppure sulla tavola
Scossa un bagliore si agita in questa stanza vuota.


*

Il salvatore della realtá

Camminava su un piede senza sapere dove avrebbe posata l'altro, Alla svolta della strada il vento spazzava via la polvere e la sua bocca avida inghiottiva tutto lo spazio.
Si mise a correre sperando di prendere il volo da un momento all'altro, ma al bordo del ruscello il selciato era umido e le su braccia che battevano l'aria non poterono trattenerlo. Nella sua caduta comprese che era piú pesante del sogno che lo animava e amó, in seguito, il peso che l'aveva fatto cadere.

*

Il temporale

La finestra
Un buco vivo in cui urta il fulmine
Pieno di impazienza
Il rumore ha oltrepassato il silenzio
Non si capisce piú se è notte
La casa trema
Che mistero
Tacerá la voce che canta
Eravamo piú vicini
Di sotto
Chi cerca
Piú grande di quello che cerca
Tutto qua
Suolo
Sotto il chelo aperto
Scisso
Un fulmine a cui il fiato è restato

Sospeso.

Trad. genseki

lunedì, febbraio 20, 2017

Pierre Reverdy

Tardi nella vita

Sono duro
Sono tenero
Ho perduto il mio tempo
Sognando senza dormire
Dovunque son passato
Ho trovato la mia assenza
Non sono in nessun luogo
Eccettuato nel nulla
Al sommo delle mie viscere
Ove il fulmine torppo spesso ha colpito
È agganciato un cuore sul quale ogni parola
Ha intagliato il suo segno
E da cui la mia vita

Gocciola ad ogni scossa.

*

Trad. genseki

sabato, gennaio 14, 2017

René Char

Ne cherchez pas dans la montagne; mais si à quelque kilomètres de là, dans les gorges d'Oppedette vous rencontrez la foudre au visage d'écolier, alle à elle et souriez-lui car elle doit avoir faim, faim d'amitié

Affres, détonation, silence


*

Marta

Marta di cui questi vecchi muri non possono appropriars, fontana in cui si contempla la mia monarcia solitaria, come mai potrei dimenticarti per non dovermi ricordare di te; tu sei il presente che si accumula. Ci uniremo senza dover avvicinarci, prevederci, come due papaveri formano nell'amore un'anemone gigante. Non entreró nel tuo cuore per limitarne la memoria. Non tratteró la tua bocca per impedire che si schiuda sull'aria celeste e la sete di partenza. Voglio essere per te la libertá e il vento che varca la soglia di sempre prima che la notte divenga introvabile.

Penombra

Mi trovavo in una di quelle foreste dove il sole non penetra mai, ma di notte occhieggiano le stelle. Quel luogo aveva il permesso di esistere soltanto perché l'inquisizione degli Stati lo aveva trascurato.
Le servitú abbandonate sottolineano il loro disprezzo.
L'ossessione di castigare mi era stata ritirata ...


Le Thor

Nel sentiero delle erbe addormentate, ci stupivamo da bambini, che la notte si arrischiasse a passare, le vespe non andavano piú verso i romi e gli uccelli sui rami. L'acqua apriva agli ospiti del mattino la sua turbolenta immensitá. Erano filamenti d'ali, tentazioni di gridare, piroette tra luci e traspaenze. Le Thor si esaltava sulla lira delle sue pietre. Si scorgeva il Monte Ventoux, lo specchio delle aquile. Sul sentiero delle erbe addormentate, la chimera di un'etá perduta sorrideva alle nostre giovani lacrime.

Matita del prigioniero

Un amore la cui bocca è un mazzetto di nebbie
Si schiude e sparisce
Un cacciatore lo seguirá una sentinella verrá a saperlo.

Un uccello

Un uccello canta su un filo
La vita semplice, a fior di terra
Il nostro inferno si allegra
Poi il vento comincia a soffiare
Le stelle se ne accorgono
Ah! che folli a percorrere
Una fatalitá cosí profonda.

*

Trad, genseki

giovedì, gennaio 12, 2017

Benjamin Péret



Dormire, dormire nelle pietre

1

Dal corno del sonno agli occhi rivoltati dei sospiri
C’è posto per una cornamusa celeste
Da dove sgorga il suono fatale della reseda fiorita
Reseda, reseda se devi al quarzo i tuoi fiori
Perché ha messo alle tue radici una povere di sanguo e cervello
Che pepata ti acccarezza gli occhi
Ha pur messo la sua carezza marina sulla faccia inferiore dei toui petali
E l’acqua pura della sua testa nelle tue mani
Reseda reseda
Quando sará giunto il giorno delle biancehe arquate
Sentirai la testa inclinarsi come  un sole senza spessore
E il sangue delle tue vene si spargerá sullle stelle
Che ti risponderanno
Reseda reseda
I tuoi movimenti ribelli alle carezze del vento
Che passa presso di te come un minuto giá usato
Come un minuto liquido
I cui sguardi inutili si perdono nei pozzi
Dove vorresti vivere flessibile e pallido come un filo di 
Sorgente
Uccelli uccelli delle mie orecchie
Volate via
Volate via come una corrente d’aria
Verso lo spetrro di sale dove gemono le vostre piume
Tale piuma che geme aspetta soltanto la pioggia sottile per
Ritrovarvi
Tale piuma che impallidisce sará verde domani
Se l’uragano le svela il suo destino
E tale piuma che scompare come un A B C D
Si ritrova in primavera sulla testa dei cieli
Perché i cieli sono fatti delle vostre piume
Gocce di sangue d’acqua del gioiello piú antico delle donne
La polvere si annoiava nel deserto delle mani
Il cui superfluo deborda su seni pallidi

Usciti dallo specchio che nessuno scoprí
Perché parte e ritorna come una foglia
Perché è celeste
Perché è rosso
Secondo che il tuo sguardo si smarrisce come una bandiera
Secondo che la tua voce esplode come una aurora boreale
O scorre come le ciliege del tempo
Raccolte dagli oscuri viaggiatori del tuo sangue
Che schiuma lungo le tue anch
Onde fresche
Su labbra che bruciano al loro passaggio il mare e le isole

Circondate con le mani il corpo fragile dei venti
Il vento dell’errore e del sangue si gonfiano nei nostri corpi
Come una poesia di sale
E la reseda del cielo diventa anemica presso gli specchi
Perché si vede crescere come un torrente
Perché si vede oscillare sul suo supporto ossuto
Troppo simile all’angoscia d’una fiera
Perché si sente si sente la bocca e le orecchie di un dio
Di un dio salubre e forte che spazza via al mattino i germi spontanei
Delle mani stanche
Che dunque qui malgrado la madreperla delle arance
Osa contemplare dal piú profondo dei secoli
Il cavallo sereno dimentico dei crateri ove nacque l’orgoglio della
Sua razza
Che ci conduce all’alba
Che porta ninfee e seminatori di collier
Riflesso della pelle cosí dolce che vi ci si vorrebbe specchiare
Uccello delle luci non lo porta via
I granelli umidi fischiano nei loro rifugi
E le ombre appassite si nascondono sotto il muschio
Soffia o corno un azzurro cupo e verbale
La primavera è malata di un nuovo ciliegi
Di un ciliegio pieno di frutti sfavillanti
In cui affondano le ciglia di porcellana
Come uno sguardo in un getto d’acqua
Seduta spada seduti venti
Il mare scolora e domina il rosso
Il rosso del mio cuore è il rosso delle sue isole
Il vento che mi avvolge come un insetto
Il vento che mi salva da lontano
Il vento che ascolta il rumore dei suoi passi decrescere sulla mia ombra
Cosí pallido da sembrare un pesce volante

Hai sentito i capelli snodarsi come le lancette di una 
Pendola
E il soffio delle pietr attenuarsi per la paura che le mani
Non lo notino
Hai sentito la linfa sgorgare dagli alberi di paglia
E spargendosi sui fiumi
Coprirli di anatre
Le anatre degi astri non sono quelle di ma sorella
Perché ma sorella è nera come un’ostrica
E dalla sua voce escono talpe
E le talpe di mia sorella sanno tenere il loro segreto

I canestri e l’uva si incontrano su una strada 
Azzurra
Dall’urto scaturirá la grande mammella
Che ricopre gli orizzonti appassiti
E ci sará giustizia
Se la giustizia nasce dall’incontro tra l’uva e il cestino
Le tegole accarezzeranno i saggi affogati nel cemento
E le onde si rifiuteranno di attraversare il mare
Encora un’ora e gli scheletri si culleranno sulla corda
Delle maree
A condizione che i vetri perdano il loro splendore
A condizione che i vecchi si nascondano sotto le erbe
Chiocciole dei pendoli

Se l’amore nasce dalla proiezione del ribes nel becco 
Di un cigno
Mi piace
Perché il cigno del mio sangie ha mangiato tutto il ribes
Del mondo
Perché il mondo è soltanto ribes
E i ribes del mondo sgorgano dai suoi occhi
Come il sale degli alberi
Come il sale dagli alberi
Come l’acqua di mani sonore
Come le carezzze delle mosche di neve
Che nuotano la sera sui capelli disfaati che le implorano.

 Trad, genseki

lunedì, gennaio 09, 2017

Piedad Bonnet

Piedad Bonnet


Vincent Van Gogh contempla la notte


Un cavallo di ebano impiccato all sua morte

I suoi occhi di cristallo dietro la finestra
La sua testa tagliata coronata di stelle

E la lingua della paura
Le sua papille rosa la sua rugositá
Chi mastica e mastica dietro le mie orecchie?

Chi scalcia
E mi affonda nel pantano

Delle mie oscuritá
Dove balugina
Come un uccello in fiamme la coscienza?


Doppio

Mi guardo guardare

E il mio dentro è il mio fuori in questo carcere
In cui sempre mi trovo dietro a me
Con il mio fiato sulla mia nuca
Sussurandomi
Canzoncine all'orecchio come una madre un padre
Un monaco che obbliga un corvo a scendere
Con il becco insanguinato
Sulla pozza di luce della pupilla

Dell'altro
Che guarda
Che soffre.


Terrestre

Sognai un uccello impazzito
In una gabbia dello zoo
Mi risvegliai con la fronte piena di sangue
Chiamando mia madre
Chiedendole, in nome di Dio, latte caldo dai suoi seni
Per tornare a essere bambino.
Altri si destarono e gemettero e supplicarono come me
Nelle stanza vicine
Le mie braccia e il mio petto erano coperti di piume
Ma non vi era un cielo dove volare.


La madre è la grande notte


Qui il temo è legato con una camicia di forza
È vento sottomesso
Che scrive lo sstesso nome con un gesso sul muro.
Tutto sta qui dentro, in questo grande ventre
Pieno di uomini senza madre.
La madre è la grande notte. La madre è il nostro grido.
A madre è ogni dose di trifuoperazina
Che riempie di saliva le nostre labbra.
Quando accosto l'orecchio alle pareti
Perché voglio ascoltare il pianto di quelli che ancora mi amano
Solo odo il mio stridore. La mia oscura dissonanza
Il cuore della paura
Cantando la sua monotona litania.


.Fuso al nero

Quando avevo tre anni vidi mia madre illuminta
Ma credevio che bruciasse e piansi.
A sette anni dipinsi un toro dalle grandi corna e mi guardai nei suoi occhi
Soffrendo la sua ferita.
A quindici, con la faccia piena di grani, udii cantare in varie lingue la solitudine,
E le capivo tutte. L mia notte si popoló di incubi.
A diciotto
Sentii dire che stavo male di testa.
Mi afferrai con tutte le mie forze al legno marcio dell'infanzia
Mentre una radice cresceva tra le mie ciglia.
Un giorno le mie sorelle, spaventate, agitarono le loro ali di colombe
E lavarono il mio sangue con le loro lacrime.
Volli dire: vi amo. E gridare: padre, madre,
Ma qualcuno stava giá spegnendo le stelle.


Trad. Genseki

Da: http://www.otroparamo.com/cinco-poemas-ineditos-de-piedad-bonnett/




martedì, dicembre 27, 2016

Benjamin Péret



Sulla collina ispirata soltanto dalle labbra dipinte
Gli occhi bianchi si aprono alle luci della festa
La respirazione morirá presto di bella morte
Come se una mano si posasse sull’alto versante della collina
E gli uomini stiano gridand
Era dal cielo di Dio che cadevano parole assurde

Ora partiamo per la casa delle alghe
Dove vedremo gli elementi coperti dalle loro ombre
Avanzare come criminali
Per distruggere il paesaggio di domani
Amica mia cara paura

*

Battito di ciglia

Voli di pappagalli mi attravesano la testa
Quando ti vedo di profilo
El il cielo unto si stria di lampi azzurri
Che tracciano il tuo nome in tutti i sensi
Rosa sul capo una tribú negra smarrita su una scala
Ove i seni acuti delle donne guardano attraverso gli occhi
Degli uomini
Oggi guardo attraverso i tuoi capelli
Rosa opalina del mattino
E mi risveglio attraverso i tuoi occhi
Rosa d’armatura
E penso attraverso i tuoi seni di esplosione
Rosa di stagno verde di ranocchie
E dormo sul tuo ombelico di mar Caspio
Rosa di eglantina nello sciopero generale
E mi smarrisco nelle tue spalle di via lattea fecondata 
Comete
Rosa di gelsomino nella notte di bucato
Rosa di casa infestata
Rosa di foresta nera inondata di francobolli verdi e azzurri
Rosa di cervi volanti su di un terreno abbandonato ove si battono
I bambini
Rosa di fumo di sigaro
Rosa di spuma marina cristallizzata
Rosa



Aspettare

Illividido dalle grndi placche del tempo
L’uomo avanza come le vene del marmo che vogliono
Procurarsi degli occhiI
I un torrente dove le trote dalla testa di ventilatore
Trascinno carri pesanti di spuma di champagne
Ce nutrono i tuoi capelli di bastione
In cui la parietaria non osa avventurarsi
Per paura di essere divorata
Oltre la grande pianura gelata dove i dinosauri covano
Ancora
Le loro uova da cui non usciranno tulipani di ematite
Ma carovane di ricci dal ventre azzurro
Per la paura di essere ingoiati dalla fontana di fulmini marini
Generata dal tuo sguardo dove volano farfalle impalpabili
Di notte
Vestite di stazioni chiuse ove cerco il segnale di aperto
Senza trovare niente
Meno che ferri di cavallo congelati
Che saltano come un ombrello in un’orecchia
E anatre di ortica fresca
Che pesano come ostriche

Trad. genseki



sabato, dicembre 24, 2016

Alma


Tu alma vidrio detrás del cual veo la fiesta de las sábanas angélicas
Tu alma fuego que consume el romero soñador de inviernos
Tu alma río que bendice las algas celestes
Tu alma viento que sopla de las botellas de los antiguos misterios
Tu alma flor de sauce que emborracha la niebla
Que ríe traviesa al afán de los días
Que sube el monte de nácar con mil deseos a la espalda
Tu alma camelo enamorado de la nieve
Tu alma flecha que atraviesa el espejo y un chorro de noche sale a encoronar el
eucalipto del jardín
Tu alma perfume amargo de la subida a la luna de invierno
Tu alma mi hogar de trigo y de pájaros
Tu alma mi iris en el estuche de terciopelo
Tu alma zorro que salta de la higuera a la estrella de los pastores
Tu alma barro de mi costilla perdida
Guitarra de mis latidos raptado por las gacelas
Mi café de la mañana cuando las últimas estrellas asumen el color del anís
Tu alma trigo de mi olvido
Trepadora de mi memoria
Tu alma es mi cuerpo y el tuyo cubiertos de arena tibia


genseki

venerdì, dicembre 23, 2016

Benjamin Péret

Se il vento lo permette
La speranza saccheggerá le contrade sane
Prossime all'arcobaleno e al Polo della Seta
La contrada ove si concretizzano le visioni degli imenotteri
Dove la speranza degli uni anima l'ardore sessuale degli altri
Ove passo come un dolore periodico
Che stimola l'energia degli insetti dal guscio di vetro


O sospiri insetti d'avvenire
Vi attendo nella macchia che conoscete
Per rivelarvi segreti che vi faranno riflettere
Segreti cosí fluidi che vi scorreranno tra le dita
Come i minuti tra le cosce di una bella donna
E il sole degli insensati
Al sole
A mezzogiorno.


*

Allo

Mio castello in fiamme castello mio inondato dal vino del Reno
Mio ghetto d'iris neri mio occhio di cristallo
mia roccia che cade dal versante per schiacciare la guardi campestre
Mia chiocciola opalina mia zanzara d'aria
Mia coperta di uccelli del paradiso mia chioma di schiuma nera
Mia tomba scoppiata mia pioggia di rane rosse
Mia isola volante mio grappolo turchese
Mia collisione d'auto folli e prudenti mia aiuola selvaggia
Mio pistillo di soffione proiettato nel mio occhio
Mia cipolla di tulipano nel cervello
Mia gazzella smarrita in un cinema di periferia
Mia cassetta di sole frutto mio vulcanico
Riso mio dello stagno nascosto dove finiscono per annegare i profeti distratti
Mia inondazione di cassis mia farfalla di morilla
Mia cascata azzurra come un'onda di fondo che fa nascere la primavera
Mio revolver di corallo la cui bocca mi attira come l'occhio di un pozzo scintillante
Gelato come lo specchio dove tu contempli la fuga dei colibrí del tuo sguardo
Perduto in una vetrina di biancheria inquadrata di mummie

Ti amo.

Trad. genseki

sabato, dicembre 17, 2016

Poesie di genseki

La pioggia leggera che saliva dal mare
La frescura delle palme libere dalla verticalitá del sole
A piccoli passi sembrava godere
dell'umiditá del granito
scalza come la mattina tra le cortine di luce soffusa
dove un gatto dormirebbe volentieri
sudiciamente accoccolato
intorno a se stesso,
il giorno le veniva incontro dal mare
e lei andava incontro al giorno
con i capelli grigi con gli occhi socchiusi
nel fresco dell'alba appena dischiusa
nella stanchezza del vino mal bevuto
il viso accorto teso alla finestra
la brocca nel circolo rosso del lavabo
la pioggia leggera sui tavolini di zinco
Le pagine di un quotidiano abbandonato
Volteggiavano intorno al monumento delle fucine
come una minaccia di oblio.

I gerani sonnecchiavano nei loro vasi
al vertice di tutte quelle scale
e un grasso bruco bianco
strisciavdia sul viadotto tra i neon
sbrecciati (...)
ancora accesi, si stropicciava gli occhi
con i pugni profumati di finocchio
decisa a godere della pioggerella
Della grigia brezza marina
Della focaccia di ceci,
Di un'altra vita ove possibile
Con un altro vestito piú chiaro ancora.

Era risvegliarsi in un mondo di preghiera
un mondo di rose e di usignoli melodiosi
il mondo del rosario, delle vergini
avvolte nelle cappe screziate
con il figlio come il frutto maturo
di qualche albero araldico
il figlio che sarebbe apparso come un sole
nella cavitá del muro di recinzione
tra i rampicanti, il convolvolo
l'edera, la vite, il ribes
un soloe dolce dalla polpa succosa
mentre al limite del bosco,
le volpi maligne come rosse saette
di colpo restavano immoblili
rapprese in un ghigno minerale.

Lui? Lui, invece, era da tempo in cammino
seguiva il muro che separa il porto dalla cittá
un muro di piccoli mattoni rossi

sbrecciato lo appartava dal suo desiderio
limitava l'orizzonte fino a una ampiezza
Che potesse accettare, la vecchia casa
l'aveva perduta con le mimose, l'araucaria
Le spazzole di ricino tra le sbarre della cancellata
La sua stanza al piano terra
All'ombra del ficus, poteva udire il canto
della fontana, le ninfe di pietra grigia
la statua del cervo con le zampe spezzate
Entro pochi metri si sarebbe aperta
la piazza sul mare, il suolo reso lucido dalla pioggia
rifletteva le grandi catene di bronzo del Monumento
I voli sudici dei colombi, i margini delle nubi
sullo sfondo plumbeo del cielo
il mare poteva presentirlo, fiutarlo
come una casseruola di bronzo
verde specchio risonante mescolando odori,
nostalgie, abbandoni, pesava sulle sue palpebre
come pesa il sonno dell'infermo sul vespro ospitale

Anche la sua di preghiera sanguinava
Sanguinava come il nibbio impigliato en biancospino
Come il jacarandá quando tarda il tramonto di aprile
e l'odore dolce dei ceri inebria intorno i pochi
frettolosi passanti, no la sua preghiera non sgorgava
dal pozzo del cuore, non sorgeva dal turgore del bosco
era faticosa litania, monocorde nenia stentata
alla quale si agrappava attraversando a gran passi
i campi di ananas sollevando il volo dei merli
e le proteste delle cicale
pregava con testarda speranza, con vergogna,
con igoranza, con emozione, con commozione,
con disperazione, timidamente pregava,
con scetticismo, con fede, con convinzione,
si arrendeva alla preghiera come al meno peggio
incredulo della pioggerella, che aliviava l'arsura sua
l'arsura delle cose..

Peró, insomma, alla fine aveva fame, e la pioggia
fresca salina impregnava i tavolini di zinco
l'aria dei caffe aperti era densa di muffa e di dolore
oscura e opaca come un crimine attentamente occultato,
e poi come mangiare quando voleva essere degno dei gabbiani,
del salvatore crocifisso, del veliero gonfie le vele
della fresca speranza della virginitá?

O la parola fresca, la parola che naviga l'oceano
la sola parla di speranza che apre la scia e tra la schiuma
la seguono giocondi delfini, azzurrri figli delle libere equazioni
signori delle sfere e della fragilitá marina
dei coralli che sussurrano tra le alghe laboriose,
o la parola la sua parola la sola parola tante volte rinnegata
e ancora altrettante volte parola, parola maturata
Nel ventre della conchiglia, vergine dei pellicani
placton della saggezza dei cetacei.
O la parola morula, feto della parola, parola placenta
Parola ombelicale, amniotico battesimo di ogni grumo
Di affetto
poteva udirla ora nel ticchettio quasi impercettibile
di miliardi di salse goccioline di pioggia
parola per lui solo per i suoi due cuori
e per tutti gli affliiti afflitti di afflizione


Inno alla Madre sua

ora sei benedetta tra le spighe
e marci sulle orme dei santi
eucalipti dorati ti danno ombra
germoglio di madreperla
la tua anima bambina
tu agnella impigliata tra le spine
Il tuo antico dolore instancabile
cesella ora le gioie che ti adornano
e i raggi della luna ti incoronano
verdi scintille i tuoi occhi come foglie
é Sion la tua dimora, tra le tende
dei beduini che salgono al santuario
crescono i virgulti sui tuoi passi sciolti
e l'olio profumato ti impregna i capelli.
Sei una carezza ora alla mia fronte
Perdonami per quello che MI HAI FATTO.


*


La pioggia era solo una speranza
Il sorriso dell'uva un abbaglio
Le nuvole erano cosí basse
Che entravamo e uscivamo
Dalle loro spirali
Come i raggi visuali da uno specchio
Scomparsi i nostri corpi da tutte le foto
Restavano solo i paesaggi:
I Castelli della Loira, il Palazzo dei Papi
La Beauce, il Lago di Como,
A confermare quella sola domanda
Che evitavo di formulare.



Notte di falce notte di leone
Grandinava sugli ultimi tulipani
Dal balcone spargevi ricami di luna
Pallidi come il varco celeste
Il richiamo dolente della mia modestia
La traparenza oscena delle calzette
Tirate sui talloni
Il rigoroso rumore della grandine
Ruggiva sulla pergola in rovina
Autunnale era il panneggio
Della tua tunica del tuo mantello
Con quel fragore di onde
Di opale con i brividi
Degli scarabei smarriti
Angeli artropodi ricamavano il blasone
Delizia d'ombra del fico
Fratello delle alabarde.

*

Afferra il fumo stringilo forte
Non lasciare che scivoli via sul cielo
Ramificandosi insinuandosi
Dissipandosi come un soffio
Agguantalo prima che diventi latte
Cera molle osso poroso
Liberalo da ingiurie allora
Lascia che sia cavo
Come amplesso d'ombre
Nell'occhio del gigante
Del profeta

*

Com'è vuota l'ombra dei limone
Cava e fresca
Nella notte di dicembre
Notte caprina
Nel sibilo angustiato della luna
La madre fugge nel canneto
I colombi neri sono bianchi
I suoi piedi inverdiscono l'erba
Spremono il latte delle radici
L'ultimo rifugo è un battito
Che scava nella paura
L'utero della rinascita.

*

Tutti i tuoi sorrisi messi in fila
Non facevano un volo intero
Non abbozzzavano un balzo
La tua tenerezza era l'estremitá di una malinconia
Una campana smarrita nella neve
La neve che il suo passato rende eterna
Era l'affetto avvinto dalla perdita
La carezza del lutto
La candela di Natale sull'ombra stilizzata del terebinto
Sulla sua ragione spezzata
La tua fermezza un tabernacolo di ferite
Il tremore dell'olio nella lampada
Quando la sua luce si sintonizza con la tua stella.

*

La luna si dirama
Come un ontano
Sui frammenti del greto del torrente
Aspro l'alone della tua mano
Sulla pelle dell'acqua
Con l'altra mi benedici
Come una dispersione.


giovedì, dicembre 15, 2016

Maria la Profetessa



Il Filosofo Ares incontró Maria la Profetessa, la sorella di Mosé, e avvicinandola le disse: - O profetessa, ho sentito dire da molti che possiedi la capacitá di sbiancare la Pietra in un giorno soltanto. E Maria rispose: - Certo Aros anzi mi basta anche solo una frazione di un giorno. Aros disse: - O Maria, Signora, quando compirai l'opera che affermi di poter compiere? Come sbiancare e poi aggiunger negrezza? Disse Maria: - Molto si è detto di questo tra i pagani, forse non sai Aros che esiste un'acqua o una materia che sbianca Henragem? Allora Aros rispose dicendo: - È come dici, ma ci vuole molto tempo. Maria allora rispose: - Hermes in tutti i suoi libri ha detto che i Filosofi sbiancano la Pietra in un'ora.
Aros disse: - come è possibile qualche cosa di tanto eccellente? Maria rispose:
- Sembra anche piú eccellente a chi ignora.
Aros disse: - se si possiedono i quattro elementi, secondo Hermes, i loro fumi si possono completare, tingere, coagulare e ritenere in un giorno fino a consguire i fine che ci si è proposto.
Maria disse: - Oh Aros, se la tua mente e le tue conoscenze non fossero cosí solide non riusciresti ad ascoltare queste mie parole fino a quando il Signore non riempia il mio cuore con la grazia della Sua Divina Volontá, comunque devi prendere l'albume di Spagna, gomma bianca e gomma rossa, che è il Kibric dei Filosofi, e il loro sole e la maggior tintura e sposare gomma con gomma in un autentico matrimonio, rendile come una corrente d'acqua, vetrifica questa acqua che è stata lavorata e trattala per un intero giorno fuori dai due Lubechs, su corpo fisso fino a scioglierla per mezzo del segreto della natura nel calice della Filosofia. Hai inteso bene?
- Si Signora !
    Maria disse: - Trattieni il fumo e stai attento che non si disperda. Che la sua temperatura sia soave come il calore del sole nel mese di Giunio o di Luglio, resta presso il suo calice e trattalo con attenzione mentre vanno crescendo il nero, il rosso e il bianco, per tre ore in una giornata, e il fumo penetrerá nel corpo e lo spirito sará avvinto e saranno come latte, come cera, liquefacendosi e penetrando: questo è il segreto
Aros disse: - Io non diró che sará cosí per sempre.
Maria disse a Aros: - e vi sono cose ancora piú meravigliose rispetto a questo, come il fatto che non era conosciuto dagli antichi, che non apparve come cura o come arte medicinale e che consiste nel cogliere una libbra fresca dell'erba bianca, chiara e onesta che cresce sulle colline, e quasto è il vero corpo che non vola via dal fuoco.


On a Theme by Thomas merton

God's hands 
palpate darkness, the void 
that is Adam's inattention, 
his confused attention to everything, 
impassioned by multiplicity, his despair. 

Multiplicity, his despair; 
God's hands 
enacting blindness. Like a child 
at a barbaric fairgrounds -- 
noise, lights, the violent odors -- 
Adam fragments himself. The whirling rides! 

Fragmented Adam stares. 
God's hands 
unseen, the whirling rides 
dazzle, the lights blind him. Fragmented, 
he is not present to himself. God 
suffers the void that is his absence.

Denise Levertov



giovedì, novembre 03, 2016

Schubert - "Litanei auf das Fest Aller Seelen" Fischer-Dieskau, Moore

Felicity Lott: Litanei auf das Fest Aller Seelen by Schubert

Litanei aus aller Seelen

Rest in peace, all souls
who have had done with anxious torment,
who have had done with sweet dreams
who, sated with life and hardly born,
have departed from this world:
all souls rest in peace!
Those who only sought for comradeship here,
more often wept but never fled
when no one was there to press
their faithful hand with an understanding look:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
Maiden souls, full of love,
whose tears cannot be counted,
whom a false friend has abandoned,
and the blind world has disowned;
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
And the youth, to whom secretly
in early morning, his bride goes,
(for Love lies in the grave)
to carry away the extinguished taper:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
All the souls, who, full of clarity,
became martyrs to Truth,
struggling for sacred faith
but seeking not the martyr’s crown:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
And those who never smiled at the sun,
keeping watch on the thorns beneath the moon,
to see God in the pure heavenly light
and look him just once in the face:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
And those happy ones in the rose garden
tarrying with their joyous cups,
but then, in one horrible moment,
tasting the bitter dregs at last:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
And those who knew no peace
but still had courage and strength to give
on fields strewn with corpses
in a world half asleep:
all who have parted from here,
all souls rest in peace!
Rest in peace, all souls
who have had done with anxious torment,
who have had done with sweet dreams
who, sated with life and hardly born,
have departed from this world:
all souls rest in peace!

Johannes Georg Jacobi