giovedì, ottobre 16, 2008

Il dio disfatto

Non era il mare quello che ci sembrava di ascoltare
Perduto nelle nubi di diossina
Tra l'odore del guano e la tempesta
No, piuttosto era l'orecchio che si apriva al martello
alla risacca dei contraccolpi, all'amaro del litio
Il polpastrello sesibile ai chiodi, al freddo degli spilli
alle capocchie spente dei sali e dei cristalli
Non v'era ala per nessuna sega penna per nessun taglio
Bastavano i suoni d'arpa delle goccioline di sudore
E il profumo da pochi soldi di cui impregnava le sue bende di raso
Per suscitare in me tutto il peso del volo
Non era il mare smarrito tra le imposture
Ma un oceano di pecore morte
Una premonizione di futuro colta in un angolo della mente
Al contemplare un soffitto del tiepolo
E il suo scialle – era vecchia e bionda – al tavolo della terrazza
Il suo occhio che correva tra la sponde delle ali e il vertice della schiuma
Pochi istanti prima di formulare per un istante perfetto
il desiderio sincero di morire...
*
Lesto composto
Lo attendeva l'orchestra
Come l'occhio
Attende la sua lacrima
Come il taglio
La sua gola
Pronta a spiccare
Il salto perfetto
nel suono dei suoi gesti
matematici.
*
Ammorbidisce il fico
Il mezzogiorno desolato
Tra le ragnatele dei capperi
Le froge delle palme
Hanno il presentimento della corsa
Viola nel cielo verde
Sanguina come un cuore
La sua voce
Fino all'ultima nota
All'albumina
*
Osceno come un lombardo guardo i miei passi sulla sabbia
Nel fuscio di piume di una mandria di gallinelle
Rabbioso come un veneto schivo le pozze di latte fresco
E stiro le labbra contro i denti ad annusare l'odore della pece
Dell'odio dell'olio di oliva della pelle verde
Della carne bruciata della cenere della mia civiltá
Sono cristiano per una sola bestemmia
Per una sola ustione di disprezzo prego
Il mio dio disfatto
*

mercoledì, ottobre 15, 2008

Gabriel de Tarde

Il testo che segue è la prima parte della traduzione del testo del sociologo francese Gabriel de Tarde "Fragment d'histoire future", credo che sia la prima traduzione italiana di questo testo per tanti versi straordinario e dimenticato.
Su Gabriel de Tarde ritorneró nei giorni prossimi

Frammento di storia futura

Fu verso la fine del secolo XXV dell’era preistorica, un tempo detta cristiana, che avvenne, come si sa, la catastrofe inattesa da cui procedeono i nuovi tempi, il felice disastro che ha costretto il fiume straripato della civiltá a sprofondare nella terra per il bene dell’uomo. Racconteró brevemente questo grande naufragio e il salvataggio insperato operato cosi’ rapidamente in pochi secoli di sforzi eroici e trionfanti. Beninteso, passeró sotto silenzio i fatti particolari che sono conosciuti da tutti e non mi dedicheró che alle grande linee di questa storia. Prima di tutto, peró conviene ricordare in poche parole il grado di progresso relativo al quale l’umanitá era giá giunta, nel suo periodo esteriore e superficiale, alla vigilia di questo grande avvenimento.

La prosperitá

L’apogeo della prosperitá umana, nel senso superficiale e frivolo della parola, sembrava raggiunto. Da cinquant’anni, il consolidamento definitivo della grande confederazione asiatico-americano-europea e il suo incontrastato dominio su quanto restava ancora qua e la, in Oceanía e nell’Africa Centrale, di barbarie non assimilabile, aveva abituato tutti i popoli, convertiti in province, alle delizie di una pace universale e ormai imperturbabile. C’erano voluti non meno di centocinquant’anni di guerre per giungere a questo risultato meraviglioso. Tutti quegli orrori erano stati dimenticati; e tante spaventose battaglie tra armate di tre e quattro milioni di uomini, tra treni dai vagoni corazzati, lanciati a tutto vapore sparando da tutti i lati gli un contro gli altri, tra squadre di sottomarini che si folgoravano elettricamente, tra flotte di palloni blindati, arpionati, scoppiati da torpedini aeree, precipitati dalle nuvole con migliaia di paracaduti bruscamente aperti che si mitragliano ancora cadendo insieme; di tutto questo delirio bellicoso, non restava che un poetico e confuso ricordo. L’oblio è l’inizio della felicitá, come la paura è l’inizio della saggezza.

Per una straordinaria eccezione, i popoli, dopo questa gigantesca emorragia, non godevano il torpore della spossatezza, ma la calma di una forza accresciuta. Ció si spiega. Da circa un secolo, i consigli di revisione, rompendo con la routine cieca del passato, sceglievano con cura i giovani piu’ validi e ben fatti per esonerarli dal servizio militare diventato del tutto automatico, e inviavano sotto le armi, tutti gli infermi, ben sufficienti per il ruolo extremamente semplificato del soldato e persino del sottuficiale. Era una selezione intelligente, e lo storico non puo’ mancare di lodare con gratitudine questa innovazione, grazie alla quale l’incomparabile bellezza del genere umano attuale si è venuta pian piano formando. Effettivamente quando ora guardiamo, dietro le vetrine dei nostri museo di antichita’, le raccolte singolari di caricature che i nostri avi chiamavano i loro album di fotografie, possiamo constatare l’immensita’ del lavoro compiuto, sempre che noi discendiamo davvero da quei mostriciattoli e da quegli omuncoli, come attesta una tradizione rispettabile.

Da questa epoca data la scoperta degli ultimi microbi, non ancora analizzati dalla scuola neo-pasteuriana. Una volta conosciuta la causa, il rimedio non tardó, e a partire da allora un tisico, un artritico, un qualunque malato e’ diventato un fenomeno tanto raro come un tempo lo fu un mostro duplice oppure un mercante di vino onesto; è da allora che si è perduto il ridicolo uso di quelle domande sulla salute che riempivano le conversazioni dei nostri antenati: “Come sta? Come va?” La miopía soltando aveva continuato la sua triste marcia stimolata dalla diffusione straordinaria dei giornali; non una donna o un bambino poteva fare a meno del pince-nez. Questo inconveniente, del resto momentaneo, e’ stato largamente compensato dai progressi che ha fatto fare all’arte degli ottici. Con l’unita’ politica che sopprimeva le ostilita’ dei popoli, si aveva l’unita’ linguistica che cancellava rapidamente le ultime diversita’. Dal XX ecolo, il bisogno di una lingua unica e comune, come il latino del Medio Evo, era divenuto abbastanza intenso tra gli scienziati del mondo intero da deciderli a usare in tutti i loro scritti un idioma internazionale, Dopo una lunga rivalita’ tra l’inglese e lo spagnolo, fu il greco che, dopo la sconfitta dell’Impero Inglese e la ripresa di Costantinopoli da parte dell’Impero Elleno-Russo, si impose definitivamente. Poco a poco, o piuttosto con la celeritá propria di tutti i progressi moderni, il suo uso discese, di strato in strato, fino ai gradi piú umili della società, e dalla metá del XXII secolo, non ci fu piú nessun bambino, tra la Loira e l’Armur che non si esprimesse facilmente nella lingua di Demostene. Qua e la alcuni villaggi sperduti in valli di montagna si ostinavano ancora, malgrado i divieti dei maestri a storpiare il vecchio dialetto chiamato un tempo francese, tedesco, italiano, ma nelle grandi cittá una cosa del genere avrebbe scatenato le risate.

Tutti i documenti del tempo sono d’accordo nell’attestare la velocitá, la profonditá, l’universalitá del cambio che si operó nei costumi, nelle idee, nei bisogni, in tutte le forme della vita sociale livellata da un polo all’altro, come conseguenza di questa unificazione del linguaggio. Pareva che fino ad allora il corso della civiltá fosse stato bloccato, e che per la prima volta, rotte tutte le dighe, si diffondesse senza sforzo per tutto il globo.
Gabriel de Tarde
Fragment d'histoire future
Trad. genseki

lunedì, ottobre 13, 2008

 
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La arance

Le arance si avvolgevano in gomitoli di sillabe calde
Si avvolgevano in luminosi fili liquidi in gomitoli sonori
Ma furono le palme a nitrire per prime scuotendo le criniere
Taglienti come spade mentre la cittá tardava a svegliarsi
Dal sogno delle frane di nebbia.
Il suo occhio verde
Il solo
Gonfio d'acqua e di sali di cromo
Mi catturó poi nella sua orbita
Con tanta voglia di vomitare e un gomitolo di vapore
Nelle schegge di quelle che furono le mie viscere
e che io continuavo a stringere con dita convulse
Fusoliere gomitoli di criniere nella luce fresca
Della nebbia e delle arance
Conficcandomele nei polpastrelli
Sotto le unghie
Perché franava la mia vista
Nel burrone
Definitivamente sprovvista d'altro suono.
...

Paco Yunque - Ultima parte


Yunque lo avrebbe deto alla mamma e se Umbertino lo picchiava lo avrebbe detto al maestro, ma il maestro non gli faceva niente all'Umbertino. Allora lo avrebbe detto a Paco Farina. Disse a Paco Farina:
A te ti picchia l'Umbertino?
A me? Che ci provi soltanto! Gli do un pugno sul muso, io che gli faccio sputare sangre! Ma guard un po'! Che ci provi soltanto! Che ci provi e vedrá! Lo dio alla mamma! E verrá mio papá e gli dará un pugno sul naso a lui a suo padre e a tutti quanti!
Paco Yunque ascoltava spaventato quello che diceva Paco Farina. Davvero avrebbe picchiato Umertino? E suo papá avrebbe picchiato sul serio il signor Grieve? Paco Yunque non poteva crederlo, l'Umbertino non lo picchiava nessuno. Se Farina lo picchiava sarebbe venuto il padrone a picchiare Farina e anche il papá di Farina. Il padrone avrebbe picchiato tutti. Perché faceva paura a tutti. Perché il signor Grieve era molto duro e stava sempre comandando. E tutti quelli che andavano a casa sua avevano paura e obbedivano sempre al padrone e alla padrona. Insomma il signor Grieve era piú forte del maestro e di tutti quanti gli altri. Paco Yunque guardava il mestro che scriveva alla lavagna. Chi era il maestro? Perché era tanto serio e faceva tanta paura? Yunque continuava a guardarlo. Non era come suo padre e il signor Grieve. Sembrava cme quegli altri signori che venivano a casa a parlare con il apdrone. Aveva la nuca arrossata e il suo naso sembrava moccio di tacc
Tunque comnichino. Le sue scarpe facevano risss-risss-risss-risss quando camminava molto.
Yunque cominciava a essere inquieto. Quando era l'ora di andare a casa? L'umnertino lo avrebbe picchiato all'uscita dalla scuola. E la mamma di Paco Yunque gli avrebbe detto all'Umbertino: “No signorino, per favore non picchi Paquito. Non sia tanto cattivo. E nient'altro”. Paco avrebbe avuto le gambe piene di lividi per i calci dell'Umbertino e si sarebbe messo a piangere. Perché all'Umbertino non gli avrebbe fatto niente nessuno. E il padrone e la padrona amavano molto Umbertino e Paco Yunque aveva molta pena perché l'Umbertino o picchiava molto. A tutti, ma propio a tutti, facevano parua, Umbertino e i suoi genitori. Tutti, tutti, tutti. Anche il maestro, la cuoca, sua figlia. Mamma. Venanzio con il so grembiale. La Maria che lava gli orinali. Ruppe un orinale in tre grandi pezzi. Il padrone picchiava anche il padre di Paco Yunque? Che cosa brutta era questa del padrone e dell'Umbertino. Quando avrebbe finito, il maestro, di scrivere alla lavagna?
Bene! - disse il maestro, smettendo di scrivere. - Ecco qua l'esercizio scritto. Adeeso tirate fuori tutti il quaderno e copiate quello che sta sulla lavagna. Bisogna copiarlo esattamente uguale.
Nel quaderno? - domandó timidamente Paco Yunque.
Si, nel quaderno – rispose il maestro. - Lei sa scrivere un po'?
Sissignore papá mi ha insegnato in campagna.
Molto bene. Tutti a copiare, allora.
I bambini tirarorno fuori i loro quaderni e si misero a copiare l'esercizio che il professore aveva scritto sulla lavagna.
Non dovete stancarvo – diceva il maestro. Bisogna scrivere poco a poco, per non sbagliare.
Umberto Grieve domandó:
Si tratta dell'esercizio scritto dei pesciolini?
Si, forza, tutti a copiare.
L'aula si fece silenziosa. Si poteva udire il fruscio delle matite. Anche il maestro si sdette in cattedra e si mise a scrivere su certi suoi quaderni.
Umberto Grieve, invece di copiare il suo esercizio, si mise a scarabocchiare sul suo quaderno. Lo riempí completamente di disegnini di pesci, di pupazzetti, e di quadrettini. Nell'ultima pagina disegnó questa figura:
Dopo un po' il maestro si fermó e chiese:
- Allora, avete finito?
Bene – disse il maestro – scrivete ben chiaro il nome in fodo alla copia.
Proprio in quel momento suonó la campana della ricreazione.
I bambini cominciarono subito a far gazzarra e uscirono correndo in cortile.
Paco Yunque aveva copiato molto bene il suo esercizio e andó in cortile con il suo libro, il quaderno e il lapis.
Nel cortile arrivó subito Umberto Grieve e afferró Paco Yunque per un braccio dicendogli con collera:
Vieni a giocare.
Lo spnse con forza in mezzo al cerchio e fece cadere il libro, il quaderno e il lapis.
Yunque faceva quello che gli ordinava Grieve, ma era tutto rosso e vergognoso perché glin altri bambini vedevano come lo trattava Umberto. Paco Yunque aveva tanta voglia di piangere.
Paco Farina, i due Zuniga e altri bambini circondavano Umberto Grieve e Paco Yunque. Il bambino magrolino e pallido raccolse il libro, il quaderno e il lapis di Yunque, ma Umberto Grieve glieli strappó via con la forza, dicendogli:
Lasciali! Non ti immischiare, Paco Yunque è il mio servo!
Umberto Grieve portó in classe le cose di Paco Yunque e le mise nella sua cartella. Poi ritornó nel cortile per giocare con Paco Yunque. Lo prese alla nuca e lo fece piegare e mettersi a quattro zampe.
Resta così, tranquillo e non muoverti finché io non te lodica.
Umberto Grieve si ritiró a una certa distanza e si mise a correre da lì per saltare su Paco Yunque con una mano appoggiata sulle sue spalle e dandogli un violentissimo calcio nel sedere. Tornó ad allontanarsi e a saltare su paco Yunque dandogli un altro calcio. Stette a giocare cosí a lungo, Furono piú o meno venti salti e venti calcioni.
Poii, di colpo si udí un pianto. Era Yunque che stava piangendo per i calcioni dell'Umbertino. Allora Paco Farina uscí dal cerchio che avevano formato i bambini e si piantó davanti a Paco Yunque dicendogli:
No! No! Non ti lascio saltare sopra Paco Yunque!
Umberto Grieve rispose minaccioso:
Oh! Paco Farina! Ti spacco la faccia!
Farina peró non si muoveva e restava teso davanti a Grieve dicendogli:
Siccome è il tuo servo lo picchi, gli salti sopra e lo fai piangere, salta e vedrai!
I due fratelli Zuniga abraccaiarono Paco Yunque e gli dicevano di non piangere e lo consolavano:
Perché lasci che ti tratti cosí? Picchialo! Saltagli sopra anche tu! Perché lo lasci fare? Non essere vigliacco! Basta! Non piangere! Adesso andiamo a casa!
Paco Yunque contunuava a piangere e le sue lacrime sembravano affogarlo.
Si formó un gruppo attorno a Paco Yunque e un altro attorno a Umberto Grieve e a Paco Farina.
Grieve diede uno spintone brutale a Farina e lo buttá a terra. Giunse un alunno piú grande, del secondo anno e difese Farina, dando un calcio a Grieve e un altro alunno ancora maggiore, uno del terzo difese Grieve dando uno sberlone furioso a quello del secondo. Per un certo tempo piovvero calci e ceffoni tra i bambini, una vera rissa.
Suonó la campana e tutti i bambini ritornarono nelle loro aule.
Paco Yunque lo trascinarono per le braccia i fratelli Zuniga.
Nell'aula di Prima regnava un gran chiasso, quando entró il maestro tutti tacquero di colpo. Il maetro li vide tutti molto seri e disse con voce militare:
Seduti
Rumore di banchi cartelle e tutti gli alunni già stavano seduti.
Allora il maestro si sedette ala sua cattedra e chiamó i bambini in ordine alfabetico perché consegnassero le copie con gli esercizi scritti sui pesci. Mano a mano che il maestro riceveva le copie le andava leggendo e scrivevav i voti in alcuni libri con una matita.
Umberto Grieve si avvicinó al banco di Paco Yunque e gli restituí il linro, il quaderno e la matita. Prima, peró, aveva strappato la pagina sulla quale stava l'esercizio di paco Yunque e vi aveva messo la firma.
Quando il maestro disse: - Umberto Grieve -, questo presentó l'esercizio di Paco Yunque come se fosse il suo.
E quando il maestro disse. - Paco Yunque -, egli si mise a cercare nel suo quaderno la pagina sulla quale aveva scritto il suo esercizio e non la trovó.
La ha persa o non ha fatto proprio l'esercizio? - chiese il maestro.
Paco Yunque non sapeva che cosa era capitato alla pagina del suo quaderno e pieno di vergogna, restó in silenzio e abbassó il capo.
Bene, - disse il maestro e annotó in uno dei suoi libri la mancanza di Paco Yunque.
Poi vennero tuti gli altri a consegnare ciascuno il proprio esercizio. Quando il maestro ebbe visto il lavoro di tutti, ecco, improvvisamente entrare il Direttore della Scuola.
Il maestro e i bambini si misero in piedi con rispetto. Il Direttore guardó come se fosse arrabbiato gli alunni e disse ad alta voce:
Seduti!
Poi chiese al maestro.
Lei sa giá chi è l'alunno migliore di questa classe, hanno giá fatto l'esercizio settimanale di classificazione?
Si, Signore, hanno appena finito di farlo e Umberto Grieve ha avuto il voto più alto.
Dov'é il suo esercizio?
Eccolo qua, signor Direttore.
Il maestro cercó tra i fogli degli alunni e trovó l'esercizio firmato da Umberto Grieve. Lo diede al Direttore che esaminó a lungo la copia.
Molto bene – disse il Direttore, contento-
Salì in cattedra e guardó severamente gli alunni. Poi disse con la sua voce un poco roca ma energica:
Di tutti gli esercizi che avete fatto, il migliore è quello di Umberto Grieve. Cosí il nome di questo bambino sará scritto nel Tabellone d'Onore di questa settimana, come l'alunno migliore del primo anno. Venga fuori Umberto Grieve.
Tutti i bambini guardarono ansiosi Umberto Grieve che uscì pavoneggiandosi e si fermó dritto e orgoglioso davanti alla cattedra del maestro. Il Direttore gli diede la mano e gli disse:
Molto bene, Umberto Grieve, felicitazioni. Tutti i bambini dovrebbero essere così. Molto bien.
Si rivolse, poi, agli altri alunni e disse loro:
Tutti voi dovete fare come Umberto Grieve. Devono essere buoni alunni come lui. Devono studiare e applicarsi come lui. Devono essere seri, educati e rispettosi come lui. E cosí facendo riceverete tutti un premio alla fine dell'anno e anche i vostri nomi saranno scritti nel tabellone d'onore della Scuola come quello di Umberto Grieve. Speriamo che la settimana prossima ci sia un altro alunno che si comporti bene e faccia un buon esercizio come quello che ha fatto Umberto Grieve. Lo spero proprio.
Il direttore restó un po' in silenzio. Tutti gli alunni erano pensierosi e guardavano Umberto Grieve con ammirazione! Che forte l'Umberto! Che buon esercizio ha fatto!
Proprio buono! Il migliore di tutti! Anche se arriva tardi! E se picchia tutti! Peró lo vedevano coi loro occhi! Aveva stretto la mano al direttore! Umberto Grieve, il migliore di tutti quelli di Prima.
Il Direttore si congedó dal maestro, fece un cenno agli alunni che restarono immobili per salutarlo e uscí:
Poi il maestro disse:
Seduti!
Rumore di banchi. Gli alunni stavano seduti.
Il maestro ordinó a Grieve di ritornare al suo posto. Umberto Grieve, molto allegro, tornó al suo posto e passando davanti a Paco farina gli fece una linguaccia.
Paco Farina diss a bassa voce a Paco Yunque:
Guarda, il maestro sta scrivendo il tuo nome nel suo libro, perché non hai presentato l'esercizio. Guardalo! Ti dará una punizione, resterai qui a scuola senza poter ritornare a casa. Perché hai strappato il tuo quaderno? Dove lo hai messo?
Paco Yunque non rispondeva niente e restava con la testa bassa.
Eddai! - Ripeteva Paco Farina – Rispondi! Perché non rispondi? Dove lo hai lasciato l'esercizio?
Paco farina si chinó per sbirciare il volto di Paco Yunque e vide che stava pinagendo.
Piantala! Non pinagere! Non devi star male! Vieni andiamo a giocare con la mia scacchiera! Ci sono le torri nere! Piantala! Non fare lo scemo! Non piangere.
Paco Yunque continuava a piangere accoccolato.

giovedì, ottobre 09, 2008

Cesare

Morire di giovedi, Cesare
Nell'acquazzone, a Parigi
Perchè non si ha piú la forza
Di trascinare tante stanze d'albergo
Nelle tasche del cappotto
E nemmeno di trascinare le tasche
Piene di pezzetti di rabbia e di mondo
Torsoli di dolore
Morire di sera a Parigi, un giovedi
Mentre piove
E la tua cagnetta bianca
Rabbiosa morde quello che resta della tua caviglia
Perché hai impegnato tutte le tue ossa
Per comprare quel tavolo di noce
Al quale apparire seduto per sempre
In camicia perfettamente bianca
Mentre scrivi versi su giovedi
e su quelli che muoiono soli

Sestri

Di Sestri ora ricordo tante corde
Corde di canapa, corde vere, secche o umide
Amiche del palmo della mano
Fino a ferirlo
Di Sestri ricordo corde e corde
Non quelle dei panni stesi
Solide corde intrecciate, invece,
Come devevano essere i capelli delle paesane
Quando l'uomo ancora esisteva e a Sestri c'erano fiumi
Uno si chiamava Chiaravagna
Che scendevano tra le canne e i fichi fino alla riva del mare
Io non mi ricordo i fiumi, mi ricordo di corde e corde
Anche esse serpeggianti come gli orbetti dei torrentelli
E la luce ricordo
Tra corda e corda
Lavare una a una le crose
Appena sveglia liberata dal lenzuolo azzurro del mare

mercoledì, ottobre 08, 2008

andava spegnendosi in me

Genova e la sua leggenda andavano spegnendosi in me
Non si ramificavano in episodi secondari non mettevano
Foglie né gemme resinose.
Soltanto il mare restava, restava laggiú lontano e definito
Come un mattone immenso di cobalto e di rame
Pesante sul destino di tutti coloro che respirano
Rendendo lenti, e viscosi gli aloni di tutte le anime
Genova e la sua leggenda si spegnevano
Si spegnevano in me in una fugace rincorsa di platani
In alberi maestri abbandonati nei campi di giugno
In un mare di grano, in ondeggianti sottovesti bianche
Avanzavano gli ultimi mattini di Genova con passo
Da top model dimentichi di blasoni e di grifoni
Di spille da balia e di cammei
E anche io andavo spegnedomi nei viaiai delle risacche
Mi spegnevo in Genova e in me lasciando che mare
E schiuma scalzassero il grande fico dell'orto
Sotto il quale sedeve Bertin il patriarca fumando con un grillo
Sulla spalla respirando con profonda soddisfazione
L'odore del fruttosio e quello del letame.

Soria della Calligrafia Cinese

Breve documentario della televisione cinese dove si parla anche di Wang Xizhi e della sua calligrafia nel parco delle peonie

Storia della calligrafia cinese Zhi Yong (VI sec. d.C.)


Zhi Yong fu discendente di settima generazione del grande mestro Wang Xizhi. Non seguì la tradizione della sua famiglia i cui componenti erano tutti grandi funzionari dello stato o uomini politici ma preferí entrare in un monastero.
Nella torre del monastero Yong Xin Shi nella cittá di Wu Xing nello Zhe Jiang per trenta anni, senza interruzione si dedicó a studiare il Xingshu Qianziwen dell'avo Wang Xizhi e si dice che giunse a copiarlo fino a ottocento volte.
Distibuiva le copie che realizzava nei monasteri lungo lo Yangzi perchè serviseero da modello per tutti coloro che si dedicavano a questa arte.
Attraverso questo duro esercizio giunse ad assimilare perfettamente la maestria e la purezza ineguagliabili di questo testo il cui titolo significa: “Poema di mille caratteri”. Si tratta di un'opera composta durante il regno dell'Imperatore Wu di Liang da Yin Tie Shi e Chu Xin-tu che trassero mille caratteri dalle opere di Wang Xizhu e li ricopiarono poi uno ad uno su fogli separato. Questi fogli furono poi riuniti in modo da formare un poema dotato di senso di versi cuadrisillabi rimati.
Il piú grande calligrafo dell'epoca che era Xiao Cu-yun, realizzó una copia del poema sulla carta e questa copia fu poi incisa su una stele per ordine dell'Imperatore.
Tutto questo lavoro ricevette come ricompensa il sigillo imperiale con il carattere Chi.
Il carattere fu apposto sulla prima edizione cartacea.
Il sigillo contenente il carattere Chi significa che la calligrafia realizzata contiene innovazioni sia nella composizione sia nel tratto.
Nessuno dei mille caratteri del poema si ripete nel testo.
Zhi Yong è considerato come un anello di passaggio tra la calligrafia tradizionale creata dal suo antenato Wang Xizhi e quella della dinastia Tang..
Dei suoi caratteri è stato detto che sembrano caduti dal cielo senza lasciare tracce del movimento del pennello.
Ci sono giunte solo due copie delle sue opere che si trovano oggi in una collezione privata di Kyoto.

A cura di genseki

martedì, ottobre 07, 2008

Cesar Vallejo - Poeta Peruano, parte 1

Questa è la prima parte di un documentario sulla vita di Cesar Vallejo. Il post precedente è il seguito del racconto Paco Yunque

Paco Yunque


Farina disse a Paco Yunque:
Tuo papa non c'ha il grano?
Paco Yunque ci pensò su e si ricordó di aver visto una volta sua mamma con qualche peseta in mano e disse a Farina:
Anche mia mamma c'ha il grano.
Quanto? - chiese Farina.
Anche quattro peseta.
Farina disse al maestro a voce alta:
Paco Yunque dice che anche sua mamma c'ha i soldi.
Bugia! - rispose Umberto Grieve – Paco Yunque dice le bugie, sua mama fa la serva a lla mia e non c'ha niente.
Il professre prese il gesso e si mise a scrivere alla lavagna dando le spalle ai bambini.
Umberto Grieve, aprofittando del fatto di non esssere visto dal professore, fece un saltó, diede uno strattone ai capelli di Paco e ritornó di gran carriera al suo banco. Paco Yunque si mise a piangere.
Che cosa succede – disse il professore, girandosi per vedere quello che succedeva.
Paco Farina disse:ç
Grieve gli ha tirato i capelli, signor maestro.
Nossignore – disse Grieve -. Non sono stato io. Se non mi sono mosso!
Bene, bene! - Disse il maestro - Silenzio! Stia zitto Paco Yunque! Silenzio
Continuó a scrivere sulla lavagna e poi chiese a Grieve:
A tirarlo fuori dell'acqua, che cosa gli capita al pesce?
Se en va a vivere nel mio salotto – rispose Grieve.
E i bambini giù a ridere di 'sto Grieve che non sapeva un tubo. Paensava solo a casa sua, al suo salotto, al suo papá e alla sua grana. Diceva sempre fesserie.
Vediamo un po', Paco Yunque -, disse il professore – Che cosa capita al pesce se lo tiriamo fuori dall'acqua?
Paco Yunque, che stava ancora un po' piangendo per lo strattone ai capelli che gli aveva dato Grieve, ripeté tutto d'un fiato quello che aveva detto il professore:
Fuori dall'acqua i pesci muoiono perché gli manca l'aria.
Esatto! Diceva il maestro -, molto bene.
Si rimise a scrivere alla lavagna.
Umberto Grieve colse l'occasione un'altra volta e andó a dare un pugno in bocca a Paco Farina, poi con un salto tornó al suo posto. Farina invece di mettersi a piangere come Paco Yunque disse ad alta voce al maestro:
Signor maestro, Umberto Grieve mi ha appena picchiato!
È cosí Signore! È proprio cosí - dicevano i bambini tutti insieme.
Un brusio terribile cresceva nell'aula.
Il maestro diede un pugno sulla cattedra e disse:
Silenzio!
Nell'aula si fece silenzio e ogni alunn stava nel suo banco serio e ben diritto, guardando ansiosamente il maestro. Questi sono i casini dell'Umberto Grieve! Ecco quello che capitava per colpa sua! Stiamo a vedere adesso come va a finire con il mestro che era tutto rosso di rabbia e per colpa di quel Grieve!
Che caos è questo ? - chiese il maestro a Paco Farina.
Paco Farina, con gli occhi brillanti di rabbia diceva:
Umberto Grieve mi ha dato un pugno e io non gli ho fatto niente.
È cosí, Grieve?
Nossignore – disse Umberto Greieve -. -Non lo ho picchiato io.
Il maestro guardó tutti gli alunni sena sapere che pesci pigliare- Chi dei due diceva la veritá? Farina o Grieve?
Chi lo ha visto? Chiese il maestro a Farina.
Tuttti, Signor Maestro? Anche Paco Yunque lo ha visto.
È vero quello che dice Farina? Chiese il maestro a Yunque.
Paco Yunque guardó Umberto Grieve e non osó ripspondere, perché se diceva di si, Umbertino lo avrebbe picchiato all`uscita. Yunque non disse niente e abasso il capo.
Farina disse:
Yunque non dice niente, Signor maestro, perché Umberto Grieve lo picchia, perché è il suo servo e vive in casa sua.
Il maestro chiese agli altri bambini:
Chi altri ha visto quello che dice Farina?
Io signor Maestro! Io! Io!
Il maestro tornó a domandare a Grieve.
Allora è proprio cosí, ha picchiato Farina?
No, Signor Maestro, non che non l'ho picchiato.
Attento a mentire Grieve, Un bambino perbene non deve dire le bugie!
No, Signore, non l'ho picchiato.
Va bene, Le credi, so che Lei non dice bugie, mai. Bene. Peró stia attento da ora in poi.
Il maestro si mise a passeggiare, pensoso, e tutti gli alunni continuavano circospetti e diritti nei loro banchi.
Paco Farino borbottava come se volesse mettersi a piangere:
Non lo castigano perché suo papá è ricco, Lo vado a dire alla mamma.
Il maestro udí e si piantó incollerito davanti a Farina dicendogli ad alta voce:
Ma cosa dice. Umberto Grieve è un buon alunno. Non dice le bugie, non disturba nessuno. Per questo non lo punisco. Qui tutti i bambini sono uguali, figli di ricchi e figli di poveri. Castigo anche i figli dei ricchi. Se ripete queste cose lo castigheró con due ore di reclusione. Mi ha capito bene?
Paco Farina e Paco Yunque curvarono la schiena. Sapevano tutti e due che Umberto Grieve gli aveva picchiati e che era un gran bugiardo.
Il maestro riprese a scrivere alla lavagna.
Perché non hai detto al maestro che Umberto Grieve mi ha picchiato?
Perché cosí poi mi picchia.
Perché non lo dici a tua mamma?
Cosí mi picchia anche lei e la padrona si irrita.
Mentre il maestro scriveva alla lavagna. Umberto Grieve faceva i disegnini sul quaderno.
Paco Yunque stava pensando a sua mamma. Poi si ricordo della padrona e di Umbertino. Lo avrebbero picchiato a casa? Yunque guardava gli altri bambini che non picchiavano né Yunque né Farina e nessuna altro e non volevano neppure trascinarlo al loro banco come voleva fare Umbertino. Perché Umbertino faceva cosí con lui?

giovedì, ottobre 02, 2008

Wang Xizhi


Storia della calligrafia cinese - Wang Xizhi (303 - 379)

Discendendente da una famiglia nobile del Nord della Cina, devota al taoismo, non giunse mai ad occupare cariche importanti nell'amministrazione, tutte le sue ambizioni le poneva nell'arte.
La sua carriera professionale la inizió nella grande biblioteca imperiale ma viaggio molto, anche in luoghi remoti dell'impero, per svolgere missioni e compiere incarichi di non soverchia importanza.
Alla vita nei grandi centri amministrativi e del potere preferì sempre la calma della natura.
Nel 355 si dimise da funzionario per stabilirsi nella cittá di Kuaiji dove aveva svolto il suo ultimo incarico.

Non ci sono giunti esemplari originali della sua calligrafia, le copie in pietra, tuttavia, furono modelli sublimi per secoli.
Il padre lo avvió a questa disciplina, egli con gli zii era calligrafo e uomo di stato. Undici generazioni della famiglia Wang si distinsero nell'amministrazione e nella calligrafia.

Wang Xizhi e il suo circolo di amici erano soliti discutere di temi inerenti al buddismo e al taoismo, comporre poesie, musica e realizzare calligrafie, immersi nella natura.
Il circolo passó alla storia grazie a una calligrafia che Wang Xizhi realizzó alla fine di uno di questi incontri nel "Padiglione delle Orchidee", in essa narra come il gruppo di amici seduti sulle due sponde di un ruscelletto discutessero di filosofia. Avevano deciso che chi fosse capace di cogliere una delle coppe di vino che le camare lasciavano in balia della corrente su foglie di loto dovesse comporre una poesia.

Le principali opere di Wang Xizhi sono:

Shi Qu Tie di 23 fogli che reca il sigillo di approvazione imperiale dell'imperatore Taizong
Yue Yi Lun
Huang Jing Jing
Dong Fang Shi Hu Zan
Lang Ting Shu calligrafia del padiglione delle peonie.

A cura di genseki

mercoledì, ottobre 01, 2008

Gramsci e l'islam II


Assenza di un clero regolare che serva da trait-d'union tra l'Islam teorico e le credenze popolari. Bisognerebbe studiare bene il tipo di organizzazione ecclesiastica dell'Islam e l'importanza culturale delle universitá teologiche (come quella del Cairo) e dei dottori. Il distacco trai intellettuali e popolo deve essere molto grande, specialmente in certe zone del mondo musulmano: cosí è spiegabile che le tendenze politeiste del folklore rinascano e cerchino di adattarsi al quadro generale del monoteismo maomettano ...
Il fenomeno dei santi è specifico dell'Africa settentrionale ma ha una certa diffusione anche in altre zone. Esso ha la sua ragione di essere nel bisogno (esistente anche nel Cristianesimo) popolare di trovare intermediari tra la divinitá e gli uomini; gli intellettuali (sacerdoti o dottori) avrebbero dovuto mantenere questo legame attraverso i libri sacri; ma tal forma di organizzazione religiosa tende a diventare razionalistica e intelletualistica (cfr. il protestantesimo che ha avuto questa linea di sviluppo) , mentre il popolo primitivo tende a un misticismo prprio, rappresentato dall'unione con la divinitá con la mediazione dei santi (il protestantesimo non ha e non puó avere santi e miracoli); il legame tra gli intellettuali dell'Islam e il popolo divenne solo il “fanatismo” che non puó essere che momentaneo, limitato, ma che accumula masse psichiche di emozioni e di impulsi che si prolungano in tempi anche normali. (Il cattolicesimo agonizza per questa ragione: che non puó creare, periodicamente, come nel passato, ondate di fanatismo; negli ultimi anni, dopo la guerra, ha trovato dei sostituti, le cerimonie collettive eucaristiche che si svolgono con splendore fiabesco e suscitano relativamente un certo fanatismo: anche prima della guerra qualche cosa di simile suscitavano, ma in piccolo, su scala localissima, le così dette missioni, la cui attivitá culminava nell'erezione di un'immensa croce con scene violente di penitenza, ecc.)
Questo movimento nuovo dell'Islam è il sufismo. I santi musulmani sono uomini privilegiati che possono, per speciale favore entrare in contatto con Dio, acquistando una perenne virtù miracolosa e la capacitá di risolvere i problemi e i dubbi teologici della ragione e della coscienza. Il sufismo organizzatosi a sistema de esternatosi nelle scuole sufiche e nelle confraternite sufiche e nelle confraternite religiose, sviluppó una vera teoria della santitá e fissó una vera gerarchia di santi. L'agiografia popolare è più semplice di quella sufica. Sono santi per il popolo i piú celebri fondatori o capi di confraternite religiose; ma anche uno sconosciuto, un viandante che si fermi in una localitá a compiere opere di ascetismo e benefici portentosi a favore delle popolazioni circostanti, può essere proclamato santo dalla pubblica opinione, Molti santi ricordano i vecchi idoli delle relligioni vinte dall'Islam.

Quaderno 5 (IX) 46 bis

martedì, settembre 30, 2008

Calligrafia

Il giorno 19 del secondo mese dell'era Dali ho avuto occasione di assistere, presso l'intendente Yuan Chui a Guizhou, alla rappresentazione della "Danza della Spada" eseguita dalla dodicesima Signora Li originaria di Linying. Pieno di ammirazione per la alta qualitá della sua arte gli chiesi chi fosse stato il suo maestro. Mi rispose: - sono discepola della Signora Gongsun. Mi ricordai, allora, che nel terzo anno dell'era Kaiyuan, quando ero ancora bambino, vidi danzare la Signora Gongsun a Yancheng. I suoi movimenti, gli ampi mulinelli si inanellavano in una metamorfosi continua caratterizzata da un ritmo virile e involvente e questo faceva di lei la migliore danzatrice della sua epoca. Tra tutte le danzatrici delle due scuole di corte Yichun e Liyuan, fin dai Tempi del Grande Imperatore Saggio e del Grande Conquistatore, non si faceva che parlare di lei, si discuteva slo della sua arte e della sua bellezza. Adesso che ho i capelli bianchi e che anche la sua discepola non è più giovanissima, il nostro incontro mi ha rivelato che la grande tradizione comporta un solo lignaggio.
Emozionato per l'evocazione del tempo passato ho composto il "Canto della danza della spada".

Un tempo Zhang Xu eccelleva nella calligrafia; avendo ammirato a piú riprese la "Danza della spada di Xiha" eseguita dalla signora Gongsun, la sua scrittura proggredí enormemente. Possiamo immaginare in che modo il suo stile emozionante e potente si sia ispirato all'arte della grande danzatrice.

Du Fu

trad genseki

lunedì, settembre 29, 2008

Lankavatara Sutra

La parola e la Realtá


Le parole e i discorsi sono prodotti dalla legge di causa e di effetto e sono condizionati reciprocamente da essa – non possono esprimere la Realtá. Anzi, nella Realtá non ci sono differenze che possano essere discriminate e non c'è niente che possa essesre proclamato o affermato relativamente ad essa. La Realtá è uno stato di estasi sublime, non è uno stato di discriminazione e di parola e non si puó entrare in questo stato per mezzo di semplici dichiarazioni intorno ad esso.
*

venerdì, settembre 26, 2008

Frammento della consapevolezza dell'Uno

Riposavano così un corpo su di un altro
Minerali e unghie, branchie e capelli misurandosi riposavano
Sopprattutto là dove apparivano le lande delle crepe
E la densitá dei corpi rendeva massima la distanza
Riposavano cosí nel corpo a corpo, mano per occhio
Dente per coltello avvolti nell'alone dei fiati
poteva capitare che generassero campi di piume
per il resto riposavano uno sull'altro
ogni abito sul suo monaco, ogni piaga a portata del suo dito
ogni crepa nella sua guaina, ogni corpo disabitato
accanto al fagottino dei suoi panni.

giovedì, settembre 25, 2008

L'eone dogmatico IV


Lucian Blaga

La dialettica

La dialettica antica, di Eraclito è troppo metaforica, quella diProclo troppo mitologica per servire da modelli decisivi di questo specie di pensiero: sceglieremo, invece, alcuni esempi del filosofo che portó il pensiero dialettico ad un livello tale che difficilmente sará possibile che possa proggredire ulteriormente. ... Solo in Hegel appare la dialettica per quanto possibile libera da contaminazione con altre forme di pensieri e pienamente cristallizzata dal punto di vista metodologico. ...
Quello che interessa soprattutto in uno studio dedicato al pensiero dogmatico è l'idea hegeliana di concetto concreto. Il pensiero dialettico opera, secondo Hegel, con concetti concreti. Cercare di determinare questi concetti significa, in fondo, esporre proprio il metodo dialettico. I concetti concreti, espressione espressione sommaria de azzeccata di un metodo, non sono concetti nel senso classico della parola. Rappresentano un tipo di costruzione sui generis, di carattere centaurico, ibrido.
Il “concetto concreto” è un costrutto che si avvale tanto dei privilegi dell'astrazione come dei vantaggi della concretezza. Un esempio tra cento possibili è il concetto concreto di “divenire”, preso come concreto e considerato in tale qualitá dal punto di vista astratto-logico, acquista uno strano aspetto di tensione interna, di problemático, sfiorando l'impossibile; considerandolo più da vicino sotto l'aspetto puramente logico, si suddivide in componenti contraddittorie che si escludono reciprocamente. Lo stesso concetto concreto di “divenire”, preso come astratto e visto in questa condizione dal punto di vista “concreto”, si presenta come qualche cosa in perfetto equilibrio, libero da difetti e da qualunque tensione interna, come un tutto solidale al suo interno. Qualunque concetto concreto puó essere scomposto, dal punto di vista logico-astratto, in momenti che si oppongono, qualunque concetto concreto comporta da questo punto di vista formule antinomiche, rappresenta, nel concreto, una sintesi possibile di momenti astratti contradditori. L'antinomia inesistenza-esistenza, alla quale riducimo il concetto concreto di “divenire”, dal punto di vista astratto, è annullata nella sintesi da una totalitá concreta (alla quale sul piano concettuale corrisponde proprio il concetto di “divenire”). Il concetto concreto, come voleva Hegel e come deve essere in ogni sistema dialettico, non si identifica completamente né con il momento astratto né con quello concreto intuitivo; è una formazione per sé, intermedia, o, se così vogliamo chiamarla: centaurica. Un cosiddetto concetto concreto, riflesso nello specchio del logico astratto, si presenta come antinomia; riflesso nel concreto si presenta come sintesi di momenti escludentisi: “Non sarebbe difficile, dice Hegel, mostrare l'unitá di nulla e di esistenza in qualunque atto o pensiero... A proposito dell'esistenza e del nulla si deve affermare che nulla v'é nel cielo e sulla terra che non contenga esistenza e inesistenza” Perché tutto è divenire. Ció che logicamente pare impossibile, antinomico, paradossale, risulta possibile e sintetico una volta concretamente realizzato. Il concreto è il gran campo in cui si risolve qualunque paradosso dialettico. (unitá dei contrari).
Comparato con i paradossi dialettici, il paradosso dogmatico presenta una natura distinta. L'antinomia dogmatica si differenzia da quella dialettica per il fatto che esclude la sintesi nel concreto. Mentre la sintesi dialettica puó essere conosciuta concretamente, la sintesi dogmatico è in contrasto con il concreto. Tutta la struttura, articolazione e configurazione del concreto rigetta l'accordo con l'antinomia dogmatica. Il concreto che, per il paradosso dialettico costituisce il campo supremo della giustificazione si oppone, invece, al paradosso dogmatico. La sintesi antinomica può essere perfettamente concepita con l'aiuto del concreto: “inesistenza+esistenza=
divenire”. Lo stesso concreto, tuttavia, si oppone in modo definitivo e categorico a una sintesi di contenuto come questa: “una sostanza puó perdere sostanza restando comunque integra”. I paradossi dogmatici non sono tali solo sul piano logico come quelli dialettici ma anche sul piano della concreteza. La conoscenza no offre la soluzione del paradosso dogmatico; essa postula la trascendenza.
Se le antinomie dogmatiche si potessero davvero sovrapporre a quelle dialettiche, ci sarebbero tanti dogmi quanti concetti concreti ci sono, poiché ogni concetto concreto ammette, per Hegel, formulazioni antinomiche. Tuttavia conosciamo soloun numero ridotto di dogmi (nel senso che abbiamo dato a questa parola). Solo i pensatori che hanno edificato i propri sistemi sullo scheletro della dialettica possono sostenere che il dogma è una sorta di dialettica embrionaria, un principio, una prima fase. I due tipi di pensiero differiscono essenzialmente. La formulazione dogmatica è una categoria a parte. La relazione della dialettica con ilconcreto è completamente distinta da quella dogmatica.
...
La sintesi dogmatica si trova in radicale disaccordo e fisso con il concreto, non per il fatto di riferirsi alla trascendenza ma indipendentemente da questo. Ci sono tante tesi metafisiche che si riferiscono alla trascendenza, senza per questo essere dogmatiche, ovvero in contrasto con il concreto. I concetti usati nei dogmi, sono concetti comuni, con corrispondenze concrete o pensabili concretamente nell'immaginazione (“persona”, “essere”, “sostanza”, “numero”, “natura”, “essenza”, etc.); il dogma distorce le relazioni logiche inerenti a questo concetti, in modo tale che risulta impossibile una sintesi nel campo del concreto; per questo si postula che la sintesi abbia luogo nella trascendenza.
traduzione e adattamento di genseki

mercoledì, settembre 24, 2008

furu ike ya


Furu ike ya

Furu ike ya
Kawazu tobikomu
Mizu no oto

*

Antico stagno
Vi salta una rana
Rumore d'acqua.

Basho

***

Furu ike ya
Kawazu oiyoku
Ochiba kana

*
Antico stagno
Una rana si allontana
Cade una foglia

Buson

***

Furu ike ya
Sonogi tobikomu
Kaeru nashi

*

Antico stagno
Da allora non salta piú
Nessuna rana

Bosai

***

Ara ike ya
Kawazu tobikomu
Oto mo nashi.

*

Nel nuovo stagno
Salta una rana
Non fa rumore´

Ryokan

martedì, settembre 23, 2008

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Alla fine mi lasciai cadere

Alla fine mi lasciai cadere
e il mare era nero
e la notte era mare
e il sospiro delle fronde
di tutte le foreste
era la carezza di mia madre
tra la schiuma salina
e il profumo immenso
delle rose
l'abisso d'acqua
era notte
la notte acqua
dall'altro lato
non c'era piú niente
*

22/09/08
23:30:35

lunedì, settembre 22, 2008

Le visecere del tramonto, altri frammenti

Le viscere del tramonto, altri frammenti
formano questo romanzo giovanile
Dove una parte importante è lasciata agli agrumi
Al loro sostituire l'acqua per uno sguardo assettato.
Il mio allora era uno sguardo diverso
Dal tuo e anche dal mio come ferito dalle schegge del tramonto
Condividevamo la compassione per i picoli cadaveri dei limoni
Stelle mancate tra l'erba che gli accoglieva
Come fosse notte, secchi e raggrinziti come facce di neonati
E ci rimanevano solo le spine
Spine di limone come ghirlande coagulate
A ferire i tuoi occhi, appunto, e i miei spenti,
come fossero schegge di tramonto.

*

Avevo dimenticato allora cosa fosse piangere
All'accartocciarsi inopinato e improvviso
Di una foglia di limone
Una foglia, non una fiamma
Come un lampo, un tempo verde,
Si rivelava in un istante volto
D'infante morente.

*

Poi furono le stelle stremate a declinare
Come grandine sulle arterie dei tramonti.

*
21/09/08
22:50:42

giovedì, settembre 18, 2008

Nel ventre del verbo

Nel ventre del verbo fummo
tessuti di fiato da morula a feto
fissati in volute di sensi a cascata
di suoni salivali saziato ogni intersitizio
il verbo gonfiava le gote di vento
e sputava - il verbo - tutti questi pulcini
Noi, gli altri io incatenati per il collo
Da una parola che gocciolova senso
Sulle corde vocali dell'intento.

mercoledì, settembre 17, 2008

Benché stringesse le nocche

Benché strngesse le nocche
Fini a farsi bianche e gli infissi
costretti nelle feritoie
si lamentassero striduli
le ginocchia non si rifiutarono di sorreggerlo
nel passo dopo passo del dolore
disperso come un aroma tra costola e costola.
Ma non erano nuvole?
Avvolte variopinte alle pupille
Seccavano le lacrime insipide
Al tatto ovattate.
L'aroma della mente si fece insidia
pizzicando le squame dell'ossigeno
Prima che potesse vedere attraverso
Il suo sguardo.
*
Finalmente pensó invertebrato
Poi lisca luminosa
Lingua succhiata dal salino
Sciroppo bava bevve
E fu pesce
Nell'astrazione dell'azimut.
*
A ogni spina trafisse una foglia
Secernere chitina fu l'oggetto
Dei buoni propositi serali
Mentre goccia dopo goccia
La clorofilla residua si convertiva
In collagene, in verbena
In cartilagine.
*

lunedì, settembre 15, 2008

Lelio Luttazzi e Gorni Kramer - Carosello 1957

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Poesie di Maresa

Delle meraviglie dei mondi
il picco più alto, sulla cima innevata,
dove urla il fragore senza suono, lì,
sul ponte che unisce gli emisferi,
sale la dolcezza dell'incontro,
diavoli e diavoli rosso porpora
in un crescendo di manichee lo sguardo
che li inquadra fuori dal sogno,
finalmente viventi.

*
eccomi nella terra,
dorme la
tartaruga dal guscio giallo,
di case la città è piena,
verdi, gialle, rosa,
come un pensiero in embrione.

*
Dorme tranquillo il canto,
aspetto che si risvegli,
barcollo come un giovane barbagianni
venuto alla luce.

martedì, settembre 09, 2008


Eiheikoroku di Dogen Zenji II

Il rumore dell'onda
Che si frange suli scogli
Il fragore dei marosi
Dell'Oceano Infinito

È la fede, è il volto di Kannon
Che appare.

Solo guardare
I monti celesti
Dalla finestra degli occhi

a cura di genseki

Eiheikoroku di Dogen Zenji I

La nostra bella amicizia si manifesta
Nel Santo Volto
È il Santo Volto a creare la nostra Dignitá.

Allora è così che mi rivelgeró al mio ospite:

"Se desideri comprendere Kannon,
Sappi che non dimora
Sulle montagne di Hozara.

a cura di genseki

domenica, settembre 07, 2008

 
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Giacomo e Teresa

La casa è ancora vuota
È rimasta vuota e bianca nel vuoto dei miei ricordi
In una grande cassa c'era la legna
In uno scrigno prezioso gioielli per il gusto
dei bambini o dei pettirossi
Lui indossava sempre una tuta blu
O forse una giacca grigia
Ricordo adesso che ciondolava la testa
e aveva un dolce sorriso da idiota
Lei indossava qualche vestito di cotone stampato
E scialletti grigi
come pellicce di topolini del Reno
doveva essere davvero brutta
Forse quasi nana
Ma portava sul naso magici occhiali azzuri
Che illuminavano il vuoto
Con un mare di fronde
appena mosse dal vento
Dietro le lenti anche gli occhi erano grigi
Parlavano
- Non ricordo nemmeno di averli uditi parlare -
Con parole lumache
Le loro sillaba lasciavano scie d'argento viscoso
Nell'atmosfera umida d'autuno
Della loro cucina.
Non so bene chi fossero
Tornai da Milano per salutarli.
Parlai loro di Auerbach e della filologia romanza
Mi congedai
Avvolto dal loro silenzio
Continuando a non sapere bene chi fossero
Morirono dopo una duplice dolorosa agonia
La loro sofferenza
È incomprensibile e imperdonabile
Come quella degli animali.

venerdì, settembre 05, 2008

 
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Felissa

L'ultimo dei nostri autunni

L'ultimo dei nostri autunni
Fu ancora capace di agganciarci
Con fili sottili di perle
Filigrane di carpe
Davanti alle vetrine di legno
Delle botteghe dei ricordi
La tua mano era quella riflessa
Tra la colomba imbalsamata
E la torta di ricotta
La tua bocca, quella che non baciai
Nella luce azzurra della lampada
Che friggeva le mosche.

*

Felissa

Felissa era un angelo amaro
Custode della chiave dei pini
Custode della chiave delle conifere
E del mal di gola
Felissa e il suo scialletto nero
Gli occhi duri
Gli occhiali gialli
Felissa come le felci
Con iride a pastiglia valda
E fiato di eucalipto
Ricordo che mi parlave di San Biagio
Mentre con gli occhi cercavo le muscarie
Che sole mi avrebbero salvato
Dalla durezza dei suoi occhi giall
*

lunedì, luglio 28, 2008

Henri Corbin

L'Islam e le eresie cristiane

I passi che seguono sono tratti dall'opera di Henri Corbin sulla Filosofia Islamica. Si tratta di un tentativo di definire le differenze principali tra Islam e Cristianesimo sul piano teologico e su quello filosofico.
Nel quadro metodologico tracciato da Lucian Blaga nella sua opera "L'eone dogmatico" l'Islam sembrerebbe rappresentare la rivincitá del filone mitico-razionalista su quello "dogmatizzante".
La differenza tra Islam e Cristianesimo sarebbe quella tra una visione della religione compatibile con la ragione e una trascinata nel vortice del dogmatismo con le sue aporie e le sue abbaglianti contraddizioni.
L'Islam appare in questo quadro come l'erede diretto dell'adozionsmo e dell'arianesimo. Sembra sorgere dalla fermetazione dei resti compressi e schiacciati delle grandi eresie di massa dei secoli dei Padri.

Il fenomeno del Libro santo ha suscitato strutture corrispondenti nel cristianesimo e nell'Islam; ma, nella misura in cui differisce il modo di accostarsi al senso vero, situazioni e difficoltá differiscono da una parte e dall'altra.
Assenza nell'Islam del fenomeno Chiesa. Nell'Islam, cosí come non esiste un clero detentore dei “mezzi della grazia”, non esiste un magistero dogmatico, né un'autoritá pontificia, né un Concilio che definisce i dogmi. Nel Cristianesimo, a partire dal II secolo, con la repressione del movimento montanista, il magistero dogmatico della Chiesa si è sostituito all'ispirazione profetica e piú generalmente alla libertá di un'ermeneutica spiituale. D'altra parte il nascere e l'evolversi della coscienza cristiana annunciano essenzialmente il risveglio e lo sviluppo della coscienza storica. Il pensiero cristiano è centrato sul fatto avvenuto nell'anno I dell'era cristiana; l?incarnazione divina segna l'ingresso di Dio nella storia. Di conseguenza, il tema su cui la coscienza religiosa si concentrerá con crescente attenzione sará quello del senso storico identificato col senso letterale, col senso vero delle Scritture.
¨
L'allegoria è inoffensiva, il senso spirituale puó essere rivoluzionario
La coscienza religiosa dell'Islam è centrata non su un fatto della storia, ma della metastoria (che significa non post-storico ma trans-storico). Questo fatto primordiale, anteriore al tempo della nostra storia empirica, è costituito dalla domanda rivolta da Dio agli Spiriti degli esseri umani preesistenti al mondo terrestre “non sono forse il vostro Signore?” (Cor. 7/171) l'acclamazione di gioria che risponde a questa domanda suggella un patto eterno di fedeltá de è la fedeltá a questo patto che i profeti sono venuti, di periodo in periodo, a ricordare agli uomini; la loro successione forma il “ciclo della profezia”. Da ció che hanno enunciato i profeti risulta la lettera della religione positiva
¨¨
I pensatori islamici non vedono il mondo in evoluzione in un senso rettilineo orizzontale, a in ascensione: il passato non è dietro di noi, ma sotto i nostri piedi.
Ali Ibn Abu Talib:
Non esiste alcun versetto coranico che non abbia quattro sensi: l'essoterico (zahir), l'esoterico (batin), il limite (hadd), il disegno divino (mottala). L'essoterico è per la recitazione orale; l'esoterico per la comprensione interiore; il limite sono gli enunciati che stabiliscono il lecito e l'illecito; il disegno divino è ciò che Dio si propone di realizzare nell'uomo con ogni versetto”.
Hadith: “Il Corano ha un'apparenza esteriore e una profonditá nascosta, un senso esoterico e un senso essoterico; il senso esoterico nasconde a sua volta un senso esoterico (questa profonsitá ha una profonditá, a immagine delle Sfere celesti racchiuse le une nelle altre; cosí di seguito fino a sette sensi esoterici.
Il piú antico commento spirituale del Corano è dunque costituito dagli insegnamenti impartiti dagli Imam sciiti durante i loro colloqui con i discepoli. E sono i principi della loro ermeneutica che i sufi hanno raccolto.
A cura di genseki

Lucian Blaga

L'eone dogmatico III


L'apparizione del dogmatismo con Filone non restó un fatto isolato. Nei secoli animati da vane aspirazioni di egemonia universale che seguirono, le idee dogmatiche sorsero con insperata abbondanza.
(...) Il cristianesimo che stava creando la sua dottrina, si lasció fecondare dall'ellenismo come era naturale. Nella sua iniziale purezza non avrebbe mai potuto aspirare all'universalitá che finí per conquistare piú tardi. Le idee cristiane assimilarono tutto quello che vinsero. Vinsero concedendo. Il processo di fusione tra l'insegnamento evangelico, la concezione crisologica di Paolo e le idee del mondo pagano dura qualche secolo. Nella formazione delle diverse concezioni teologico cristologiche si distinguono generalmente due tendenze, una mitica e raziocinante e un'altra dogmatica. Cioè una tendenza che organizza il materiale cristologico-teologico in accordo con l'intelligenza umana, e un'altra che lo fa in disaccordo con l'intelligenza postulando una trascndenza delle funzioni logiche. Evidentemente la seconda tendenza non derivava da un principio cosciente di domatizzazione. Tuttavia è altrettanto sicuro che questa tendenza speciale, e finalizzata, è stata seguita con impressionante consequenzialitá nel processo storico di cristalizzazione della dottrina cristiana dalla Chiesa, ogni volta che sorgevano nuove idee che esigevano una decisione.
Gli storici laici inclinano generalmente a pensare che la storia delle idee cristiane è espressione di una lotta naturale tra idee diverse, con il trionfo finale di alcune di esse contro alcune altre per mezzo della forza delle correnti che erano rappresentate da questi conflitti. Secondo questa poinione avrebbe potuto risultare vincente ora un'idea mitico-razionalizzante, ora una dogmatica. Costoro non vedono, nell'evoluzione della dottrina cristiana, nientaltro che il gioco di forze del momento, e no una forza determinante la forma di lungo periodo, qual è la tendenza dogmatizzante. Gli storici cristiani ufficiali, al contrario, si sforzano di dimostrare che le idee definitive della Chiesa vinsero, perché secondo il piano divino seguito dal divenire del cristianesimo, queste idee, date implicitamente nell'insegnamento evangelico, dovevano vincere.
(...)
C'è un fattore determinante di rivelazione, non divino, ma del tutto naturale nella storia dei dogmi, che è costantemente ignorato nonostante si manifesti con evidenza. Si tratta di una tendenza, che potrtemmo chiamare, in mancanza di un termine migliore, “nisus dogmaticus”.
Questo “nisus” ... ebbe un ruolo non solo formativo, ma anche uno di incosciente principio di selezione tra le idee che sorgevano sul terreno del pensiero teologico-filosofico. L'evoluzione delle idee teologiche cristiane non è tanto casuale come vorrebbero alcuni, ma nemmeno tanto poco evolutiva come pretenderebbero altri, specialmente i teologi che gli attribuiscono un tipo di preesistenza in quanto veritá date anche se inaccessibili. Il divenire delle idee teologiche è piú lineare i quello che desiderebbero gli storici laici e piú libera di come la vorrebbero i teologi.
(...)
Analizzando i dibattiti e le dispute intorno alle idee cristaine, si evidenzia il fatto che, almeno nelle sue tappe principali, un fatto curioso: finirono sempre per imporsi quelle idee, che, dal punto di vista dell'intelligenza umana sono le piú inesplicabili. Una comparazione tra le grandi eresie e i dogmi ufficiali che si fornularono contro di esse o indipendentemente da esse dimostra che le eresie sono piú prossime, maggioritariamente a un accordo con l'intelletto, e che contro di esse trionfó sempre l'impossibile e il bizzarro. La storia del pensiero cristiano non consiste solo nella lotta tra idee differenti, di cui alcune vinsero come avrebbero potuto vincere altre se avessero goduto di una piú forte e piú cntinua propaganda. No. Perché si imposero sempre in modo schiacciante e senza eccezzioni, quelle più dogmatiche nella loro struttura interna.
All'epoca del Padri della Chiesa si procede a una selezione tra le idee propostee dai vari creatori di formule, a una scelta che segue un precetto inconscio, ma ostinato. Le loro preferenze si orientano sempre verso il dogmatico “intenso”. Le formule meno dogmatiche o niente affatto dogmatiche, restano in secondo piano o scompaiono.
(...)
La dottrina cristiana, nei suoi primi intenti embrionari di sistemazione, così come veniamo scoprendoal nei pensatori della metá del secondo secolo, ha un aspetto che ricorda solo vagamente i dogmi fissati dai primi sinodi ecumenici (Nicea e Costantinopoli). Questi pensatori, che si videro, per circostanze indipendenti dalla loro volontá, nella situazione, per loro estremamente penosa, di formulare un pensiero, solo per la necessitá di prendere posizioni apologetiche di fronte ai pensatori pagani molto piú esperti nel maneggiare concetti astratti, anche se avevano poca esperienza, fecero tuttavia i primi passi nella direzione della dogmatizzazione della dottrina cristiana. Era una fase in cui si muovevano alla cieca cercando di erigere segnali che potessero servire per orientare. Il modo in cui cercavano di compere questo dovere ce lo mostra in modo impressionente Taziano, Egli considerava il Logos come la prima opera del Padre. Il Logos non godeva quindi di una grande considerazione. In quanto alla relazione tra il Logos e il Padre, Taziano sembra preoccuparsi solo dell'integritá del Padre. Tutte le sue preoccupazioni si concentrano nello sforzo di salvare l'idea del Padre, come esistenza che non è alterata per l'apparizione da lui o attraverso di lui. Taziano è colui che adatta la filosofia di Filone alle necessitá del sistema in divenire del cristianesimo. Non era molto, ma era qualcosa.. I pensatori come Taziano aprivano il corso delle dogmatizzazioni cristiane venture. Di fronte alle dogmatizzazioni iniziali, la tendenza mitico-razionalizzante, sgorgó con piú vigore. Nella fase iniziale della dogmatizzazione della dottrina cristiana ebbe luogo nel quadro del cristianesimo, la riforma monumentale di Marcione. Il coraggioso, originale e ispirato Marcione soteneva l'esistenza di due Dei, quello dell'Antico Testamento (il Testamento della Carne): cioé, il Demiurgo, il creatore del Mondo; e Gesú Cristo (incarnazione del “Dio ignito”), il Dio del Nuovo testamento, delle Spirito che prende il posto del Dio antico privandolo definitivamente della sua sensorialitá. Il cristianesimo di Marcione, essenzialmente evangelico, include tesi dottrinali relativamente prive di difficoltá logiche, limpide e non dogmatiche. L'energica riforma di Marcione si era diffusa in grandi masse di fedeli e minacciava di distruggere per sempre il dogmatismo cristiano ai suoi esordi. Eppure, il marcionismo fu sconfitto dalla corrente dogmatizzante, molto piú timida e dai risultati piú modesti. Questo trionfo della dogmatizzazione sul non dogmatico è la miglior prova del fatto che la dogmatizzazione rispondeva ad alcune profonde necessitá spirituali dell'epoca. Il primo scontro tra il dogmatico, per di piú imperfetto, e la corrente mtico-razionalizzante terminava con la vittoria del primo. Qualche cosa di analogp capiterá poi con l'insegamento di Ario, quando il dogmatismo entró in guerra per la seconda volta contro il logco. Tuttavia prima dell'eresia di Ario dobbiamo soffermarci su di un'altra tappa della dottrina cristiana.
È interessante vedere come a volte, tradu concezioni piú o meno mitico-razionalizzanti, si impone quella che apre un maggior numero di prospettive dogmatiche senza essere dogmatica in sé. Un esempio in questo senso lo offre il principio stesso della cristologia. Due insegnamenti si diputavano l'egemonia: quello “pneumatico” e quello adozionista. Per i pneumatici Cristo era un essere dalla natura divina “incarnata”. Per gli adozionisti era un profeta elevato per grazia di Dio alla dignitá divina. L'adozionismo sosteneva una tesi molto semplice, di carattere definitivo, e non permetteva nessun ulteriore sviluppo, non poteva evolvere, era come un cristallo dagli spigoli taglienti. Diverso è il caso del pneumatismo. La sua tesi era logica, ma la sua natura embrionaria poteva anche svilupparsi in senso illogico. La dottrina pneumatica, anche se non poteva rappresentare senza correzioni importanti, il punto di vista ultimo della chiesa, poté frenare l'adozionismo. Quest'ultimo era certamente piú accettabile per la logica umana, ma nella stessa situazione si trovava anche, piú o meno, il pensiero pneumatico, piú ricco di gran lunga in prospettive dogmatizzanti, comedimostró proprio l'evoluzione posteriore della dottrina cristologica ufficiale. La tesi sull'incarnazione in una persona di un essere di natura divina, anche se logica in sé, costituiva un ammirevole sostrato per tutta la flora dogmatica di corolle antinomiche del futuro; cosa che non si puó dire delle tesi adozioniste che avrebbero proibito qualunque ulteriore possibilitá futura di dogmatizzazione. Se si fosse accettato l'adozionismo non si sarebbe mai giunto ai dogmi di indole antinomica, costruiti con tanta passione dalla chiesa cristiana.
Trad. genseki

giovedì, luglio 17, 2008

Lucian Blaga

L'eone dogmatico II

Compariamo l'idea di sostanza prima dei filosofi greci e l'aspetto che le diede Filone. Dicevamo che Eraclito ammetteva una sostanza primaria, della quale una parte si trasforma nel mondo. Questa tesi se non la confrontiamo con l'esperienza scientifica e la consideriamo solo come un enunciato che non esige altro contorllo che quello della sua logica interna, risulta chiara e intellegibile. Gli stoici sostenevano che la sostanza primaria nella sua totalitá si converte in mondo. De è una tesi tanto chiara e intellegibile come l'altra. Non ci sono contraddizini interne nel corpo logico di questi enunciati. Ció che è perduto da un lato è guadagnato dall'altro. La simmetria interna di qeuste tesi è suffciente. Come si spiega l'attitudine di Filone? Perché egli non accettó la formula precisamente bilanciata del pensiero greco?
Formato nella concezione del monoteismo giudaico per il quale l'inalterabilitá della divinitá era una pietra angolare, debe esersi chiesto: “che razza di divinitá è mai quella che sparisce parzialmente o completamente degradandosi? Nel seno della divinitá, come egli la concepisce secondo la tradizione ebraica, non si poteva ammettere scomparsa o degradazione. Dio che si riveló ai profeti per il suo solo attributo esistenziale deve essere conservato in tutta la sua pienezza. Nel caso della divinità non restava nessuna possibilitá per parlare di diminuzione, esaurimento o frammentazione. Tuttavia Filone si trova obbligato ad ammettere l'emanazione d alcune esistenze secondarie della divinitá (per esempio il Logos). Queste esistenze secondarie possono derivare da alltra cosa che dalla sostanza primaria? Chiaramente no. Due affermazioni antitetiche si impongono quindi a Filone. Da una parte doveva ammettere una divinitá qualitatitavemente quantitativamente inalterabile e dall'altra l'emanazione da essa di esistenze secondarie. La difficoltá che avrebbe sprofondato un altro in uno scetticismo irrimediabile fu per Filone occasione di un'eroica decisione. Egli si decise per la sintesi: ci sono emananzioni della divinitá ma la divinità non è menomata da nessuna di esse. L'intelletto prese posizione cosí, per la prima volta nella storia, per accettare coscientemente una formula che, indipendentemente dalla sua relazione con la realtá, era antinomica in sè, visto che non puó essere pensata interamente nel mondo dell'astrazione logica e neppure in quello concreto.
L'idea dogmatica dell'emanazione, una volta enunciata, divenne un luogo comune dell'epoca. Gli gnostici, in genere, ammettevano un'infinitá di emananzioni della divinitá, senza che questo en significasse la polverizzazione. Un eco della stessa idea si stabilizzó in seguito anche nella dogmatica cristiana: la idea che il Figlio procede dal Padre senza che questi soffra diminuzione o degradazione non è nientaltro che un lontano ricordo della concezione di Filone relativamente all'emanazione. Il contributo di Filone all'introduzione del dogma nella coscienza del suo tempo non si limita a questo. Un'altra idea seminale di alcune importanti elaborazioni dogmatiche posteriori sorge per la prima volta nel suo pensiero. Egli ammette una serie di potenze che emanano dalla divinità; ma sostiene anche che queste potenze non spezzano la sostanza divina nella sua unitá ma restano in essa, in eterna unitá con essa. Si tratta di una nuova formula dogmatica, che contiene un conflitto di termini, irrealizzabile sul piano logico o su quello intuitivo: la separazione tra alcune esistenze derivate e l'esistenza originaria, nella quale, tuttavia, le esistenze derivate seguono relamente unite con quella originaria.
“In che maniera queste potenze formino un'unitá in Dio, questo è il grande mistero”. Filone lo ammette. Questa dichiarazione, cosí esplicita, dimostra in modo sufficiente che la sua affermazione “dogmatica” non era una contraddizione involontaria, bensí una formula, anche se contradditoria, enunciata come tale in modo cosciente. L'atto di Filone non puó essere considerato come sincretismo nel senso peggiorativo del termine, come una di quelle sintesi insensate che sorsero in quell'epoca; esso, al contrario, equivale a un'invenzine spirituale. Un'invenzione spirituale alla quale riconosciamo il merito di essere la prima manifestazione di un nuovo modo di pensare, distinto fondalmentamente distinta dai metodi precedenti. Solo il fatto che il dogmatismo trovo la sua piena e piú ricca cristalizzazione formale e di contenuto nel cristianesimo, e il pregiudizio derivato da qui che il dogma sia una manifestazione esclusivamente cristiana, impedí che Filone fosse considerato il solo pensatore dogmatico.
Si comprenderá, anche dai pochi esempi di pensiero dogmatico che abbiamo menzionato fino ad ora, che in questo saggio non considereremo il dogma nel senso che la teologia cristiana da a questa parola. Per la teologia il dogma è “formula di fede” (accettata dai sinodi ecumenici esclusivamente per pretesa rivelazione), che fa parte della dottrina della Chiesa, che superi o non l'intelletto umano. Per noi il “dogma” è, per il momento, qualunque enunciato intellettuale che in radicale disaccordo con l'intelletto postula la trasecendenza dall logica. Questo indipendentemente dal sistema metafisico in cui lo si incontra. Non condizioniamo il dogma alla sua accettazione senza controllo da parte di una comunitá. Il dogma, in quanto oggetto di questo saggio, cioé dal punto di vista puramente intellettuale, è dogma per la sua struttura interna e non per l'atteggiamento delle persone in relazione ad esso, e nemmeno per le sue relazioni con una qualsiasi collettivitá. Non si definisce per mezzo di qualche cosa di esterno ad esso. Un dogma potrebbe non essere accettato da nessun altro oltre al suo autore, e ciononostante restare un dogma per la sua struttura.. In prima approsimazione delimiteremo il dogma esclusivamente attraverso la natura del suo conflitto con le funzioni abituali dell'intelletto.

mercoledì, luglio 09, 2008

Panaït Istrati


Incontrai Panait Istrati a Mosca. Una atmosfera da accampamento militare regnava quel giorno nella citta imbandierata. Come me era stato invitato dall'Unione Sovietica alle grandi manifestazioni del decimo anniversario della Rivluzione. Non lo avevo mai visto prima, ma conoscevo i suoi racconti, pieni di passoine, di sangue, di grida di angoscia e la sua vita eroica e avventurosa.
Jorge Valsamis, contrabbandiere di Cefalonia, un uomo inquieto, un amante del pericolo, dominato dall'insaziabile piacere della marginalitá che hanno gli abitanti della sua isola, aveva conosciuto a Braila Zoitsa Istrati, una bella e robusta romena, che naturalmente battezzó con il nome di Gerassimos, tipico degli uomini della sua isola natale. Tuttavia piú tardi finirono per chiamarlo Panayotakis o Panait.

Valsamis morí quando Panait era ancora in fasce e sua madre, tenera e lavoratrice si diede da fare come serva e lavandaia per poterlo educare. Sognava di dargli un0istruzione e di sposarlo con qualche brava ragazza perché diventasse un giorno – a Dio piacendo – un buon padre di famiglia romeno.

Nelle vene del bambino peró scorreva il sangue ardente di Cefalonia. Non appena ebbe compiuto dodici anni abbandonó sua madre e cominció la sua vita di vagabondo.
Ebbe fame, si ammaló e dormì in strada. Si nascose a volte nelle stive, altre nei vagoni o sui camion e percorse cosí l'Egitto, la Svizzera e l'Italia. Lo bruciava una sete insaziabile di vivere, di vedere e di gustare tutte le allegrie e tutte le pene che l'uomo puó sperimentare su questa terra.
Nel corso dei suoi vagabondaggi legge letteratura russa,ascolta storie orientali e i racconti della mille e una notte. Lavora lo stretto necessario per non morire di fame come sguattero muratore, e, alla fine sulla costa azzurr, fotografo ambulante a Nizza.

Un giorno di gennaio del 1921, stanco della fame e del dolore, decide di uccidersi. Due anni prima aveva scritto una lettera di venti pagine a Romain Rolland, in cui spiegava la sua necessitá di ascoltare una voce amica e di stringere la mano di un vero uomo.
Incontrare un amico fu sempre il piú ardente desiderio di Istrati. Piú dell'amore, delle ricchezze e della gloria è l'amicizia che ha occupato nella sua vita e nella sua opera il posto piú importante, darsi ad un amico che si desse a lui e intraprendere insieme, inseparabili la grande avventura della vita. Spesso era caduto in questa dolce trappola, gli amici, peró, lo avevano tradito e Istrati si era trovato solo nel deserto umano. Disperato, scrisse, quindi al suo padre spirituale, che stava in piedi, solitario, puro, nel bel mezzo delle passioni che ardevano in Europa. Romain Rolland non rispose. Fu allora che Istrati decise di suicidarsi. Si taglia la gola inun giardino pubblico di Nizza, la folla si stringe attorno a lui. Lo portano all'ospedale, Dopo una lunga lotta con la morte si riprende. Quindici giorni dopo senza aspettare la sua completa guarigione la direzione lo caccia fuori dall'ospedale. Nel suo portafoglio avevano trovato una lettera diretta al quotidiano francese “L'Humanité”, in cui, alcune ore prima del suicidio, salutava la russa e il nuovo mndo che sarebbe nato da essa.. Quando la polizia francese ebbe conoscenza di questa lettera ordinò di espellere dall'ospedale questo pericoloso rivoluzionario.

Panait si trova di nuovo in strada, ma questa volta è felice, perché finalmente ha ricevuto la risposta di Romain Rolland che lo invitava a non scrivere piú lettere ma romanzi.
Incoraggiato, Panait andó a Parigi. Un compatriota ciabattino, Ionescu, lo raccoglie, lo sistema in soffitta e gli procura il cibo e il necessario per scrivere.
Qualche mese piú tardi nasce Kyra Kyralina. Libro pieno di passione, di indifferenza, di amore sfrenato della vita, libro allegro e dolce come un corpo umano.
... Kyra Kyralina sgorgó come il grido di una gola che arde.
Romain Rolland salutó Panait Istrati come “Gorki del Balcani”.

Nikos Katzanzakis
Dal Monte Sinai all'Isola di Venere.
A cura di gnseki

martedì, luglio 08, 2008

Zorba


Quando tutto fallisce è un immenso giubilo mettere alla prova il nostro cuore per saggiarne la resistenza e il coraggio!
Un invisibile, onnipotente nemico - alcuni lo chiamano demonio de altri Dio – sembra gettarsi su di noi con l'intenzione di annientarci. Ma noi non ci lasciamo annientare.
Ogni volta che riusciamo ad essere vincitori nel nostro intimo anche se completamente vinti agli occhi del mondo esterno assaporiamo un indescrivibile, orgoglioso gaudio. Le calamitá si sono trasformate in una felicitá suprema e inalienabile.

Nikos Kazantzakis
Zorba il Greco

A cura di genseki

lunedì, luglio 07, 2008

George Enescu -

Lucian Blaga


L'eone dogmatico

Il periodo storico conosciuto come ellenismo ci da le prime chiavi sulle origini del dogma. Torniamo per un istante a quella grande vigilia dell'era cristiana Ció che soprattutto caratterizza l'ellenismo è una sconcertante fusiono di correnti spirituali. La filosofia greca uscí fuori di sé, si fece estranea a se stessa, si tradí per sperimentare avventure simbiotiche con le piú diverse dottrine e mitologia asiatiche. Il pensiero ellenico perse quell'istinto di conservazione grazie al quale si era difeso in splendido isolamento durante secoli di invasioni barbariche e cominció ad apprendere la virtú dello smarrirsi nell'alteritá. Asia Minore de Egitto si convertirono in terre miracolose di interferenze culturali, di avvicinamenti e di sintesi. La astrazione e la precisione europee si unirono con l'immaginazione e i principi negatori del limite tipici dell'Oriente. Vaghi echi indiani intorno all'unitá suprema, drammatico dualismo persiano, profonda e penetrante mitologia babilonica, messianiche visioni ebraiche, occultismo egizio radicatonell'oltretomba, la rotonda e plastica “idea” greca, convergono qui sotto il segno dell'ellenismo in cerca di una lega di qualitá superiore. Tutte le visioni sul mondo e la vita si erano sviluppate de erano fiorite fino ad allora in relativo isolamento. DA un lato le idee chiare di Platone, dall'altro il mito della caduta dell'uomo nel peccato. In una geografia l'idea sulla lotta permanente tra il bene de il male. In un popolo la speranza nella nascita di un savatore del mondo,in un latro il presentimento di una grande identitá comune riferita a una esistenza suprema, unica. Come per un incantesimo indecifrabile, la differenza tra i prodotti del genio locale di tre continenti era scomparsa. Apollo acquisisce attributi barbarici e gli dei solari della Mesopotamia aggiungono al loro blasone elementi greci. La purezza stilistica delle creazioni filosofiche, mitiche e religiose delle nazioni piú diverse si perde. I pensieri soffrono cosí, dal punto di vista formale e organico, una degradazione, peró si arrchiscono, soprendentemente sul piano del significato. Forze fino a poco prima ostili sentono di colpo il desiderio di conoscersi reciprocamente, di allearsi, dirafforzarsi in nuova unitá. I segreti delle dottrine esoteriche, gelosamente nascosti dagli iniziati, cessano di essere indovinelli insolubili, per convertirsi in un bene piú o meno comune, che circola da tutte le parti come la moneta con l'effigie del cesare. Interpreti perspicaci, grandi maestri di analogia, scoprono affinitá e sommetrie laddove l'occhio normale poteva captare solo differenze e divergenze. Alessandria osserva cone raffinata sorpresa somiglianze tra gli insegnamenti rivelati e i risultati del pensiero “naturale. L'ellenismo è nuovo, rispetto alle epoche passate proprio per questa passione prima sconosciuta per il senso che si nasconde dietro ogni fenomenologia spirituale. Se si cerca il contenuto il seme si separa dal guscio, il contenuto dalla confezione, l'essenza dalla forma accidentale. L'operazione si applica principalmente ai prodotti della mente umana, ai “miti” e alle “idee”. Il risultato generale di questo processo è la riduzione a un denominatore comune dei pensieri espressi e occulti in fondo a tante icone, secondo le circostanze, il tempo e il luogo. Si scopre cosí che un qualunque dio asiatico, sebbene con un volto distinto, è identico a un dio greco o egizio, e che Mosé ebbe pensieri socratici o al contrario. Questa pratica di ridurre un'idea, un mito o una metafora al senso, contribuisce enormemente alla sua circolazione e alla sua diffusione. Liberate dal peso dell'accidentale, le idee, i miti e le metafore viaggiano sfidando le barriere dei tempi passati. L'osmosi tra di loro si intensifica. La coscienza del solitario si arricchisce con la coscienza dei vicini dai quali era stato separato non soltanto da mari e da deserti, ma anche dalla differenza organica tra una coscienza etica e l'altra. Si perse certament l'ingenuitá animica di prima e forse anche l'intensitá dell'esperienza immediata. Il mito diventa allegoria. La visione si converte in idea. Tutto quello che era manufatto plastico tende a sublimarsi in astrazione. Attraverso la mediazione del “senso” che puó prendere, senza perdersi, tante forme differenti la conversione del mito in pensiero astratto si realizza senza difficoltá. L'astrazione a sua volta si trasforma, percorrendo in qualche modo: i concetti si incarnano e acquisiscono qualitá concrete, aspetti di semi-esseri e anche di esseri come il Logos. In questa atmosfera satura di visioni e di pensiero, di speranze sorge il mito cristiano, che accetta tutte le modifiche che un mito doveva soffrire: nato dall'esperienza immediata si complica allegoricamente e poi si associa con l'astrazione filosofica. Tuttavia, perché c'è un “tuttavia” in questo impressionante processo di amalgama, le simmetrie non sono cosí nitide e neppure cosí evidenti come sarebbe piaciuto al pensatore ellenistico. Ci sono anche, tra dottrine e dottrine, tra miti e miti alcuni elementi insuperabili di non corrispondenza. Ponti gettai su precipizi restano sopsesi, senza poter riempire lo iato aperto tra pensiero e pensiero. Nonostante lo sforzo perseverante dell'intelletto, questo non riesce a portare a compimento l'ultima sintesi. Attraverso la tensione irrisolta tra “elementi” e “veritá” dell'ellenismo si va preparando poco a poco il terreno per il dogma. Il dogma suppone cosí, nelle sue complicate origini storiche, una certa crisi di significato plurale, dell'intelletto.All'intelletto che aveva dimostrato apertamente i suoi limiti nel fallire tentando ques'ultima sintesi, si imponeva, almeno in certa misura, una rinuncia a se che tuttavia non debe essere interpretata come un totale abbandono di sé e neppure come un rifugio nella fede. È certo che anime tormentate dai dubbi si rifugiarono nella fede, ma l'intelletto, considearo in se non fu annullato, fuggí da sé in formule che, per la loro struttura, restano inaccesibili alla logica. Niente di piú. Che queste forme apparissero talvolta su uno sfondo di credenza e di esperienza religiosa, è altra cosa.
In queste pagine affrontiamo il problema del dogma solo dal punto di vista dell'intelletto e della teoria metafisicam separato da ogni implicazione religiosa.
...
Circoscriviamo cosí rigorosamente la nostra analisi alla struttura puramente intellettuale del dogma. Non dobbiamo perdere di vista il fatto che il dogma anche se suppone, in certa misura, che resta da determinare con piú precisione, una rinuncia all'intelletto si formula ugualmente su di un piano intellettuale. Comunque, non puó essere separato in astratto come una qualsiasi formula metafisica, e trattato come tale esclusivamente dal punto di vista intellettuale. Riducendo il dogma al solo suo aspetto intellettuale non vogliamo nemmeno affermare che, in quanto simbolo religioso esso non presenti anche alcuni aspetti che non siano di natura intellettuale. Questi aspetti legati piú alla forma che al contenuto ci permettiamo di ometterli giacchè soffermarci su di essi renderebbe inutilmente piú difficile il nostro sforzo.
...
Filone di Alessandria, considerato un sincretista come molti altri della sua epoca, ci pare un pensatore decisivo ai fini di questa analisi. Il giudeo Filone, nel suo conflitto con la filosofia greca, cerca per la prima volta di adattare la mitologia ebraica a alla filosofia greca su una base piú ampia, lasciando suggestioni decisive per analoghi tentativi posteriori. Ma non é l'unico merito della sua opera. Egli è il primo pensatore – per quanto possiamo giudicare – che propone enunciato di struttira chiaramente dogmatica. A un sincretismo che consiste in giustapposizioni di elementi disparati in unitá fittizie si dedicarono molti altri. Lo praticavano tutti gli ellenisti che si dilettavano dell'orgia variopinta delle analogia ... peró ... nella sua dottrina incontriamo anche alcune idee capaci di illuminare una coincidenza. La storia dell'idea di emanazione è esemplare. Si sa che Eraclito e con lui, piú tardi gli stoici, ammette nella sua metafisica l'esistenza di una sostanza primaria “divina” concepita come materia e spirito contemporaneamente. Secondo Eraclito, per un processo di differenziazione parte della sostanza primaria si convertí in “mondo”, per gli stoici, tutta la sostanza primaria si converte nel “mondo. Filone di Alessandria distanziandosi dai pensatori greci, diede a questa idea di sostanza primaria un aspetto dogmatico. Egli affermó che dalla sostanza primaria emanano esistenze secondarie senza che per questo essa soffra diminuzione. Proponendo questa formula, Filone intese perfettamente la responsabilitá che si assumeva, ma non si res conto, e non poteva rendersen conto, dell'importanza storica della sua iniziativa.
Il dogma era nato e in seguito si temprará – cristallo misterioso sempre piú sfaccettato – in un incendio estatico che durara un eone intero.
Trad. genseki

mercoledì, luglio 02, 2008

Il linguaggio e il reale

È con il linguaggio che gli uomini entrano nella morte.
Vivere è sfinire le parole.
Dissanguare il senso possibile di ogni discorso.
Fino a che non resti che un grido plurale: inarticolato. Il grido da cui sgorga l'Animale, perfetto nel suo "eterno ultimo istante".
Schiumante d'impermanenza.
Immortale

genseki

lunedì, giugno 16, 2008

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pippa bacca

shin jin datsuraku
"Deporre corpo mente"
Eihei Dogen

L'immagine della prima pagina del sito di pippa bacca è molto bella. Almeno io la trovo molto bella. La sua foto vestita da sposa migratoria, invece, mi fa rabbia. La prima impressione che da è quella di un'ingenuitá militante, di un disarmarsi violento.Il vestito da sposa è una anti-lorica. Un talismano inverso.C'è una smorfia di sfida infantile nel volto che appare in tutto quel bianco.Proserpina, tuttavia, va sposa alla casa di Plutone. Il viaggio di pippa bacca è un viaggio antiorario, va dalla merce-ragione al mito. L'arte è una sostanza intessuta di morte, una pasta che la morte fermenta e capita che l'artista la incontri in forme diverse, impreviste ma cercate, sul suo cammino. Così è stato per pippa bacca. La cui figura è tanto lontana dal mio immaginario, la cui rivelazione tanto vicina al mio cuore. Un mondo che sia davvero umano è ancora lontano. Come possiamo sopportarlo? Un mondo dove la negazione sia gioco e creazione ci appare insopportabile, a fulminarci basta il súbito bagliore della sua possibilitá dalla soglia dischiusa dell'informazione. Ed ecco il coro informe, quello si infernale, di coloro che accusano la stupiditá e l'ingenuitá dell'artista e dei suoi piú intimi: - è colpa sua, del suo esibizionismo irresponsabile, della sua cecitá, della sua ingenuitá idiota. È come il sospiro di sollievo di coloro che non possono sopportare nemmeno l'idea che il mondo non sia l'inferno, che la speranza possa affrontare il male, che si possa vivere per progettare l'esistenza. É il sospiro di sollievo di quelli che per stare tranquilli hanno bisogno di una conferma: la conferma che vivono e possono continuare a vivere nella routine dell'osceno; che chi depone il corpo e lo spirito in disarmata speranza è il vero nemico, l'imperdonabile, l'imperdonato.
genseki

giovedì, giugno 12, 2008

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Inni e dinastie

L'Imperatore Giallo classificó i funzionari in "Nuvole" di diverse categorie.
L'Imperatore vide in sogno due dragoni che gli presentavano un disegno, si purificó con l'astinenza, poi si recó sulla riva del Fiiume Giallo. Improvvisamente un pesce-tartaruga gigantesco, risalendo la corrente si presentó a lui. L'Imperatore, prosternatosi copió il disegno che il pesce portava sulla schiena... Fece poi costruire un osservatorio che affidó ad alcuni ufficiali incaricati dei cinque grandi compiti: osservazione del cielo, calcolo del calendario, ispezione del vento, delle nuvole e delle emananzioni terrestri. È da allora che si registrano i fenomeni metereologici, che sono i segni attraverso i quali il cielo istruisce gli uomini. - L'Imperatore fece comporre il ciclo di sessanta anni, per contare gli anni. Fissó le leggi dell'aritmetica, da cui derivarono i toni musicali, le misure, i volumi e i pesi. Creó la gamma; fuse, per fissarla, dodici campane del diapason, che davano i dodici toni fondamentali; alla fine compose l'inno del suo regno, intitolato: "I Laghi"

*

Essendo apparsa la Fenice, l'Imperatore Shaohao classificó i suoi funzionari in Uccelli di diversi gradi. L'inno del suo regno fu intitolato "L'Abisso". Il suo governo fu troppo bonario, nove mebri del potente clan Li, feudatari di allora, misero disordine negli usi e negli insegnamenti antichi. Shaohao, troppo debole non seppe reprimerli. Allora il popolo si mise a temere gli Spiriti e i Mostri, a servirsi di stregoni nelle proprie case; ci si inebriava di oblazioni illecite. Shaohao morí dopo aver regnato 84 anni. Fu sepolto nella localitá di Yunyang (nuvole e sole) presso la sua capitale e ricevette il nome di Yunyangshi (Imperatore di nuvole e sole).
a cura di genseki