giovedì, marzo 01, 2007

Ibn Arabi e il Mondo Imaginale



"Barzakh" è la congiunzione di due mari: il mare dei significati spirituali e il mare degli oggetti sensoriali. Le cose sensoriali non possono essere significati e i significati non possono essere sensoriali. Peró il mondo Imaginale o "barzakh", da forma corporea ai significati.
Il Mondo Imaginale è uno dei concetti piú significativi dell'opera di Ibn Arabi: esso coincide in parte con il "barzakh" e con il ""barzakh"”.
Nella teologia classica islamica il "barzakh" è lo stato intermedio che segue inmediatamente la morte:

Li ognuno esperimenterá di nuovo quello che fece in vita poi saranno restituiti ad Allah il lo vero Signore e si dissolveranno tutte le loro illusioni”- Corano 10, 30.

Lo spazio nel quale avviene questa esperienza è quello che nella teologia viene chiamato "barzakh".
Nel "barzakh" il contenuto del proprio sé si riversa all'esterno e il suo contenuto si esperisce come quello di un universo che ruota intorno a noi, proprio come in un sogno in cui paure e ansie possono assumere forme e apparenze concrete, nel "barzakh" si esperimenta come concreta la sostanza propria dell'anima che si manifesta in un vero e proprio mondo di immagini reali. La realtá del "barzakh" é, tuttavia, piú reale della realtá del mondo in cui viviamo, relativamente alla gerarchia della creazione e, quindi la nostra esperienza nel "barzakh" é corrispondentemente piú intensa. Il se si trova ad interagire con un universo che non é nient'altro che una rappresentazione, un'immagine viva della nostra interioritá, uno specchio della nostra autentica natura.

Cosí il "barzakh" puó assumere l'aspetto di un giardino del Paradiso o di un incubo o di una mescolanza delle due cose, secondo il contenuto proprio del se di ciascuno..
Nel pensiero di Ibn Arabi questo concetto teologico è profondamente rimodellato, ferma restando la sua base coranica.

In Ibn Arabi, il termine "barzakh" ha un duplice significato. Egli lo impiega, in primo luogo, per indicare il mondo delle immangini (amtal) che rappresenta il quarto dei cinque mondi o awalim, in ordine discendente, ovvero il mondo che, dal punto di vista ontologico, costituisce il terreno intermedio di contatto tra il mondo puramente sensibile e quello puramente spirituale. Questo è il mondo nel quale viene a trovarsi l'anima dei defunti prima del Giudizio, ma è anche il mondo in cui ha luogo il “Tawhid”, la rivelazione profetica che quindi in qualche modo coincide con l'esperienza della morte, così che morire sembra significare aderire definitivamente al “Tawhid”, farsi uno con la propria profezia.
Il secondo significato di "barzakh" in Ibn Arabi è quello di: “stato intermedio che si situa sempre tra due Awalim”. Tra due Awalim c'è sempre un "barzakh".
Gli awalim sono 5 e quindi i "barzakh" possibli sono 4, secondo lo schema seguente:

Mondo dell'essenza
"barzakh" 1
Mondo dei Nomi
"barzakh" 2
Mondo dell'azione
"barzakh" 3
Mondo delle Immagini
"barzakh" 4
Mondo sensibile

Il primo impiego del termine "barzakh" si situa sul piano esistenziale, sul piano dell'esperienza individuale e dell'esperienza profetica.
Il secondo impiego invece si situa sul piano ontologico.
Per comprendere come sia possibile l'impiego di questo stesso termine in due accezioni apparentemente tanto diverse occorre tener presente che il Mondo delle Immagini è esso stesso un "barzakh", dal momento che è un piano intermedio tra il mondo sensibile e gli altri mondi che sono tutti mondi assolutamente spirituali.
Il Mondo delle Immagini, cioè, è un Mondo-"barzakh".
Estendendo questa interpretazione si puó giungere anche ad affermare che anche il Mondo dei Nomi e il Mondo delle Azioni, sono "barzakh" uno relativamente all'altro e il primo al Mondo dell'essenza, il secondo al Mondo delle Immagini.
Lo schema precedente dovrebbe quindi essere riletto nel modo seguente:

Mondo dell'Essenza
Mondo-"barzakh" dei Nomi
Mondo-"barzakh" delle Azioni
Mondo-"barzakh" delle Immagini
Mondo Sensibile.

Effettivamente scrive Ibn Arabi:
Tra questo mondo e la resurrezione ci sono i livelli intermedi "barzakh" ciascuno con i suoi limiti ... essi non né realtá essenziali, né puri effetti. Essi dicono a Dio: “Sia” e Dio li crea, come puó un uomo mortale fugire alla loro influenza? ...
Attraverso di loro appaiono i segno e i miracoli...
La parola “"barzakh
"” è l'espressione di qualche cosa che separa nel modo in cui una linea separa la luce dall'ombra senza che una si confonda con l'altra, ma nessuno dei sensi puó percepire che cosa separi i due elementi anche se l'intelletto comprende che c'è qualche cosa che separa, la separazione percepita dall'intelletto è per l'appunto il “"barzakh"”.

A questo punto dell'esposizione si puó intuire che qualche cosa di analogo al "barzakh" si trova nella tradizione buddista degli stati di bardo.

Continua Ibn Arabi:

“Il “"barzakh"” è qualche cosa che separa il conoscibile dall'inconoscibile, l'esistente dal non esistente, l'intellegibile dall`inintellegibile, l'affermato dal negato.
Esso è comprensibile in se stesso ma non é nient'altro che immagine immaginata. Questa immagine immaginata non é nè interamente esistente e neppure interamente inesistente, non é interamente conoscibile né inconoscibile, affermata o negata.
È come quando si percepisce in uno specchio: la persono sa che in un certo senso ha percepito qiualche cosa e in un certo senso non ha percepito nulla.
Alcuni uomini percepiscono questa dimensione nel sogno, e altri dopo la morte. La perana vede allora qualitá e caratteristiche
morali e spirituali come forme autosussistenti con le quali conversa come se fossero corpi umani”.

Qui, invece, quello che viene irresistibilmente in mente sono le conversazioni di Dante nel corso dl suo viaggio. Che si tratti di un viaggio nel “"barzakh"”?

Il ""malakut"" è la parola con cui il "barzakh" è definito nella tradizone iraniana dell '”Ishraq”.
"malakut"" e "barzakh" coincidono. "barzakh" peró è anche il mondo dgli angeli “malaika” , delle anime. In "malakut" si svolgono tutti i riti e si ripetono tutti i miti, hanno luogo tutte le rivelazioni. È il mondo dell'immaginazione oggettiva. Questo mondo ha una sua storia e una sua geografia. La sua storia possiamo conoscerla grazie al taw'il. La geografia del "malakut", il suo paesaggio, sono la proiezione dei nostri stati interiori, in questo mondo essi prendono la forma di fiori o di alberi, di palazzi, di vergini, di laghi e di montagne. Queste forme di "malakut" sono esteriori ma contemporaneamente costituiscono realmente l'interioritá psichica dell'uomo che si trova immerso in esse. Sono i suoi attributi, i suoi modi di essere. Per questo, secondo Ibn Arabi, l'atto stesso è la sua retribuzione e la retribuzione è l'atto stesso.
Oggi, nella nostra societá ogni forma di fiducia nelle rivelazioni e nel “taw'il” è letteralmente scomparsa dal senso comune.
Uno spazio immenso è rimasto vuoto: lo spazio oggettivo della rappresentazione degli stati interiori.
Esso viene riempito con i prodotti dell'industria dell'immaginario: il Mondo Intermedio, il “barzakh” è per moltissimi il mondi della televisione, dei Grandi Fratelli, dei videogiochi, il mondo delle rivelazioni e delle profezie è considerato superstizione, esoterismo, ignoranza esotica.
L'aggressione della merce penetra nel mondo interiore e lo inaridisce, chiude l'accesso alla veritá del corpo, alla realtá del nostro essere nel mondo.
Al nostro interno dentro di noi, cerchiamo la nostra terra la patria che ha il nostro stesso volto.


Gli Arconti


Sottile è la presenza degli Arconti
Appena un incresparsi
Della Luce
Ad avvertirla per primi
Sono i topi
Si stringono nei cappottini
Di pelo grigio
Con consumata umiltá
Poi egli distende le braccia
Nell'aria tiepida, profumata
Ad accogliere i chiodi
Nei palmi
E tutto si bagna
Di sangue
Di luce.
*
La cittá di Jabalsa
È tutta di rame
Gli Arconti sono voci concave – qui -
Rintocchi
Tra i vicoli rossi
Sulle piazze roventi.
La ali di Yibril
Hanno il suono
Di mille vetrate
Frantumate
In una notte di nebbia
Ma non c'è nebbia
A Jabalsa
Solo un cielo
Azzurro o nero
Puro come uno smalto.
Accanto
A questo antico pozzo
Lo attendiamo
Fedeli
Nell'ora esatta dell'appuntamento
Una brezza leggera
Ci sfiora
Profumata di fieno
Montano
Nella terra di Hurqalya.
*
genseki

mercoledì, febbraio 21, 2007

Sarà più bella

Sará piú bella Genova
Quando non ci sarò
Genova di latte, marina
Bagnata di luce sottile
Che piove sul grigio dei tetti
Genova di pietre antiche
Di fiori a cascata dai muri
Di pietre che stillano amore
Di pietre che covano il dolore
Sará piú bella Genova ancora
Sará davvere Genova ai miei occhi
Se non potranno vederla
Svegliarsi nei nodi dei ponti
Di ferro e cemento
Salati
Nel tepore dei fiati
Nello sporco dei treni
Pendolari
Genova nel mio abbandono
Nel mio lasciare doloroso
Di certo non potró rivederla
E questo la rende perfetta
Che esista senza la mia vista
Che resti
Senza di me la stessa.

genseki

20/02/07

mercoledì, febbraio 14, 2007

Islam zen



Yarir Ibn 'AbdAllah al-Bayili raccontò:

Eravamo seduti con il Profeta quando questi guardò verso la luna, ed era a quattordicesima notte del mese, notte di luna piena e disse:

- Vedrete il Vostro Signore direttamente, come ora state vedendo questa luna, senza che nulla turbi la Visione -.

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lunedì, febbraio 12, 2007

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Nainuema

Canto della creazione Huitoto
Non esisteva nient'altro
Solo un fantasma esisteva
Il Padre toccó una chimera, afferrò qualcosa di misterioso
Non esisteva nulla. Con un sogno il padre Nainuema
Trattenne quell'immagine e cominció a pensarla
Non c'era nemmeno un palo per legarla; con un filo immaginario del suo fiato
La legó.
Fu alla ricerca del fondamento della pura chimera.
Ma laggiú non c'era proprio niente.

“Eppure, qualcosa la sto allacciando!”.

E non c'era niente.
Continuó la sua ricerca il Padre,
A tentoni cercó la base di quella cosa il suo posto vuoto e fittizio.
Avvolse il vuoto con il filo sognato. Un filo di fumo.
Gli appiccicó una gomma magica,
Con un altro sogno magico lo legó.

Afferró il fondo illusorio e lo calpestó molte volte.
Si sedette su terra piana per livellarla.
Possedeva la terra chimerica,
Su di essa sputó la sua saliva,
E germinarono le acque.
Seduto su questa terra immaginaria
le distese sopra il cielo; azzurro e bianco.
Piú tardi raccontó tutto
Nel suo mondo sotterraneo,
Perchè noi potessimo raccontarlo quassù, sulla terra.

Poi sulla terra nacquero alberi selvatici
E la palma Canaguche ci diede frutti perché avessimo da bere.
Nell'acqua del Padre crebbero alberi e rampicanti.
Egli, da solo, creò la cicala,
Le scimmie che mangiano gli alberi
La scimmia del mais che apre i frutti,
Il tapiro che mangia i frutti sul suolo,
I grandi cinghiali, che divorano il bosco,
Creó tutti gli animali, come il cervo
I formichieri grandi e quelli piccoli.
Le aquile nel cielo e i pappagall
L'ararà rosso e la pernice con gli altri uccelli,
Il pavone e l'avvoltoio
Insomma creó gli uccelli
E persino le rane
Le grandi e le piccole.

La vespa ci taglió la coda
Prima ce l'avevamo
La taglió prima alla rana
E poi agli uomini
E quando si stancó di tagliare
Quelli che rimasero ritornarono scimmie
Anche se prima erano stati uomini.

A cura di genseki

*

Il Sognatore

Il Sognatore sogna
Sempre anche se stesso
Si sogna nel suo sogno
Si sogna come una parte
necessaria -
Del suo sogno
Non ci potrebbe essere
Nemmeno il sogno
Se il Sognatore
No si sognasse:
Nel sogno c`è anche un filo di fumo
Lontano
Perfettamente verticale
Sullo sfondo del cielo grigio
Su una pianura
Un altopiano? -
Di erica e rovo
Nel silenzio
Il fumo è l'anello
Che unisce il Sognatore
E il sognato
C'è odore di potassio
Intorno
E alcuni sassi bianchi
Taglienti
Il sognato no conosce
Il Sognatore
Ma può coincidere con Lui
In questo istante di unione
Supremo
Poco prima che il sorgere della Luna
Bagni di azzuro
Tutto la spazio
Contenuto nel circolo della percezione
Il sognato pronuncia questa frase:

“Videtur mihi sicut in somnio esse”

E finisce per fondersi
Con chi lo sta sognando

La brezza fredda
Un filo di vento gelido
Paralizza le lucertole
Nere
Sulle pietre umide di Luna

*

genseki

mercoledì, febbraio 07, 2007

Tutte le giornate di Minne Midons


Quelle che seguono sono le poesie d'amore per Minne Midons. Sono un po' claudicanti nel ritmo e troppo vegetali. Ma sono calde come le mani di Minne Midons, e mi da gioia copiarle e rileggerle, scorrendole col movimento leggero del cursore.
Sono state scritte in spagnolo e quella che segue è una traduzione affrettata, il che peggiora ancora lievemente le cose.

genseki

Sulla Vetta

Sulla vetta d'amore
Il vento ci schiaffeggia
Come la neve
Che copre ossa adorate
Sulla vetta d'amore
I gabbiani hanno artigli
Di falco
Con cui ferirci
Finché le nostre grida
Portate via dal vento
Si fondano in un solo battito
Sulla vetta d'amore.

*

Ogni anno

Ogni anno
Si stacca
Una foglia d'argento
Dall'albero dell'Anima
Ogni anno
Vi sboccia
Fior di fiamma
Ogni anno
Matura
Un frutto di luce
Fino a che l'anima
Si disciolga in Rosa
Brillando
A riva
Del fiume del tempo.

*

Quanto più t'amo
Meno ti conosco
Se ti guardo con gli occhi dell'amore
Quasi non ti vedo
Mi avvicino
Con il cuore che batte
Ti allontani
Con corpo di nebbia
Tu che sei carne e latte
Tiepido fiume
Sono il freddo
L'Altro
Che ogni giorno
Ti cerca
La dove solo resta
La traccia del tuo corpo.

*

Amarci é abbandonare
Tutti i giorni
La nostra cara terra solatia
Il deserto interiore
Coi suoi venti
I palmizi bruciati
Amarci é abbandonare
La terra solitaria
Nostra patria
E i suoi monti
I suoi pozzi profondi
Come occhi di falco
Per vivere tra il vento
E gli spruzzi
Dell'onda

Due
Uno.

*

Forse che il muschio

Non ama
Le lacrime di resina del pino?
O il fiume
La sua riva?
E la pioggia le rocce
Che ferisce
Di freddi baci
Lungo lenti secoli?
Ci amiamo
Come la natura insegna
Con silenzio
Con crepe
Con dolore
E riposo.

*

AdessoIn Autunno
Ci accorgiamo
Che non abbiamo corpo
Ma qualche cosa di piú
Di un corpo
Qualcosa d'altro
Che sono i nostri corpi
Uniti
Cercandosi
Piú il corpo invisibile
Dell'Amore
Che li unisce
Che li spinge
A cercarsi.
Come l'autunno
Non è solo una stagione
Ma il cercarsi
Degli ultimi fiori
Nei primi frutti.

*

Quante cose
Bisogna imparare
Quando si vive insieme:
Dove stanno i nostri occhi
Di chi sono quelle palpebre
Se il piede disperso
Tra le lenzuola
È il mio o è il tuo
Chi deve vederci al buio
Chi deve proteggersi gli occhi
Dai radianti
Lampi
Del sole
Siamo uno per l'altro
Albero e terra nutrice
Abbiamo radice e foglie
Negli stessi medesimi cuori.

*

Amare é specchio
Amando siamo acqua
Che riflette
L'azzurro
Il grigio del cielo
E voli e nubi
E il movimento degli aghi
Dei pini
Sotto la brezza
E trascina il ricordo
Di tutti i riflessi
In mulinelli d'argento
E spruzzi
Fino al mare
Dove si fonde
In quell'amore
Che di tutti fa
Uno.

*

Nell'Antico EgittoSi metteva uno scarabeo
Al posto dei cuori
Per ragioni religiose
Che mi sfuggono
I nostro vecchi cuori
Gli abbiamo scambiati
Con due scarabei cardiaci
D'eternitá d'amore
Nella pagina vuota
Che precedeva queste parole
Se en poteva vedere uno
Disegnato di mano
Di Midons.

*

Nella foresta d'Amore
Fitte crescono le male piante
Di menzogna, invidia ed orgoglio
Se insieme le tagliamo
Faremo un gran deserto
Terra
E cielo
Soli e nudi
Duri
E nel mezzo
Tra essi
I tuoi occhi
I miei occhi
Che si guardano.
Un giardino
Di acque profonde.

*

Questa poesia fu scritta in occasione del viaggio di Minne Midons a Brusela.

Se te ne vai al Nord
È nel mio Sud
Che la pioggia trascina
Le sue melanconiche ragnatele
Di dolce solitudine
Tenerezza obliata.
Nel Brabante
Il sole accarezza vecchie pietre
Verdi
Il muschio si muta
Nel solare lichene
Le foglie gialle in sabbia
Sulla riva del mar
Delle scintille.

*

Ci stancano, a volte,
I giorni che ci battono,
Son come il vento
I giorni
Come la pioggia;
Come la terra
Sono le nostre anime
Ci spoglia il tempo
Ci lavano le ore
Ci prosciugano
Ci fanno rinsecchire
Come alberi
Nell'estremo autunno
Ah! Le nostre anime
Che i giorni perseguono
D'amore
Del lucido amore
Dell'amore rovente
Che ferisce
Ferisce
E ci fa vivere.

*

Non ci mancheranno giorniCelesti di luce
Di mar diamantino
Di muschi dorati
Li avremo ancora
I giorni dei castelli
Dei bianchi padiglioni
Dei nostalgici boschi
E un giorno ancora:
Tremiti di colomba
Profumi verdi
E di foglie autunnali
Insetti come gioielli
In un raggio di sole
Il nostro abbraccio
Sará un tappeto d'erbe.

*

Mare d'AutunnoGiace in abbandono
Nella sua tomba di verde cristallo
La spuma traccia
Effimeri disegni
Sopra gli schermi
Di luce spezzata
Nello specchio dei tuoi occhi
Volano liberi
Gabbiani in fiamme.

*

Nella forestaDi frutta
Crescono banane lunari
Mele del peccato amare
Kaki di dorata polpa
I Kiwi sono testuggini
Le pere bottiglie di liquori bianchi
Arance
Limoni
Son astri
Son stelle
Bagnati di succhi
Fragranti
Noi, nudi, nuotiamo
Nel mar della frutta
Polposa
Cristalli di luce e di acqua
Le onde di fronde verdastre
Si rompono in sabbie
Di zucchero
Son baci conchiglie rosate
L'amore è un sogno
Più giallo.

*

Non c'è vuotoSe ti attendo
Solo un battito di rosso
Tra nuvole e sale
Il nostro cuore d'arancio
Si cela di verde in verde
Dammi la mano
Amara è la vita
Il nostro abbraccio
Un albero.

*

Saranno frutti
Le anime nostre
Di dolce polpa
Di noce amara
Di dorato sangue
Sarnno frutti
Le anime nostre
Rotondi
Macchiati di rame
Vellutati
Con foglie verdi
Como diamanti organici
Saranno frutti
La nostre anime
Sui rami
D'argento
Dell'albero
D'Amore.

*

genseki

martedì, gennaio 23, 2007

Poesie


Le poesie seguenti probabilemente non sono molto curate, non quanto dovrebbero esserlo per rispetto di chi casualmente dovesse leggerle.
Le ho scritte su un grosso quaderno grigio con pennarelli cinesi di diversi colori, in treno, in un fast food in una terrazza sul mare, sul divano, forse in un albergo.
Sono imprecise e sfuocate con qualche immagine gradevole. Parlano di questo mondo di sole e di polvere.

Thader

Non potevamo smettere di guardarlo
Piangere
Il cielo
Di osservarlo perdere ciuffi
Di grigio ovattato
Gocce di opaco sudore
Sulle guglie dei centri commerciali
E i nostri riti
Si facevano piú ardenti
Si sgranavano come fiamme
Rinchiuse in un pomo di vetro
Laggiú
Sotto le lastre di marmo
Finto
Gli ultimi limoni
Maturavano a soli
Privati del loro pascolo
Celeste.

*

Thader sarebbe un nome antico, il nome del povero fiume che bagna queste terre aride. Un nome preromano, adottato dai romani. Adesso è uno stremato strumento pubblicitario, amercaneggiante, vago, stupido, dal suono ambiguo, perduto tra altri sonagli e richiami porcini.
*

Autunni

L'autunno incide meraviglie
Sulla superrficie
Della luce
Smalti
Graffiti
Sulla lamina del cielo
Ogni colore
Corrisponde a un altro
Colore
Simili
Per occulta somiglianza.
Per nostalgie di petali
Si intenerisce
Il cuore di chi vive
All'altezza della luce
Nell'attesa di una chiamata
Che giá non è più che spina
Tra vertebra e vertebra
Tra cielo e roccia.

*

Improvvisamente

La ritrovi al suo posto
Prorio là
Dove
Ti aspettavi che ci fosse
La palma
Con il suo collare dorato
Amuleto di datteri
Diritta tra i cotogni
Polverosi
Consapevoli di essere
Un'immagine del passato
E ti conforta
Il sapere
Che chi non ha un posto
Dove ritrovarsi
Quello
Sei tu.

*

I cotogni giunsero dall'arabia, sono alberi vecchi, impolverati, dimenticati negli interstizi tra i condomini, i loro grandi frutti gialli, furono soli di dolcezza per palati resi nobili dall pronuncia incessante dei Nomi. Ora sono grigi fantasmi.
*

Adesso, finalmente,La hai raggiunta
O forse, meglio,
Te la sei conquistata
La solitudine
Che tanto hai amato
Che hai fuggito tanto
Per giorni e per boschi
Per settimane e nevi
Proprio ora la hai raggiunta
Quando non ti è dato piú
Non ti è concesso
Restare solo.
*

UN UOMO CHE È STATO IN UN ALTRO MONDO NON RITORNA UGUALE
È IMPOSSIBILE ESPRIMERE LA DIFFERENZA IN PAROLE.

Lewis – Perelandra

*

Huerta


Per lunghi secoli vissero
In un verde mare di foglie
Nell'ombra profonda di giardini
Come pelaghi
Tra odori acidi e dolciastri
Di polpe e di resine
Per lunghi secoli vissero
Nel crepuscolo acquoso
Degli orti
Alla luce stellare dei limoni
I monti, intorno,
Erano lingue di fuoco
Congelate in uno slancio
Verticale
Getti di rame
Cesellati in salmi
Il ritmo bronzeo
Dell'acqua nei canali
Organizzava il tempo e lo spazio
Poi si svegliarono
Scorsero altri azzurri
Cercarono l'orizzonte
E il volo.
Trovarono arene
Bagliori di ferro amaro
Il bacio ruvido
Dell'ariditá.

*

C'erano case nella huerta, quando ancora c'era la huerta, in cui vivevano uomini e piccioni e che le mattine le salutavano con voli tra i limoni. Ora ci sono rovine, troppo recenti per essere indecifrabili, cespugli, rifugio di coiti mercenari.

Vita

Non v'è davvero altra pena
Che vivere in trasparenza
Una vita come questa
Trafitti da consapevolezza
Spogliati dall'evidenza
Dell'elementare
Natura
Corrotta
Della mente
Caduca
Non v'è
Davvero
Altra pena che questa.

*

Foreste


Avremmo tanto desiderato
Muoverci in una foresta
Dai colori caldi
Dalle ramificazioni azzurre
Di rami e radici intrecciati
Alle falangi
Angeliche della luce
Consapevoli dell'acqua
Solo in quanto suono
Profondo
A volte anche oscuro
Più spesso cristallino.
Avremmo voluto
Afferrare i frutti
Con queste stesse mani
Con le quali eravamo abituati ad afferrare
Astri
Per bagnarci nel loro succo
Per nuotare nel loro liquido splendore
Le nostre stesse vene
Azzurre
Sarebbero diventate radici
A irrorare la carne tellurica
Prima che la notte deglutisse.
Ora siamo rimasti
Nudi
Lontani dall'olio della luce
Tra gli scoppi intermittenti
Dell'assenzio.

*

Palme

Che dire, poi, delle palme
Della loro natura i coltelli
Di lame luminose
In lotta con il sole
Lavate
Affilate dalla luce.
Che dire, del loro cuore
Dorato
Delle collane-amuleto
Ad allacciare la chioma
Guerriera?
Così lontane
Dal mio cuore
Assenti in tutti i racconti
Che mi sono raccontato
Si fanno di colpo
Evidenti per l'Occhio
Si adagiano nella mia vista.

*

Lichene

D'istante in istante
Su scalini di muschio
Cerchiamo foglie di pioppo
Monete morte
Piume di nebbia
D'istante in istante
Su scalini di muschio
Cerchiamo i licheni
Che tatuano di luce
Che incidano luce
Nelle nostre pupille.

*

Il fine della vita è farsi un'anima, un'anima immortale. Un'anima che sia la propria opera, perché morendo si lascia uno scheletro alla terra, un'opera alla storia.
Unamuno.
Agonia del Cristianesimo

*

La Rosa


Cresce la rosa
Ad un limone avvinta
E il giallo splendore
Inghiotte il rosso
Cupo
Dei petali vellutati
Nella notte delle foglie.

*

FEDE CHE NON DUBITI È FEDE MORTA
Unamuno

*

Il corpo
Dove posarlo
Il nostro corpo?
Dove sarebbe possibile riporlo
Dimenticarlo per un po'
Come quella camicia a quadri
Rossi e neri
Regalo di Nicoletta
Come il quarzo raccolto
Durante una gita in montagna
Con Edo
Quando incontrammo
Quel cagnolino privo di un occhio?
Dove abbandonarlo
Accuratamente
Protetto
Profumato
Pallido?
Fino a ritrovarlo
Un giorno
- quando ormai non ci stavamo già più pensando -
Laggiù
Nelle profondità dello specchio del bagno
Nell'odore del sapone di Marsiglia
E del vapore caldo
E domandarsi che cosa stiano guardando
Quegli occhi appena ritrovati
Che ora guardiamo con altri occhi
Che forse ora rivelano il senso di quelli
Che ora sta velando
Uno specchio.

*

Avrei voluto avvicinarmiA lei
Avrei voluto adeguarmi
Al ritmo dispari
Dei suoi passi
Che risuonavano
Sulle mattonelle nuove del porticato
Avrei voluto tirare fuori il desiderio dalla tasca
In cui lo avevo riposto
Molto tempo fa
e restare a guardare come si rianimava
A contatto con l'aria fresca
Portava stivali
E calze grige
Come se si trattasse di una nuova piccola morte supplente
In un pomeriggio di gennaio
Senza l'abbandono del pomeriggio
Ormai da tempo i pomeriggi non sapevano più di abbandono
Gli ultimi pini del monte
Asceti profumati
Sognavano dune color rame
Mentre seguivo il ritmo dei suoi passi
Con le orecchie ben tese
Il desiderio se en stava chiuso
Nella scatoletta di pastiglie Valda
Nella tasca di un altro cappotto.

*

Anche la morte ormai
S'è fatta precaria
Non è più certa
Come lo era un tempo
Non è puntuale
Non è più affilata
Ora resta ad aspettare alla fernata del bus
Come tutti gli altri impiegati
Che le ruote di un qualche camion
Schiaccino il volo di un passero
O di un colombo
Sull'asfalto bagnato di pioggia grassa
Poi, se en va contenta
Nei suoi jeans stretti
Comprati in un negozio cinese
Nell'impermeabile nero plastificato
Dalla forma di fungo
Scostando con la mano
Una ciocca di capelli
Che la pioggia le ha incollato
Sulla fronte.

*
genseki

venerdì, gennaio 12, 2007

Huitotos

Gli Huitotos venerano un Dio Creatore,
Il Dio Creatore degli Indios Huitotos si chiama
Nainuema
Nainuema significa:
Colui che possiede quello che non esiste
Egli creò il mondo sognandolo.
In realtà lo stesso Nainuema
Non è che un sogno
Un sogno che sogna
Di creare;
Un sogno che crea un sogno

Quando non vi era ancora nulla
Nainuema creò sognando le parole

Poi, con le parole e con un tamburo
Creó la pioggia.

I sogni sognati quando fuori piove
Sono i più dolci
Sono i più tristi
Sono sogni di pelle
E di vene.

genseki
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giovedì, gennaio 11, 2007

Tanzih e Tasbih


Ibn Arabi
La dialettica tra tanzih e tasbih

Tanzih e tasbih sono due termini che Ibn Arabi trae dalla teologia islamica tradizionale e che impiega per indicare l'aspetto occulto e l'aspetto autorivelatore dell'assoluto.
Il significato di tanzih nella teologia é quello di considerare l'assoluto in quanto Dio come totalmente libero da qualunque imperfezione. Questo vuol dire che nella forna del tanzih Dio è concepito come essenzalmente incomparabile con ciascuna delle sue creature, cioè come assolutamente trascendente. Il tanzih é il modo naturale con il quale la ragione tende a rappresentarsi l'assoluto come Dio.
In questo senso il discorso di Ratzinger a Ratisbona vede l'Islam come una religione dominata dal tanzih, in quanto esso rifiuterebbe a livello teologico qualsiasi relazione tra la ragione umana e Dio, tra Logos e Dio. Evidentemente il tanzih é solo una possibilitá per l'Islam, come per il cristianesimo all'interno di una dialettica molto piú complessa, come vedremo di illustrare nelle righe seguenti.
Il tasbih, invece, é la concezione dell'assoluto in quanto Dio come esso si autorivela nella sue creature.
Per Ibn Arabi il tanzih rappresenta l'assolutezza dell'assoluto e il tasbih la sua determinazione.
Per lui quindi i due termini non vanno concepiti come opposti quando piuttosto come complementari. Ibn Arabi definisce una dialettica di tanzih e tasbih nel quadro della conoscenza, possibile all'uomo dell'assoluto.
Il tanzih e il tasbih sono entrambi parziali. Infatti concepire Dio in modo che sia totalmente separato da qualsiasi creatura è ancora una maniera di limitarlo e di restringerlo.
Secondo Ibn Arabi vi sono due tipi di tanzih: il subuh che consiste nel togliere all'Assoluto qualsiasi attributo che significhi imperfezione e il quddus che consiste nel togliere all'Assoluto qualsiasi attributo degli esseri possibili, ogni connessione con gli esseri sensibili e ogni qualitá pensabile o immaginabile. Il secondo tipo di tanzih é detto “tanzih del sapere inmediato” e è rappresentato dal profeta Enoch, il primo dal profeta Noé. Il tanzih coincide largamente con la teologia negativa o apofatica da Massimo il Confessore a Dionigi Aeropagita fino a Nicola Cusano.
Ibn Arabi afferma tuttavia che la vera comprensione del'Assoluto é resa possibile solo dalla combinazione di tanzih e tasbih. Questa combinazione dialettica e detta da Ibn Arabi Qu'ran, Corano.
Nella teologia islamica tradizionale il tanzih è identificato con l'idolatria e il tasbih con il monoteismo.
In Ibn Arabi la vera adorazione dell'Assoluto è dialettica: il versetto coranico: “Il tuo Signore ha stabilito che solo a Lui va reso il culto” va interpretato che qualunque sia l'oggetto di culto in realtá attraverso di esso non si fa altro che adorare l'Assoluto. Infatti, siccome nel vero senso della parola nulla esiste realmente al di fuori dell'Assoluto, chiunque adori qualche cosa in realtá lo fa perché rconosce in essa, al di lá della sua esistenza fenomenica fallace, la luce dell'Assoluto. In questo senso politeismo e monoteismo sono due modi complementari di conoscere e adorare l'Assoluto.
Collegata alla relazione dialettica tasbih-tanzih é la coppia Uno- molteplici.
Il tasbih consiste nel riconoscere l'Uno nei molteplici, il tanzih nel negare i molteplici nell'Uno. La conoscenza dell'Assoluto consiste nella comprensione della veritá per cui l'Assoluto consiste nell'Uno e nei Molteplici insieme.
L'Islam è, secondo Ibn Arabi la sola religione in cui tasbih e tanzih siano compresi correttamente nella loro reciproca relazione. Questo è reso possibile integrando il mondo fenomenico conoscibile nell'Assoluto inconoscibile. Nell'Islam l'uomo prende coscienza dell' Unitá di tutti gli attributi divini sapendo peró che ciascuno degli attributi si realizza concretamente nel mondo fenomenico come oggetto o come avvenimento. In questo senso l'Assoluto non é pura astrazione razionale, bensì la base essenziale del mondo, la sorgente dell'essere. L'Assoluto cosí concepito corrisponde al Nome “Il Misericordioso” che viene ad essere il piú perfetto dei Nomi di Dio, quello che contiene tutti gli altri nomi.
Il tasbih corrisponde all'Immaginazione e il tanzih corrisponde alla Ragione. Nella Rivelazione coranica la Ragione e l'Immaginazione di armonizzano.
Una forma del tasbih particolarmente poetica e sorprendentemente lontana nel tempo e nello spazio dal Mondo del Doctor Maximus è data da Ernesto Cardenal:

Io che sembravo essere, tra tutte le persone della terra, colui che era piú fortemente destinato all'amore umano, all'amore sessuale, colui che piú di chiunque altro era nato per questo, il piú sensuale dei poeti, proprio io.: condannato alla castrzione del celibato (peró castrazione spirituale, che non estingue l'amore sessuale), condannato a non toccar donna a vivere per tutta la vita una vita perduta. Tu, l'inventore del sesso, Amore Infinito, premierai il mio cuoe: In questo mondo il mio amore per le donne è rimasto per sempre insaziato. Tu dovrai saziarlo quando celebreremo le nostre nozze. Tu dovrai riempire questo cuore vuoto.
...
Questa notte ho sognato che baciavo una ragazza che fu la mia fidanzata, e mi sono svegliato sentendo sulle labbra il sapore di quei baci. E la vivissima sensazione che mai piú nella mia vita sarei tornato a baciare altre labbra io che ero un essere nato specialmente per baciare, e che se c'erano labbra fatte per baciare quelle erano proprio le mie di labbra. Che cosa feci allora? Stringevo piú forte Dio contro il mio petto, avvicinavo di piú la mia anima a Lui. Mi inondava il Suo amore, un amore senza labbra, senza seni da toccare, un amore senza niente, l'amore puro. Amore, Ti diró una cosa: credono che il tuo amore non abbia niente a che vedere con l'amore del mondo, l'amore dei baci e degli abbracci, l'amore del letto, l'amore libidinoso, l'amore; e, in veritá, con queste labbra mie libidinose mi sono unito con Te senza labbra, oltre il bacio delle labbra, con quello stesso amore che sarebbe stato libidinoso in un ballo e questa mattina nella comunione, nella cappella del seminario, c'è soltanto amore, ouro amore. Sarebbe da raccontare quello che erano per me le ragazze. Le adoravo come Dio. E avevo ragione, lo vedo chiaramente ora, perché riflettevano Dio, c'era uno splendore divino che brillava in loro, de era questo che mi faceva impazzire, come potrebbe non far impazzire Dio, ma il fatto era che nessuna di loro cosí belle, era Dio, la ragazza che non invecchia che dice Fernando Gonzalez. Nessuna era la bellezza totale, bensí riflessi frammentati di tale bellezza, come pezzi di uno specchio rotto. Peró adesso esse non erano nulla o quasi nulla per me che avevo provato un sorso, soltanto un sorso del diletto di Dio. Da allora lo splendore dei loro volti impallidì fino a divenire quasi invisibile, come la fiamma di una candela davanti al sole. Tuttavia come mi accese l'umana bellezza che brillava nell'oscuritá.
...
Parlai a Eduardo Perilla il cowboy ... di come la bellezza delle ragazze ci possa condurre a Dio. Gli parlai dei tre modi di conoscere Dio: l'affermativo, il negativo e quello per eminenza. Per il primo tutta la bellezza che sta in una ragazza sta anche in Dio (tasbih), per il secondo ogni mancanza di bellezza che sta in una ragazza non sta in Dio (tanzih), per il terzo ogni bellezza che sta in una ragazza sta sommamente in Dio. (tasbih) E gli dissi che secondo San Paolo la bellezza invisibile di Dio la possiamo conoscere attraverso la bellezza di questo mondo visibile. Così il sorriso di una ragazza ci rivela un attributo speciale di Dio, l'attributo Sorriso (Ibn Arabi parlerebbe di nomi; del nome Sorriso). Il Sorriso Infinito, perché in Dio tutto è infinito.
Ernesto Cardenal
Las insulas extrañas (trad. Genseki)

E questo dimostra ancora una volta a quale profonditá si incontrino e si incrocino quelle radici che tanti si ostinano a confondere con gli steli.
Sarebbe interessante continuare ad esplorare questa rete che unisce un mistico arabo-andaluso di Murcia ad un prete sandinista e tutti e due a Plotino prendendo in considerazione la relazione tra le coppie tanzh-tasbih e nirvana-samsara e spero di poterlo fare presto in un nuovo articolo.


genseki

giovedì, dicembre 28, 2006

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Natale 2006

Inno XXXI

Sulla nascita del Signore

Sulla melodia:
Temo di cantare le lodi


Tu, o Cristo, hai dato vita alla creazione attraverso la tua Nascita,
Nascita visibile da un seno carnale.
Tu, Cristo, Tu hai confuso il sapere degli uomini attraverso la tua Nascita,
Attraverso questa nascita che sorge
Dall'eternità del seno invisibile del Padre
Due cose mi stupivano
Che gli smarriti in Te ritrovino il cammino,
Che gli indagatori per Te si smarriscano.
*
Lode a Te, Mio Signore, e al Padre Tuo!
*
Tu sei il buon Ministro del Padre misericordioso;
Nella Tua Mano sta la chiave del Tesoro della misericordia
Apri e introduci doni per tutti gli uomini;
Apri e liberi l'espiazione per tutti gli uomini;
Felice colui che introduce l'offerta
Attraverso di Te e ne trae in cambio la misericordia!
*
In Te si serve nel Santissimo la divinitá
Tu fai salire il sacrificio e spargi la libazione.
Non rifiutare il nostro sacrificio a causa delle macchie
Che lo insudiciano.
La Nostra preghiera è il sacrificio, i nostri pianti la libagione.
Felice chi fa salire per mezzo Tuo la sua offerta
Il cui profumo Tu rendi gradito!
*
Aspersione purificatrice, issopo d'espiazione
Che tutti i peccati ha espiato nel battesimo d'acqua!
Impotenti le aspersioni di tutti i Leviti
A riscattare anche un solo popolo
Con i loro deboli rami d'issopo.
Felici i popoli, ora che la pietá divina s'è fatta issopo
E li ha purificati con la sua misericordia.
*
Offerta grata per noi presentata
Vittima che santifica e da se stessa è offerta:
Libazione che cancella il sangue di vacche e montoni;
Agnello che di se stesso è il prete sacrificatore!
Felice colui la cui preghiera si è fatta incensiere
E che attaverso di Te l'ha presentata a Tuo Padre!
*
La legge del popolo riprovava le macchie visibili
La misericordia che ha eletto i popoli non rifiuta le macchie.
Non sono le macchie
La sua scelta, sono i penitenti ch'ella accoglie;
La tua pura bellezza, mio Signore,
Non rifiuta le nostre macchie
Beato colui che attraverso di Te ha cancellato le sue macchie
E per mezzo Tuo, unicamente s`è fatto tutto bello.
*
Tesoro che arricchisce venuto presso i poveri,
Sorgente che disseta quelli che ebbero sete,
Dottrina che discese presso i semplici,
Ricordo che ha scacciato l'oblio della creazione!
Beato colui che Ti confessa Cristo
E T'ha conquiso ed è Tua proprietà.
*
Tu sei la fiducia; presso di Te tace la disperazione
Tu sei la roccia, su di Te riposa l'edificio dei popoli.
Sei Tu che riunisci i dispersi.
Muro vittorioso che proteggi i deboli!
Beato chi comprende come e quanto lo amasti
E che pianse di onta la sua ingratitudine
*
Soglia che eguaglia e distingue!
In questo mondo ognun entra varcacandola
Nel Regno della Veritá,
Nell'altro mondo conduce a vita differente.
Qui la Tua misericordia ha reso gli uomini eguali,
Laggiù li separerá il Tuo giudizio
Beato colui che si ricorda la morte ad ogni istante
E prepara le provviste per il viaggio!

*

trad. genseki

venerdì, dicembre 22, 2006

Natale 2006

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Sura XIX
Maryam
(Maria)

Pre-Eg. n°44 a parte i vv.58 e 71. Di 98 versetti.

Il nome della sura deriva dal versetto 16.

In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso.

1 Kâf, Hâ', Ya', 'Aîn, Sâd.

2 [Questo è il] racconto della Misericordia del tuo Signore verso il Suo servo Zaccaria, 3 quando invocò il suo Signore con un'invocazione segreta, 4 dicendo: «O Signor mio, già sono stanche le mie ossa e sul mio capo brilla la canizie e non sono mai stato deluso invocandoti, o mio Signore! 5 Mia moglie è sterile e temo [il comportamento] dei miei parenti dopo di me: concedimi, da parte Tua, un erede 6 che erediti da me ed erediti dalla famiglia di Giacobbe. Fa', mio Signore, che sia a Te gradito!» 7 «O Zaccaria, ti diamo la lieta novella di un figlio. Il suo nome sarà Giovanni A nessuno, in passato, imponemmo lo stesso nome». 8 Disse: « Come potrò mai avere un figlio? Mia moglie è sterile e la vecchiaia mi ha rinsecchito ». 9 Rispose: « E' così! Il tuo Signore ha detto: " Ciò è facile per me: già una volta ti ho creato quando non esistevi». 10 Disse [Zaccaria]: « Dammi un segno, mio Signore! ». Rispose: « Il tuo segno sarà che, pur essendo sano, non potrai parlare alla gente per tre notti». 11 Uscì dall'oratorio verso la sua gente e indicò loro di rendere gloria [al Signore] al mattino e alla sera. 12 «O Giovanni, tienti saldamente alla Scrittura ». E gli demmo la saggezza fin da fanciullo, 13 tenerezza da parte Nostra e purezza. Era uno dei timorati, 14 amorevole con i suoi genitori, né violento né disobbediente. 15 Pace su di lui nel giorno in cui nacque, in quello della sua morte e nel Giorno in cui sarà risuscitato a [nuova] vita. 16 Ricorda Maria nel Libro, quando si allontanò dalla sua famiglia, in un luogo ad oriente. 17 Tese una cortina tra sé e gli altri. Le inviammo il Nostro Spirito, che assunse le sembianze di un uomo perfetto. 18 Disse [Maria]: « Mi rifugio contro di te presso il Compassionevole, se sei [di Lui] timorato! ». 19 Rispose: « Non sono altro che un messaggero del tuo Signore, per darti un figlio puro». 20 Disse: « Come potrei avere un figlio, ché mai un uomo mi ha toccata e non sono certo una libertina?». 21 Rispose:« E' così. Il tuo Signore ha detto: " Ciò è facile per Me? Faremo di lui un segno per le genti e una misericordia da parte Nostra. E' cosa stabilita"». 22 Lo concepì e, in quello stato, si ritirò in un luogo lontano. 23 I dolori del parto la condussero presso il tronco di una palma. Diceva: «Me disgraziata! Fossi morta prima di ciò e fossi già del tutto dimenticata!». 24 Fu chiamata da sotto : « Non ti affliggere, ché certo il tuo Signore ha posto un ruscello ai tuoi piedi; 25 scuoti il tronco della palma : lascerà cadere su di te datteri freschi e maturi. 26 Mangia, bevi e rinfrancati. Se poi incontrerai qualcuno,di' : « Ho fatto un voto al Compassionevole e oggi non parlerò a nessuno». 27 Tornò dai suoi portando [il bambino]. Dissero: « O Maria, hai commesso un abominio! 28 O sorella di Aronne, tuo padre non era un empio né tua madre una libertina». 29 Maria indicò loro [il bambino]. Dissero: « Come potremmo parlare con un infante nella culla?», 30 [Ma Gesù] disse: « In verità sono un servo di Allah. Mi ha dato la Scrittura e ha fatto di me un profeta. 31 Mi ha benedetto ovunque sia e mi ha imposto l'orazione e la decima finché avrò vita, 32 e la bontà verso colei che mi ha generato. Non mi ha fatto né violento né miserabile. 33 Pace su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morrò e il Giorno in cui sarò resuscitato a nuova vita». 34 Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità della quale essi dubitano. 35 Non si addice ad Allah prendersi un figlio. Gloria a Lui! Quando decide qualcosa dice: «Sii! » ed essa è. 36 «In verità, Allah è il mio e vostro Signore, adorateLo! Questa è la retta via». 37 Poi le sette furono in disaccordo tra loro. Guai a coloro che non credono, quando compariranno nel Giorno terribile. 38 Ah, come vedranno e intenderanno nel Giorno in cui saranno ricondotti a Noi! Ma gli ingiusti oggi sono in palese errore. 39 Avvertili del Giorno del Rimorso, in cui sarà emesso l'Ordine, mentre essi saranno distratti e non credenti. 40 Siamo Noi che erediteremo la terra e quanti che vi stanno sopra e a Noi saranno ricondotti. 41 Ricorda nel Libro Abramo. In verità era un veridico, un profeta. 42 Disse a suo padre: « O padre, perché adori ciò che non vede e non sente e non può proteggerti da alcunché? 43 O padre, mi è stata data una scienza che tu non hai avuto, seguimi e ti condurrò sulla retta via. 44 O padre, non adorare Satana: egli è sempre disobbediente al Compassionevole. 45 O padre, temo che ti giunga un castigo del Compassionevole e che tu divenga uno dei prossimi di Satana ». 46 Disse: « O Abramo, hai in odio i miei dei? Se non desisti, ti lapiderò. Allontanati per qualche tempo». 47 Rispose: « Pace su di te, implorerò per te il perdono del mio Signore, poiché Egli è sollecito nei miei confronti. 48 Mi allontano da voi e da ciò che adorate all'infuori di Allah. Mi rivolgo al Signore, ché certamente non sarò infelice nella mia invocazione al mio Signore» 49 Quando poi si fu allontanato da loro e da quello che adoravano all'infuori di Allah, gli donammo Isacco e Giacobbe ed entrambi li facemmo profeti. 50 Concedemmo loro la Nostra misericordia e un sublime, veritiero eloquio. 51 Ricorda Mosè nel Libro. In verità era un eletto, un messaggero, un profeta. 52 Lo chiamammo dalla parte destra del Monte e lo facemmo avvicinare in confidenza. 53 E come misericordia da parte Nostra, gli demmo suo fratello Aronne, come profeta. 54 Ricorda Ismaele nel Libro. In verità era sincero nella sua promessa, era un messaggero, un profeta. 55 Imponeva alla sua famiglia l'orazione e la decima ed era gradito al suo Signore. 56 Ricorda Idris nel Libro. In verità era veridico, un profeta. 57 Lo elevammo in alto luogo. 58 Essi sono coloro che Allah ha colmato [della Sua grazia] tra i profeti discendenti di Adamo, tra coloro che portammo con Noè, tra i discendenti di Abramo e di Israele e tra coloro che abbiamo guidato e scelto. Quando venivano recitati loro i segni del Compassionevole, cadevano in prosternazione, piangendo. 59 Coloro che vennero dopo di loro tralasciarono l'orazione, e si abbandonaro no alle passioni. Incontreranno la perdizione. 60 Coloro che invece si pentono, credono e compiono il bene, entreranno nel Giardino e non subiranno alcuno torto; 61 nei Giardini di Eden, che il Compassionevole ha promesso ai Suoi servi che [hanno creduto] nell'invisibile, ai Suoi servi, ché la Sua promessa è immi nente; 62 e non ascolteranno colà nessun discorso vano, ma solo: "Pace!", e verranno sostentati al mattino e alla sera. 63 Questo è il Giardino che faremo ereditare ai nostri servi che saranno stati timorati. 64 « Noi scendiamo solo per ordine del tuo Signore. A Lui appartiene tutto quello che ci sta innanzi, tutto quello che è dietro di noi e ciò che vi è frammezzo. Il tuo Signore non è immemore». 65 E' il Signore dei cieli e della terra e di tutto ciò che vi è frammezzo, adoraLo dunque e persevera nell'adorazione. Conosci qualcuno che abbia il Suo stesso nome? 66 Dice l'uomo: « Quando sarò morto, chi mi riporterà alla vita?». 67 Non si ricorda l'uomo che fummo Noi a crearlo quando ancora non era nulla? 68 Per il tuo Signore, li riuniremo insieme ai diavoli e poi li condurremo inginocchiati attorno all'Inferno. 69 Quindi trarremo da ogni gruppo quello che fu più arrogante verso il Compassionevole, 70 ché meglio di tutti conosciamo coloro che più meritano di bruciarvi. 71 Nessuno di voi mancherà di passarvi : ciò è fermamente stabilito dal tuo Signore. 72 Salveremo coloro che Ci hanno temuto e lasceremo gli ingiusti in ginocchio. 73 Quando vengono recitati i Nostri chiari versetti, i miscredenti dicono a coloro che credono: « Quale dei due partiti ha miglior posizione e buona compagnia?». 74 Quante generazioni abbiamo annientato prima di loro, più ricche di beni e di prestigio! 75 Di': « Che il Compassionevole prolunghi [la vita] di coloro che sono sviati, finché non vedranno il castigo e l'Ora che li minaccia. Sapranno allora chi si trova nella peggiore situazione e [chi ha] la compagine più debole». 76 Allah rafforza la guida di quelli che seguono la retta via. Le buone tracce che restano sono le migliori, per la ricompensa e per il miglior esito presso Allah. 77 Che ti sembra di colui che ha rinnegato i Nostri segni asserendo: «Certo avrò beni e figli»? 78 Conosce il mistero o ha stretto un patto con il Compassionevole? 79 Certo che no! Annoteremo quello che dice e molto accresceremo il suo tormento. 80 Saremo Noi ad ereditare ciò di cui parla e si presenterà da solo dinnanzi a Noi. 81 Si sono presi dèi all'infuori di Allah [sperando] che fossero loro d'aiuto. 82 Invece no! Essi rifiuteranno la loro adorazione e saranno loro nemici. 83 Non vedi che abbiamo mandato i diavoli contro i miscredenti per incitarli con forza? 84 Non aver fretta di combatterli. Siamo Noi a tenere il computo. 85 Il Giorno in cui riuniremo i timorati presso il Compassionevole come invitati d'onore 86 e spingeremo i malvagi nell'Inferno come [bestie] all'abbeveratoio, 87 non beneficeranno di nessuna intercessione, a parte colui che avrà fatto un patto con il Compassionevole. 88 Dicono: « Allah Si è preso un figlio ». 89 Avete detto qualcosa di mostruoso. 90 Manca poco che si spacchino i cieli, si apra la terra e cadano a pezzi le montagne, 91 perché attribuiscono un figlio al Compassionevole. 92 Non si addice al Compassionevole prenderSi un figlio. 93 Tutte le creature dei cieli e della terra si presentano come servi al Compassionevole. 94 Egli li ha contati e tiene il conto 95 e nel Giorno della Resurrezione ognuno si presenterà da solo, davanti a Lui. 96 In verità il Compassionevole concederà il Suo Amore a coloro che credono e compiono il bene. 97 Lo rendemmo facile alla tua lingua, perché tu annunci la lieta novella ai timorati e avverta il popolo ostile. 98 Quante generazioni facemmo perire prima di loro! Ne puoi ritrovare anche uno solo o sentire il minimo bisbiglio

giovedì, dicembre 21, 2006

Natale 2006


I pastori udirono gli angeli che inneggiavano
alla venuta di Cristo incarnato e,
accorrendo a lui come verso il Pastore,
lo videro quale Agnello senza macchia
nutrirsi nel seno di Maria e dissero inneggiando a lei:
Gioisci, Madre dell'Agnello e del Pastore;
Gioisci, ovile del gregge spirituale;
Gioisci, difesa contro i nemici invisibili;
Gioisci, chiave che apre le porte del Paradiso;
Gioisci, perché il cielo si rallegra con la terra;
Gioisci, perché la terra si allieta con i cieli;
Gioisci, voce degli Apostoli che mai tace;
Gioisci, coraggio invincibile dei martiri;
Gioisci, forte baluardo della fede;
Gioisci, fulgido vessillo della grazia;
Gioisci, perché spogliasti il regno dei morti;
Gioisci, perché ci rivestisti di gloria;
Gioisci, o Sposa Semprevergine!

*
Inno Acatisto
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mercoledì, novembre 29, 2006

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I cinque mondi


Ibn Arabi
I cinque Mondi
^*^

Per Ibn Arabi la realtá come la percepiamo nella nostra vita quotidiana, è illusione, sogno. Non si tratta peró di un sogno o di un'illusione soggettiva.
L'illusione della realtá quotidiana è un'illusione oggettiva.
Il mondo in cui viviamo non si situa sul piano della pienezza della realtà ma su un piano in cui la realtà risulta indebolita sebbene risponda a leggi intersoggettive.
Secondo Ibn Arabi l'essere si articola in piani che egli chiama mondi e che corrispondono allo schema seguente:

Il Mondo dell'essenza
Al-gayb al-mutlaq
L'assenza di manifestazione

Il Mondo degli attributi e dei nomi
Uluhiyya
La Presenza della Divinitá

Il Mondo dell'azione
Rububiyya
Il Dominio

Il Mondo delle Immagini
Alam al-mital

Il Mondo dei sensi
Musahada

Il Mondo delle Immagini: Alam al-Mital è, da un punto di vista ontologico, un terreno intermedio di contatto tra il mondo puramente sensibile e il mondo puramente spirituale, o immateriale.
Esso corrisponde in quelche modo al concetto di Barzakh e al Mondo Intermedio di Sohravardì:
questo è un mondo nel quale si ritrova tutta la ricchezza e la varietá del mondo sensibile, ma in forma sottile. In esso si trovano le cottá mostiche di Jabalqa, Jabarsa e Hurqalqa.
Mi pare anche interessante l'approssimazione al mondo delle immagini che si trova nell'opera di C. S. Lewis “Perelandra”:

“Ogni distinzione tra accidentale e pianificato, così come la distinzione tra realtá e mito era puramente terrestre. Il modello è tanto ampio che dentro il quadro ristretto dell'esperienza terrestre appaiono frammenti di esso tali che noi non siamo in grado di scorgerne la connessione, e altri, invece tra i quali siamo in grado di scorgerla. Per questo distinguiamo chiaramente, per la nostra immediata utilitá, l'essenziale dall'accidentale. Se usciamo peró da questo quadro la distizione intera cade nel vuoto agitando vanamente le ali”.

Il pensiero di Ibn Arabi è puramente ontologico e la sua ontologia non è speculativo quanto piuttosto esperienziale, dipende dalla sua propria intuizine mistica diretta.
Questa esperienza lo porta a considerare cinque piani dell'essere paralleli ai cinque mondi.
L'essere assoluto contemplato nell'esperienza dell'estasi si rivela al contemlante in modi e gradi infiniti che sono da Ibn Arabi classificati, appunto in cinque gradi in ciscuno dei quali l'Essere Assoluto si rivela e si manifesta in modo piú determinato e più concreto e quindi si disvela.
Il primo di questi cinque gradi rappresenta l'assoluto prima che inizi a manifestarsi o a rivelarsi nei piani successivi.
Nella terminologia di Ibn Arabi ogni grado di manifestazione si chiama “hadra” cioè presenza. L'essere in tutti i livelli del suo disvelamento mantiene il nome di “Haqq” Assoluto
Per indicare il disvelamento egli impiega la parola “tayalli
Lo schema dei piani di manifestazione è il seguente:
Haqq
Primo Hadra
No tayalli

Haqq
Secondo Hadra: Dio
tayalli

Haqq
Terzo Hadra: Il Signore
tayalli

Haqq
Quarto Hadra: Il mondo delle immagini
tayalli

Haqq
Quinto Hadra: Il Mondo Sensibile
tayalli

Il primo hadra non è un tayalli ma è la fonte di tutti i tayalli. Tutti i piani stanno tra loro in rapporti di corrispondenza tali che a ogni forma di un hadra superiore corrisponde una forma di ogni hadra inferiore.

genseki

martedì, novembre 28, 2006

Il Gelso

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La poesia che segue pecca, davvero, di un certo mal gusto, nella balorda, insistente evocazione angelica.
Il fatto è che non so quale altra presenza nominare come testimone reale, sacramento della scomparsa di un mondo, del mio mondo che mi è dato vivere come un dono: il dono della morte già qui, nella pienezza del sentire e dell'intendere.

Il Gelso

Un gelso d'ali d'oro
Angelo dell'Autunno
Veglia
Tra il bosco
E la terra
Ferita
Veglia l'ultimo
Respiro
Dei muschi
La filigrana criptica
Dei licheni

Un gelso d'ali d'oro
Angelo
Della Soglia
Raccoglie il suono
Di tutte le foglie
Lo scrosciare assordante
Di tutti i colori

Un gelso d'ali d'oro
Angelo degli angeli
Insieme giallo
D'angeli
Corallo-medusa
Immobili
Su rami d'aria

Veglia l'ultimo
Sogno
Di roccia e bosco
*
genseki

sabato, novembre 25, 2006

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César Vallejo

Quelle che seguono sono altre tre poesie di Vallejo. Sono tratte dalla sua prima opera "Araldi Neri" (1918). Una raccolta che è considerata ancora immatura, e troppo scolasticamente legata ai modelli del modernismo di Dario e di Herrera.
Credo che vi si trovi, invece, un Vallejo più innocente, più fiducioso, più dolce ma altrettando rigoroso nel rifiutare la letteratura come bellezza, c quindi come consolazione. Le parole di Vallejo pesano come le montagne, la natura è ostile alle parole, la materia si ribella alla maliconia, il paesaggio al senso; la parola non è già piú un rifugio. Il passo e la respirazione sono quelli di Parigi.

Altre traduzioni di Vallejo in http://turcimanno.blogspot.com/


Foglie d'ebano

Brilla la sigaretta
Si ripulisce in polveri d'allerta
Con una smorfia gialla
Intona il pastorello
Il tamarindo dell'ombra sua defunta.
Affoga in un energico negrore
Tutto il casone
La muffita eleganza di bianchezza
Pena un fragile aroma d'acquazzone.
Tutte le porte sono molto anziane
E muffisce nel sigaro tarlato
Un'insonne pietá di mille occhiate
Io le ho lasciate proprie
E oggi son fiorite ragnatele
Fino nel cuore delle loro travi.
Ombre coagulate sanno a oblio
Quella d'ingresso
che entrare mi vide, tremula e triste
Aprendo ambo le braccia
Stridente come un pianto di allegria
Che esiste in ogni fibra
Per quell'occhio che ama, una dormiente
Perla fidanzata, una lacrima celata.
Con non so che memoria si confida
Il cuore ansioso
Signora? ... Si, Signore: morì in paese;
La vedo ancora avvolta nel suo scialle...
E la nonna amarezza
Di un canto nevrastenico di paria
Oh! La sconfitta musa leggendaria!
Affila i suoi melodici torrenti
Sotto l'oscura notte
Come se, sotto, sotto,
Nele fosca pupilla di pietrame
Di sepoltura aperta,
Celebrando perpetui funerali,
Si spezzassero fantastici pugnali
Piove...piove sostanza d'acquazzone
Riducendo a funebri sentori
L'umore di appassiti crisantemi
Che veglian tahuashando sul sentiero
Senza cappello nel poncho di gelo.
Gli Araldi Neri
1918

*

Nostalgie imperiali

Nei paesaggi di Maniche ara
Imperiali nostalgie il crepuscolo
Va seminando razza il verbo mio
Come stella di sangue a fior di muscolo,
Rintocca il campanile...non si apre
La cappella... come un opuscolo
Biblico che morendo va in parola
D'asiatica emozione nel crepuscolo.
Un poyo con tre potos son l'altare
Dove stan sollevando labbra a coro
L'eucarestia di una chicha d'oro
Piú il lá dai ranchos si solleva il vento
Il fumo che di sogni e stalle ha odore
Come nell'esumare un firmamento.

*

L'anziana pensierosa come statua
Di un blocco preincaico fila e fila
Tra le dita di madre il fuso lieve
La lana grigia di vecchiezza stira.
Negli occhi di sclerotica di neve
Un cieco sol oscuro guarda e mutila...!
Disdegnosa la bocca e il calma attiva
La stanchezza imperiale forse è all'erta.
Ficus vi son capelluti che meditano
Incaici trovatori posti in fuga
Rancida pena della croce idiota
Nell'ora rossa che sta giá fuggendo
E si fa lago che salda rudi specchi
Dove naufrago piange Manco-Capac.

*

I dadi eterni

Mio Dio piangendo resto l'essere che vivo
Mi pesa aver accettato il tuo pane
Ma questo misero fango razionale
Crosta non è fermentata al costato
Tuo che non hai Marie che ti abbandonano!
Mio Dio, se fossi stato uomo sapresti essere Dio;
Ma tu che fosti sempre senza pena
Non senti nulla della tua creazione.
E l'uomo, si, ti soffre de egli è il Dio
Oggi che negli occhi miei maghi ardono ceri
Come in un candannato
Mio Dio prenditi tutte le candele
E giocheremo con il vecchio dado...
E, forse, o giocatore, al dar la sorte
Dell'universo tutto,
Sorgeranno le occhiaie della morte
Come due assi funebri di fango.
Mio Dio questa è una notte sorda e scura
Non potrai più giocar perchè la Terra
É un dado consumato e ormai rotondo
Per il gran rotolare all'avventura
E non potrá fermari che in un fosso
Il fosso d'un'immensa sepoltura.

*
Trad. genseki

martedì, novembre 21, 2006

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La sintesi degli opposti II

Il testo seguente di Efrem Siro, Padre della Chiesa, sembra l'esposizione poetica della tesi di Ibn Arabi che sulla sintesi degli opposti e questo è uno dei tenti piccoli esempi di come le radici si diramino, nella vita dello spirito in direzioni imprevedibile ai neocristiani o cristianisti e a tutti i cultori dell'esclusivismo culturale.
genseki

Inno contro Bar-Daisan

C'è un Essere, che conosce se stesso e se stesso contempla
In se stesso abita
Da se stesso di diffonde.
Gloria al Suo Nome.
Per Sua propria volontà è in ogni luogo
Invisibile e visibile
Manifesto e nascosto
In alto si trova,
In basso.
Familiare e generoso della Sua grazia con gli umili,
Per questo si eleva piú sublime, è esaltato come alla Sua Gloria conviene, al di sopra dei grandi.
Il piú rapido non eguaglia la sua velocità
Il piú lento non esaurisce la sua pazienza
Egli precede tutto e tutto segue
È nel centro di tutto.
Egli è quel mare,
Nel quale nuota tutta la creazione.
Come le acque avvolgono i pesci in tutti i loro movimenti,
Cosi il Creatore si veste del creato,
Con il grande e con il piccolo.
Come i pesci si nascondono nelle acque
Così si celano in Dio altezza e profonditá,
Prossimitá e lontananza,
Con ciò che vi dimora.
E come l'acqua si ritrova con i pesci dovunque vada,
Così Dio si ritrova con chiunque cammini.
E come l'acqua tocca il pesce in qualunque rotazione,
Così Dio accompagna e osserva ogni uomo in ogni sua azione.
Gli uomini non possono muovere la terra, che è il loro carro,
E nessuno, si allontana dall'Unico Giusto, che è il suo socio.
L'Unico Buono è unito al corpo,
È la luce dei suoi occhi.
Nessun uomo puó sfuggire alla sua anima,
Essa resta con Lui
Nessun uomo si cela al Buono
Giacchè questi lo avvolge.
Come l'acqua avvolge il pesce e questi la percepisce,
Così tutte le nature percepiscono Dio.
Egli si diffonde nell'aria,
Il suo respiro entra nel tuo intimo
Egli è una cosa sola con la luce,
E quando guardi ti penetra negli occhi
Egli è una sola cosa col tuo spirito,
Ti osseva da dentro, per sapere chi sei.
Egli vive nel tuo spirito
E nulla v'è che ignori del tuo cuore
Come la mente precede sempre il corpo
Così Egli esamina la tua anima prima di te.
E come il pensiero precede sempre l'atto
Così il pensiero suo conosce i tuoi progetti.
Comparato con la sua impalpabilitá,
È corpo la tua anima, spirito la carne tua.
Egli, che ti creó, è l'anima dell'anima tua
Spirito del tuo spirito,
Distinto da tutto
A tutto resta unito,
E manifesto in tutto,
Un gran prodigio, una meraviglia nascosta.
Egli è l'Essere la cui essenza nessun uomo sa spiegare.
Egli è il Potere la cui profonditá è inesprimibile.
Tra le cose viste e quelle nascoste
Non v'è nulla di comparabile a Lui.
Egli è colui che creò e formò dal nulla
Tutto quello che è.
Dio disse:
Sia fatta la luce!
Una cosa creata.
Egli fece l'oscuritá e cadde la notte.
Osserva: una cosa creata.
Fuoco nelle pietre,
Acqua nelle rocce:
L'Essere le creò.
C'è un potere che le trasse dal nulla.
Contempla
Anche ora, il fuoco non si accumula nella terra
Guarda! Sempre è di nuovo creato
Per mezzo delle pietre focaie.
Egli è quell'Essere che produce la sua Essenza
Da se stesso, e che la sostiene
Quando vuole la accende,
Quando vuole la spegne
E ottiene l'attenzione dell'ostinato.
Nel grande pioppeto si accende un fuoco per frizione di legna
La fiamma divora,
Cresce in forza,
Per finir soccombendo.
Se fuoco e acqua sono Esseri e non creature,
Dove stavano le loro radici?
...
trad. Genseki

domenica, novembre 12, 2006

La sintesi degli opposti


Al-Jarraz che era uno ei molteplici aspetti dell'Assoluto e una delle sue molte lingue, disse che Dio non può essere conosciuto se non si predicano di lui gli opposti in maniera simultanea. Così l'Assoluto è il Primo e l'Ultimo, Esterriore e Interiore. È, semplicemente quello che appare esternamente occultandosi internamente, considerando che proprio nel momento in cui appare esternamente si occulta intrenamente.
Nessuno vede l'Assoluto se non l'Assoluto stesso, e, tuttavia, l'Assoluto non si cela a nessuno. È l'Esteriore che si manifesta a se stesso.
...
L'Interiore contraddice all'Esteriore quando questi dice "Io". Lo stesso avviene con tutte le coppie di opposti. In tutti i casi chi dice qualche cosa é uno, chi ode è il medesimo. Questo ragionamento si fonda sulle parole del Profeta: "e quello che le loro anime dicono loro", dove si vede chiaramente che è l'anima quella che dice e nello stesso tempo quella che ode, colei che conosce quello che ha detto. L'essenza è una, molteplici gli aspetti. Nessuno puó ignorarlo, tutti ne siamo consapevoli nel nostro intimo, nella misura in cui siamo forme dell'Assoluto.
Ibn Arabi
Fusus al-Hikam

venerdì, novembre 10, 2006

Vi fu un tempo


Vi fu un tempo in cui si ammazzavano i bambini nel sonno, li si bruciava vivi, in un lampo. Poi si chiedeva scusa e tutto era dimenticato.


Al-Muntaqimu

Nominerò i vostri nomi ad uno ad uno
Voi che non avete piú occhi
Per la mia cecitá
Per l'opacità di questa luce opaca
Per la mia opaca cecitá
Per la luce delle vostre pupille vuote
Nominerò i vostri nomi ad uno ad uno
Perchè sono i piú belli di tutti i nomi.
Il nome più bello di Dio è il Misericordioso
Questo è il piú bello di tutti i Nomi
Ma i vostri nomi sono nominati
Nella Sua misericordia
Perché davvero egli è il Compassionevole.
Non ci sono piú altri nomi
Non c'è piú altra luce
Oltre la luce opaca
Che ferisce i vostri occhi perduti
Occhi come pietre
Occhi come foglie
Occhi come perle
Come monete
Per pagare anime
Scorre la catena dei vostri Nomi
Si sgrana il rosario dei vostri Nomi
Come i fiumi, come le cose che emanano
Dall'assoluti immoto
Secondo le parole
Dei filosofi antichi
Nomi perle
Nomi di Rondini
Nomi di frutti maturi
E di cuccioli
Li nomineró tutti i vostri nomi
Che sono i nomi di Dio
I piú belli di tutti i Suoi Nomi
Il piú bello dei nomi di Dio è
Il Vendicatore
I vostri nomi saranno come stelle
Nel giorno della sua vendetta.
genseki

giovedì, novembre 09, 2006

Beit Hanoun


Il nostro concetto di tempo si fonda sulla successione, quello di spazio sulla simultaneitá e stabilitá; solo quando la successione si fa stabile si puó penetrare nell'autentica realtá. Il tempo non è uno sviluppo lineare dal passato al futuro, quanto piuttosto una sfera. Per questo esistono uno spazio e un tempo sottili che hanno un significato autentico, di fronte al tempo e allo spazio opachi che sperimentiamo nel mondo dell'apparenza.
Qazi Said Qommí

Nella sfera del tempo della realtá i volti bestiali delle SS e quelli dei soldati di Israele intenti a massacrare donne e bambini stanno gli uni accanto agli altri. Sono intercambiabili, nulla li separa. Il ghigno fosco dell'odio annulla tempo e spazio. Entrambi sono dentro di noi sorridono addentandoci i polmoni. Le lacrime dei bambini sono la sfera del tempo.
Nella Realtá che porta il sigillo della Veritá, prego, che incontrino eterna consolazione.
genseki

Beit Hanoun

mercoledì, novembre 08, 2006

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Alejandra Pizarnik

Dai "Diari"
Traduzione e scelta a cura di genseki

Poche righe quelle che seguono dai "Diari" di Alejandra Pizarnik pubblicati dall'Editore Argentino "Lumen". Pagine di confusione e di dolore. Anche, peró, laboratori di una parola che non cerca nessuna seduzione, una parola solitaria, ruvida, oltre la consolazione dell'arte, oltre la facilitá della conciliazione. Ricorrono le fiamme associate al volo, il mare come origine e purificazione e la gabbia protagonista di avventurose, memorabili metamorfosi. Tutto questo tra ingenuitá di un'adolescente apprendista di dolore.


Il sole. Sempre il sole a fendere il mattino. Per la mia voce, per la mia danza, un feretro a motor lacrimale. Per la mia trascendenza un test dellaccademia psicoanalitica. Per la mia sete sacra un vestito nuovo, sigarette di importazione, un'aria bohemienne che annuzia la rogna degli ospizi. Un unico problema. Tra i miei desideri e la mia realtá un ponte che non so attarversare. Da qui il nulla.
Ho preso assolutamente coscienza del fatto che non posso vivere la mia vita.
Non posso vivere come un essere umano.
*
Musica infinita con velo biance esce dalla tasca del mezzogiorno. Gli atti ballano la giostra dell'assurdo e una paurosa necessitá di essere sequestra una giovane donna dalla chioma silenziosa che vorrebbe accendersi de esplodere in un istante come un fuoco fatuo.
*
I sogni si siedono sul mondo...
*
Volano treni. Gli ucceli vestono finimenti e fuggono verso la pianura per cercare la donna folle che ha appena rubato il fuoco. Lui le taglia il seno e lo divore mentre un intero popolo di umini-scimmia piange sulle reive del Swaney River. Lui sputa le sue ossa. Rintocchi di campane a morto. Il bechino del cielo si inginocchia davanti al mio ritratto e chiede perdono.
*
Il portiere in fiamme illumina l'insegna della morte perchè anche la gabbia ha ereditato la vocazione al perdono.
*
Una famiglia di rondini si spoglia sul Mar del Plata. Se lo bevono tutto, il mare.
*
La luce ha gambe, la notte testicoli, la luna splende con cosce di zingara gravida.
*
Essere eterna per un secondo...
*
Non dubito che le stelle malvage divorino le stelle buone, che i fiori grassi divorino i fiori magri, che il deserto di cenere divori il deserto in fiamme. Non dubito di nulla. Solo una tregua, solo una tregua. Allora crederò in tutto, anche in me stessa.
Voglio essere quella che sono -disse,
La mia ombra,
Il mio nome,
La mia carenza.
Tutto si riduce
A un sole morto.
Tutto è mondo
E solitudine
Come animali
Distesi nel deserto.
*
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martedì, novembre 07, 2006

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Melancholia

Ficino come è ben noto fu tormentato per tutta la vita dalla melancolia saturnina. Che la melancolia corrisponda a quella infermitá paralizzante la volontá che oggi è chiamata depressione non é, a parer mio cosa del tutto certa. Le malattie dello spirito variano profondamente nel tempo e nello spazio. La “Melancolia” era per Marsilio il tratto distintivo del genio creatore o comunque del filosofo e dell'uomo di lettere. Questa non è una caratteristica che si possa attribuire alla depressione che colpisce, piuttosto, piazzisti e segretarie.
Comunque le medicine che egli propone come efficaci nell'alleviare il dolore hanno in se stesse il sapore della poesia.
Sono opere d'arte di botanica e elevano la pratica dello speziale a vera e propria arte che evoca suoni, colori, regioni lontane, tramonti, variare di verde nei campi.
Eccone qui due diverse:

In primo est syrupi optimi compositio, in secundo pilulae pro-batissimae, in tertio electuaria saluberrima. His tribus opportune adhibitis, melancholicus humor mollitur et digeritur atque solvitur, spiritus acuuntur et illustrantur, fovetur ingenium, memoria confirmatur. Syrupus est huiusmodi: sume boraginis, buglossae, florumque utriusque, melissae, capillorum Veneris, endiviae, violarum, cuscutae, polypodii, senae, epithymi, singulorum quantum manu capitur, pruna Damascena numero vi-ginti, odora poma numero decem, passularum unciam unam, liquiritiae un- ciam dimidiam, cinnami, sandali rubri, corticum citri, singuorum drachmas tres, croci drachmam dimidiam. Coquantur in aqua omnia praeter epithy-mum et aromata, donec pars tertia consumatur. Decoctio expressa post cum saccharo iterum et epithymo moderate coquatur. Postremo infundantur aro-mata, scilicet cinnamum atque crocus. Huius syrupi aurora calefacti unciae tres bibantur, simulque unciae duae aut tres aquae buglossae, atque una cum his ex sequentibus pilulis accipi debent duae saltem ac plures, prout cuique convenit, eo scilicet pacto ut alvus quotidie paulum moveatur.
*
Pillularum vero, quantum ad propositum spectat, duo sunt genera: aliae delicatis congruunt, robustioribus aliae. Primae aureae sive magicae no-minari possunt, partim Magorum imitatione, partim nostra inventione sub ipso Iovis Venerisque influxu compositae, quae pituitam, bilem, atram bilem educunt absque molestia, singula membra corroborant, spiritus acuunt et il-luminant. Ita eos dilatant, ne constricti maestitiam pariant, sed dilatatione et lumine gaudeant; ita rursus stabiliunt, ne extensione nimia evanescant. Sume igitur auri grana duodecim, maxime foliorum eius si pura sint, thuris, myrrhae, croci, ligni aloes, cinnami, corticis citri, melissae, serici crudi coc-cinei, mentae, been albi, been rubei, singulorum drachmam dimidiam, ro-sarum purpurearum, sandali rubri, coralli rubri, myrobalanorum trium, sci-licet emblicarum, chebularum, Indarum, singulorum drachmam unam, aloes rite ablutae tantundem quantum cunctorum pondus. Confice pilulas mero quam electissimo. Sequuntur pilulae ad solvendam melancholiam aliquanto validiores, ve-rumtamen minime violentae. Sume paeoniae, myrrhae, stichados Arabici, melissae, thuris, croci, myrobalanorum trium, scilicet emblicarum, chebula-rum, Indarum, rosarum, singulorum drachmam unam, trochiscorum agarici, polypodii, epithymi, senae, lapidis lazuli loti rite et praeparati, lapidis Ar-meni affecti similiter, drachmas tres singulorum, aloes lotae uncias duas; vino perfecto pilulas confla. Si cum melancholia manifesta caliditas dominetur, quae in hac compositione sunt frigida, ad tertiam insuper ponderis sui partem augenda erunt. Has pilulas, ut litterarum studiosis convenit, Graecorum, La-tinorum Arabumque imitatione composui. Nolui vero fortiora miscere, qualeveratrum, quo Carneades phanaticus utebatur. Viris enim litteratis tantum vel paulo firmioribus consulo, quibus nihil pestilentius est quam violentia. Ideo praetermisi pilulas Indas lapidisque lazuli vel Armeni notas et quam compositionem hieralogodion appellant. Si denique decet simpliciorem compositionem inserere qua ego familiarius utor, sume aloes lotae unciam unam, myrobalanorum emblicarum atque che-bularum, utriusque pariter drachmas duas, masticis drachmas duas, duas quoque rosarum, praesertim purpurearum; confice pilulas vino. Proinde pi-lulis aut iis aut illis, ex iis scilicet quas probavimus, nemo unquam solis uti debet, ne forte nimium exsiccetur, quod quidem in melancholia pessimum est; immo vel una cum syrupo quem secuti partim Mesuem, partim Genti-lem Fulginatem supra descripsimus, vel cum vini odori levisque uncia una sive duabus sive tribus, ut cuique convenit, aut cum aqua mellis et passu-larum atque liquiritiae aut, sicubi caliditas dominatur, cum iuleb violaceo aquaque violacea. Omnino autem consulo litteratis, quicunque ad atram bilem sunt pronio-res, ut hac purgatione bis quolibet anno, vere scilicet autumnoque utantur diebus quindecim continuis vel viginti, pilulis scilicet cum syrupo atque si-milibus. Quicunque vero paulo minus huic morbo obnoxii sunt, sat habe-bunt si pilulas primas aut ultimas toto anno sumant semel hebdomada qua-libet, aestate quidem cum iuleb, ut diximus, alias vero cum vino.


Entrambi gli esempi sono tratti dall'opera: « De Vita »

lunedì, novembre 06, 2006

Alejandra Pizarnik


Dal Diario

Le righe seguenti sono tratte da una pagina di Diario di Angela Pizarnik dedicata in gran parte a César Vallejo:

"Caro Vallejo! Mio amato poeta triste! Tu con le tue ossa affamate, i capelli disordinati, il pomo d'Adamo anelante, la schiena spezzata, e la sensibilitá scabra, e l solitudine e il sesso balbuziente e la solitudine e l'occhio vestito di grigio e la solitudine e il caro pianto di sempre e la solitudine e i colpi della vita tanto forti e la solitudine e il non lo so, il perché di tanto male di tanti colpi duri e crudeli, di tanta sporcizia in gioco e il nulla e l'orrendo mefistofelico bastone cui non ci si deve appoggiare e il benedetto Iddio che cammina al tuo fianco e il terribile esilio degli eterni fuggitivi e le lacrime calde una dopo l'altra fino all'ultima equazione impossibile e le dolci scimmie di Darwin che agitano venti dita a testa e il tric-trac delle ossa che chiedono un pezzo di pane ove sedersi e e e e la solitudine il pianto l'angoscia il nulla la solitudine!!!! Amatissimo, carissimo César!!!! Fino a quando!!
Per sempre?? Piango.

Giugno 1955
ed. lumen, pag. 25
trad genseki
*

Nel blog http://turcimanno.blogspot.com si trovano le traduzioni di Vallejo cui ho lavorato nell'ultimo anno.

giovedì, ottobre 26, 2006

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Plotino

Enneade V, 2
Cogitare debet inprimis omnis anima, animam ipsam animalia omnia effecisse, inspirantem eis vitam: fecisse inquam, viventia omnia, quae nutrit tellus, et quae mare, quae in aere sunt, et quae in coelo stellae divinae. Anima solem, anima ingens hoc caelum, exornavit, ordine que perpetuo ducit, exsistens profecto natura quaedam ab his diversa, quae ornat, quae movet quibus suggerit vitam: ideoque necesse est his omnibus esse praestantiorem: quippe cum haec et oriantur, quando anima suppeditat vitam, et occidant, quando destituit: ipsa vero sit semper, propterea, quod nunquam deserit semet ipsam. Quis autem modus sit vitae suppeditandae cum universo, tum singulis animalibus, ita potissimum cogitetur. Consideret itaque ingentem animam alia quaedam anima, non parvam in considerando dignitatem adepta, a deceptione videlicet libera, et ab his omnibus, quae ceteras animas fascinare consueverunt, ideoque in habitu quodam quietissimo constituta: non solum vero quiescat illi circumfusum corpus corporisque procella, verum etiam, quicquid extrinsecus ambit, undique conquiescat. Torpeat ergo terra et mare aerque, et ipsum caelum praestantissimum. Excogitet mox in torpentem eiusmodi molem undique aminam extrinsecus influentem penitusque infusam et omnia penetrantem nec aliter illustrantem, quam solis radii obscuram caliginem illuminare soleant, nubesque saepe aspectu aureas reddere: sic itaque anima caeleste corpus ingressa dedit vitam, dedit immortalitatem, torpens protinus excitavit. Hoc autem motu perpetuo agitatum sapientis animae ductu beatum animal est effectum, ...
trad. Marsilio Ficino
*
Ogni Anima deve pensare, per prima cosa, a come essa stessa fu quella che generó tutti gli animali, insufflando in essi la vita: a come generó tutti gli esseri viventi che nutre la terra e che si trovano in mare, nell'aria e nel cielo degli astri divini. Generato dall'Anima è anche il sole e quell'immenso cielo cui diede bellezza e regolare rotazione. Eppure la sua esistenza è di natura diversa da quella delle cose cui dona bellezza, movimento e vita; essa, infatti, ha maggior valore di tutte queste, dal momento che tutte le cose sorgono quando l'anima fornisce loro la vita ma devono poi perire quando essa gliela sottrae, mentre l'Anima continua ad essere sempre e non puó privarsi di se stessa. Chi fornisce la vita all'universo e ai singoli essere non puó non essere considerato potentissimo. L'Anima, infatti, puó contemplare la grande anima, è capace di questo non piccolo onore, quando, lontana dalle delusioni e da tutte quelle cose che di solito affascinano le altre anime riposi finalmente in somma quiete. In questo riposo si quieta non solo il corpo che fluendo la circonda e le tempeste corporali, ma tutte le cose esteriori si calmano. Dormono la terra e il mare e l'aria e la stessa immensa potenza del cielo. Si pensi allora l'Anima come quella che penetra in questa mole addormentata come dall'esterno e si diffonde ovunque e ovunque porta la luce come il sole suol illuminare l'oscura caligine e rendere d'oro le nubi. Allo stesso modo, l'Anima penetrando nel corpo celeste, gli diede vita, lo rese immortale, risveglió il dormiente. Guidato dall'Anima in perpetuo moto, il cielo divenne un animale beato, ...
trad. genseki
*