venerdì, agosto 03, 2007

Verano

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Gli Dei

Alain

Da cosa dipende l'assenza totale di Alain dlla cultura italiana? È un'assenza tanto piú stupefacente quando si consideri la presenza della sua discepola piú importante Simone Weil.
La lettura di Alain mostra quanto i "Quaderni" di Simone dipendano dal suo pensiero. Quanti fili legano questi due universi, in quanti punti essi si intersechino e quante forti siano i ponti che li pongono in comunicazione Senza Alain il percorso filosofico e poetico di Simone Weil appare come un notturno volo spettacolare e luminoso che si accende in un punto qualsiasi della notte e scompare tra le nebulose.
Quella che segue è una piccola antologia tratta dal ñibro: "Les Dieux" a cura di genseki.


Alain
Les Dieux
Gli Dei


Spinoza dit qu'il n'y a rien de positif dans l'erreur, ce qui signifie qu'en Dieu l'imagination de l'homme est toute vraie.

Spinoza dice che nell'errore non c'è nulla di positivo, il che significa che in Dio l'immaginazione dell'uomo è perfettamente vera
*

Si je pouvais penser les dieux en dieu et comme dieu, tous les dieux seraient vrais ; mais la condition humaine est d'interroger un dieu après l'autre et une apparence après l'autre, ou, pour mieux dire, une apparition après l'autre, toujours poursuivant le vrai de l'imagination, qui n'est pas la même chose que le vrai de l'apparence.

Se potessi pensare gli dei in dio e come dio, tutti gli dei sarebbero veri; ma la condizione umana è di interrogare un dio dopo l'altro e un'apparenza dopo l'altra, o, per meglio dire un'apparizione dopo l'altra, perseguendo sempre la verità dell'immaginazione, che non è la stessa cosa che la verità dell'apparenza.
*

L'imagination est toute dans le corps humain, et consiste seulement dans les mouvements du corps humain.

L'immaginazione sta tutta nel corpo umano, e consiste soltanto nei movimenti del corpo umano
*

L'homme fut condamné à travailler. Très vrai. Et très vrai aussi qu'il y comptait bien. Toutefois cette acceptation ne va jamais sans tricherie. C'est que jamais le travail ne fera exister tout l'Univers.

L'uomo fu condannato a lavorare. Verissimo. Ed altrettanto vero e che ci contava. Tuttavia questa accettazione comporta anche un inganno: il lavoro non farà mai esistere l'universo intero.
*

L'être de l'enfant n'est jamais sans travail ; seulement c'est la nécessité du travail qui ne lui apparaît pas.

L'essere del bambino non è mai senza lavoro; soltanto la necessità del lavoro si situa al di là del suo orizzonte.
*

L'idée de travailler seulement pour apprendre est l'utopie essentielle ; ce n'est que l'enfance continuée ; et ce qu'on nomme la curiosité, qui promet plus qu'elle ne tient, est la suite d'un travail musculaire qui ne mord point, et qui explore seulement. Dont le goût de la promenade, toujours décevant, est un reste pur. Il y a une rupture éton­nante entre la fatigue du promeneur et le repas qu'il trouve préparé.

L'idea di lavorare soltanto per apprendere è l'utopia essenziale; è soltanto infanzia protratta; ciò che chiamiamo curiosità, che promette più di quanto non mantenga è la conseguenza di un lavoro muscolare che non incide, che soltanto esplora. Il gusto della passeggiata, sempre deludente, ne è un puro residuo. C'è una cotraddizione stupefacente tra la fatica di chi passeggia e il pasto che egli trova pronto.
*

Il n'y a que le chasseur devenu cuisinier qui connaisse le chemin d'un oiseau qui s'envole au succulent rôti.

Soltanto il cacciatore che sia divenuto cuoco conosce il cammino che conduce dall'uccello in volo all'arrosto succulento.
*

Mais ce qui est surtout à remarquer, c'est une avance du discours sur la pensée ; ce qui serait peu croyable, si l'on ne comprenait pas que l'enfant parle naturellement avant de savoir ce qu'il dit. Analysez le dialogue entre la mère et l'enfant, vous verrez que l'enfant renvoie les mots comme des balles, et admire qu'il s'entende lui-même comme il entend l'autre ; cette sorte d'écho est le premier sens du langage, et le sera toujours. Cette résonance humaine se développe en musique ; mais d'autre part la musique des mots se développe en magie, par la nécessité de prier continuelle­ment tous les génies familiers maîtres des jouets, maîtres des fruits, seigneurs souverains des portes, fenêtres, et escaliers. Cette méthode d'obtenir, qui est d'abord la seule, et longtemps la principale, rend compte d'une fonction des mots que l'on oublie presque toujours, d'après cette idée que l'on forme d'abord la connaissance, et qu'on l'exprime ensuite. Or, si la connaissance d'un objet résulte toujours des essais par lesquels on l'atteint, on le manie, on le conquiert, il est clair, seulement par la faiblesse première de l'enfant, que le langage est la première manière de conquérir, et donc la première connais­sance. Les noms de personne, les politesses, les cris imitatifs, les noms com­muns, sont d'abord directement liés à nos besoins, à nos peurs, à nos affections, à nos désirs, et sont tous, à vrai dire, des « Sésame, ouvre-toi ». L'incantation, qui fait paraître ce qu'on nomme, seulement par l'exactitude, la répétition et l'obstination, est la première physique. Et cette position d'attente et d'espérance est ce qui conserve aux mots leur puissance d'exprimer.

Ma quello che bisogna notare soprattutto è un anticipo del discorso sul pensiero; cosa che sarebbe difficile da credere se non si capisse che il bambino parla naturalmente prima di capire quello che dice. Analizzate il dialogo tra la madre e il bambino, vedrete che il bambino rinvia le parole come delle palle, e si stupisce di coomprenderle anche lui, come l'altro le comprende; questa specie di eco è il primo significato del linguaggio, e sempre lo sarà. Questa risonanza umana si sviluppa nella musica; ma, d'altra parte, la musica delle parole si sviluppa nella magia, per la necessità di pregare continuamente i geni familiari signori dei giocattoli, dei frutti, sovrani delle porte, delle finestre, delle scale. Questo modo di ottenere che è il primo, resta a lungo il principale, esso spiega una funzione delle parole che si tende a dimenticare sempre, seguendo l'idea che prima si forma la conoscenza e poi la si esprime con le parole. Ora, se la conoscenza di un oggetto sempre deriva dai tentativi di raggiungerlo, di maneggiarlo, di conquistarlo, secondo l'idea, che si formi dapprima la conoscenza, e che la si esprima successivamente. Ora, se la conoscenza di un oggetto risulta sempre dai tentativi di raggiungerlo, di maneggiarlo, di conquistarlo, appare chiaro, già per la primaria debolezza del bambino, che il linguaggio è il primo modo di conquistare e quindi la prima conoscenza. I nomi delle persone, le formule gentili, le grida onomatopeiche, i nomi comuni, sono dapprima direttamentelegati ai nostri bisogni, alle nostre paure, ai nostri affetti, ai nostri desideri, e sono tutti, a dire il vero degli: "Apriti sesamo". L'incantesimo, che fa apprire la cosa nominata, solamente attraverso l'esattezza, la ripetizione, l'ostinazione, è la prima fisica. E questa posizione di attesa e di speranza è ciò che conserva alle parole la loro potenza di espressione.
*

Nos sens sont remués par le sang et les humeurs de façon à produire des commencements de fantômes, tels que bourdonnements, nappes de couleurs, mouches volantes, fourmillements, salivation, nausées, et autres effets de l'attente passionnée ; mais ces formes mouvantes, si nous y faisions attention, ne nous présenteraient jamais que la structure de notre propre corps, et encore en un mouvement de fleuve. Toutefois ce murmure du corps à lui-même est effacé par le discours qui est un objet réellement produit et réellement perçu. La conjuration par les paroles fait donc surgir premièrement les génies de la chair et du sang, mais aussitôt les disperse par la déclamation rituelle, solennelle, qui ouvre sur l'événement une porte de silence.

I nostri sensi sono commossi dal sangue e dagli altri umori in modo da produrre degli abbozzi di fantasmi, ovvero ronzii, macchie di colore, mosche volanti, formicolii, salivazione, nausee e altri effetti di un'attesa appassionata; ma queste forme mobili , se prestassimo loro attenzione, non ci presenterebbero altro mai che la medesima struttura del nostro proprio corpo, e per di più nella forma del movimento di un fiume. Questo movimento del corpo, tuttavia, è anch'esso cancellato dal discorso che è un oggetto realmente prodotto e realmente percepito. La congiura delle parole fa dunque sorgere in primo luogo i geni della carne e del sangue, ma subito li disperde per mezzo della declamazione rituale, solenne che apre sull'avvenimento una porta di silenzio.
*

L'enfant, de même que l'homme, ne voit jamais que le monde comme il se montre, et le monde se montre comme il doit, je dirais même comme il est. Mais le discours, qu'il soit récit, poésie ou prière, fait un autre monde, de choses, de bêtes, et d'hommes, et de tout ce qu'on peut nommer ; un monde qui n'apparaît jamais. La magie ne peut pas plus aisément évoquer un homme qu'une forêt. Le lien magique n'est pas d'un homme imaginaire aux choses qu'il nous donne et nous enlève ; il est du mot à la chose invisible et à l'homme invisible ; et cette présence que nous cherchons toujours derrière la présence résulte d'une impérieuse, disons même impériale, manière d'agir qui est la première pour tous.

Il bambino, così come l'uomo, non vede il mondo che come esso appare, e il mondo appare come deve, direi quasi come è. Ma il discorso, sia esso racconto, poesia o preghiera, crea un altro mondo, di cose, di bestie e di uomini, e di tutto ciò che può essere nominato; un mondo che non appare mai. La magia ha la stessa difficoltà a evocare un uomo piuttosto che una foresta. Il legame magico non è quello tra un uomo immaginario e le cose ch'egli ci da o ci toglie; è quello tra la parola e la cosa invisibile e l'uomo invisibile; e questa presenza che noi sempre cerchiamo dietro la presenza risulta da una maniera di agire imperiosa, persino imperiale, che è per tutti la prima.
*

On s'étonne du prodigieux effet des prières ; je ne pense pas qu'une prière soit jamais plus crue qu'un récit, et c'est déjà beaucoup. Au reste les contes sont des récits de prières exaucées ; la parole se confirme elle-même. Telle est la vertu des paroles.

Ci si stupisce dell'effetto prodigioso delle preghiere; io non penso che una preghiera sia mai più ddi un racconto, ed è già molto: Del resto i racconti sono racconti di preghiere esaudite; la parola conferma se stessa. Tale è la virtù delle parole.
*
Ce qui fait l'existence, ce n'est pas le paraître, c'est le paraître au commandement et sous la condition d'un travail.

Ciò che fa l'esistenza non è l'apparire, ma l'apparire a comando in dipendenza da un lavoro.
*

giovedì, agosto 02, 2007

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La Cattedrale III


La fortezza, l'armatura

La Cattedrale è paragonata a una fortezza e persino all'armatura i un cavaliere di quella crociata predicata da S. Bernardo proprio nella Cattedrale. Si tratta di una “Lorica” l'armatura magica fatta di orazioni e di scongiuri che avrebbe dovuto proteggere il cristiano che se en serviva. La cattedrale è una “Lorica” ma non una “Lorica” di parole o di altri segni verbali, quanto piuttosto di pietre e di segni architettonici:

“Ritornava a casa sua per mangiare qualche cosa e, abracciando, con un'ultimo sguardo, la chiesa ammirevole, ricapitolando i simulacri guerrieri così come apparivano: le forme di scudo dei rosoni, di lama di spade dei vetri , i contorni dei caschi e degli elmi delle ogive, la somiglianze di alcune vetrate in grisaglia filigranata di piombo con le tuniche di maglia di ferro dei combattenti, e, fuori, contmplando uno dei campanili intagliato a lamelle come una pigna, come una cotta di maglia, si diceva che pareva davvero che “gli ospiti del buon Dio” avessero preso in prestito i loro modelli ai bellicosi arnesi dei cavalieri; che avessero voluto perpetuare come per perpetuare il ricordo delle loro imprese, raffigurando dovunque l'immagine ingrandita di quelle armi di cui i Crociati si cinsero quando si imbarcarono per partire alla riconquista del Santo Sepolcro".

genseki

mercoledì, agosto 01, 2007

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Son così fresche le foglie d'acacia

Son così fresche le foglie d’acacia
Son così verdi che si fanno azzurre
Scorrono come l’acqua dentro di noi
Quando ti stringo e mi stringi
E siamo vene d’acqua celeste
Linfa d’autunno che si fa bagliore
Teneri e verdi
Scorriamo uno nell’altro
Fatti a vicenda alveo e corrente.
Son così verdi le foglie d’acacia
Son così fresche che si fanno azzurre
Quando corteccia avvolgi la mia linfa
Ed io son foglia delle tue pupille
E siamo luce che trascorre il fiume
Alto e sottile delle nostre vene.
Freschi esistiamo come foglie verdi
Tremo al tuo vento
Fremi alla mia brezza
Siamo fronde d’acacia nell’autunno
Gocce di linfa
Dei rami della pelle.
Son così freschi e verdi i nostri corpi
Son così freschi che si fanno azzurri
Se nella trasparenza ci mutiamo
Intrecciando le dita alle pupille
Attraversati di stupore azzurro:
Esserci
Nudi
Freschi come foglie.

genseki
1998

Pino negral

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Scienza della Logica


Quando delle cose diciamo che son finite, con ciò si intende che non solo hanno una determinatezza, che non solo hanno la qualità come realtà e determinazione, che è in sé, non solo son limitate, così da aver poi un esserci fuor del loro limite, ma che anzi la lor natura, il loro essere, è costituito dal non essere. Le cose finite sono, ma la loro relazione a se stesse e che si riferiscono a se stesse come negative, che appunto in questa relazione a sé si mandano al di là di se stesse, al di là del loro essere. Esse sono, ma la verità di questo essere è la loro fine. Il finito non solo si muta, come il qualcosa in generale, ma perisce; e non è già soltanto possibile che perisca, quasi che potesse essere senza perire, ma l’essere delle cose finite, come tale, sta nell’avere per loro essere dentro di sé il germe del perire: l’ora della nascita è l’ora della lor morte.

*

Il pensiero della finità delle cose porta con sé questa mestizia, perché una tale finità è la negazione qualitativa spinta al suo estremo, perché alle cose, nella semplicità di codesta determinazione, non è più lasciato un essere affermativo distinto dalla loro destinazione a perire.
*

La finità è la negazione come fissata in sé, epperò si erge rigida di contro al suo affermativo. Quindi è che il finito si lascia bensì portar nella corrente; esso consiste appunto in questo, nell’esser destinato alla sua fine, ma soltanto alla sua fine; - anzi è il rifiuto di lascairsi affermativamente portare al suo affermativo, all’infinito, di lasciarsi unire con quello. Il finito è dunque posto inseparabilmente dal suo nulla, ed ogni conciliazione col suo altro, coll’affermativo, è così impedita.
La destinazione delle cose finite non è nulla più che la lor fine.

*
Il finito si distrugge in sé ma risolve effettivamente la contraddizione, non già ch’esso sia soltanto caduco e che perisca, ma che il perire, il nulla, non è l’ultimo, ossia il definitivo, ma perisce.
Hegel
Da: La scienza della Logica

lunedì, luglio 30, 2007

Rivelazioni

Il Corano non è un libro che parla di Allah, bensì un libro che lo rivela, cioè che lo mostra, segnala la sua direzione e riconduce chi lo recita alle sue proprie origini, là dove tutto si incontra di nuovo.

La Rivelazione, però, non è solo il Corano, Il Corano è solo l'esterno della Rivelazione, una delle sue manifestazioni storiche, in realtá, tutto ció che è, è Rivelazione, Sura di un Corano non scritto.

Il Corano si dischiuse in Mohammad perchè incontrò un cuore vuoto.


Gonzalez e Haya
Islam para ateos
trad genseki

domenica, luglio 22, 2007

VIVIT

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VIVIT

Sopra ognuna delle figure in bassorilievo
È incisa la parola VIVIT
La si legge per tre volte
VIVIT VIVIT VIVIT
Come uno scongiuro
Eppure le forme limate dei volti
Nella pietra non sono nemmeno più umane
Non ci parlano piú di affetto o di attitudini
Ma di erosione, di disgregazione
del succedersi di temperatura e di umiditá,
Forse anche di reazioni chimiche e di batteri.
Quello che ci racconta la pietra
È un racconto appunto minerale,
Un racconto che non coincide
Con la dimensione dell'umano,
E quello che resta di volto, nelle pietre
È, proprio per questo, ancora piú morto.
La pretesa che la parola VIVIT
Grida ai nostri occhi
Rende la morte ancora piú ignobile
Anzi, è questa pretesa che la rende ignobile
Là dove quelli che furono volti
Si rivelano parti della storia minerale
Il loro essere scolpiti vicenda meccanica
Della materia
Il loro essere ricordo
Sfigurato dalla volontá di persistenza
Di separatezza dalla forza vitale
Delle pietre del vento, dell'acqua e dei batteri
Delle molecole e delle stelle
Delle crepe e degli insetti
Un dolore acuto ci rende liberi dalla paura
Dalla paura della vita giocosa delle pietre
Delle loro lente metamorfosi che piegano il tempo
Fino a farne la culla della vita.

venerdì, luglio 20, 2007

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Il Canto dell'Autunno

Il canto del nostro autunno
Era un canto terso d’attesa
Un canto di cristallo di speranza
Fresco come l’aria del mattino
Era un vetro venato di voli
Nel cielo di nuvole accartocciate
Dall’estinguersi ocraceo della luce
Un canto senza tamburi
Ma con vuoti di basso profondo
Come gesto d’intelletti senza forma
Intenti a rispecchiarsi negli stagni
Oh era un canto di spine
Un canto di rose di carta velina
Di corteccia svilita dalla pioggia
Perché noi sapevano cos’era il fango
Allora sapevamo che era reale
Che nel fango marciscono i frutti
E le piume dei voli defunti
Ed anche per questo cantavamo
Cantavamo un canto d’autunno
Un canto che abbiamo dimenticato
Latrando catarrosi dietro ai claxon
Delle vecchie berline giapponesi.

genseki
10/10/00 21.35

giovedì, luglio 19, 2007




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La Cattedrale II


Nel terzo capitolo la comparazione tra lo spazio naturale della foresta e lo spazio sacro della chiesa diventa sempre piú chiara, l'intuizione di Chateabriand sull'origine del gotico, è sviluppata in modo analitico e estetico minuzioso:

"Senza sminuire la teoria che consiste nel vedere in questo problema soltanto una questione materiale, tecnica, di stabilitá e di resistenza, una invenzione dei monaci che avevano scoperto un bel giorno che la soliditá delle loro volte sarebbe stata meglio assicurata dalla forma a mitra dell'ogiva che da quella mezza luna dell'arco pieno, non sembra che la dottrina romantica, la dottrina di Chateaubriand di cui ci si è fatto beffe sia la meno complicata di tutte, la piú naturale, insomma la piú evidente e la piú giusta?
Per me è quasi certo, proseguí Durtal, che l'uomo ha trovato nei boschi la forma tanto discussa della navata e dell'ogiva. La piú stupefacente cattedrale che la natura ha costruito, da se stessa, prodigandovi l'arco spezzato dei suoi rami, si trova a Jumièges. Là, accanto alle magnifiche rovine dell'abazzia che ha conservato intatte le sue due torri e la cui navata scoperchiata e ricoperta di fiori si collega ad un coro di fronde circondato da un'abside di alberi, tre immensi viali, bordati di tronchi secolari, si estendono in linea retta; uno, quello del mezzo, molto largo, gli altri due, che lo affiancano, piú stretti; essi disegnanono l'immagine astratta di una nave e delle sue fiancate, sostenute da pilastri neri e avvolte da fasci di foglie. L'ogiva vi è chiaramente riprodotta dai rami che si toccano, così come le colonne che la sostengono sono imitate dai grandi tronchi. Bisogna vederla d'inverno, con la volta ad arco spolverata di neve, i pilastri bianchi come tronchi di betulla, per comprendere l'dea originaria, il seme dell'arte che ha potuto far sorgere lo spettacolo di simili viali, nell'animo degli architetti che sgrossarono, poco a poco, il romanico e finirono per sostituire completamente l'arco acuto all'arco pieno.
E non vi sono parchi, piú o meno antichi dei boschi di Jumièges, che non riproducano con altrettanto esattezza gli stessi contorni; ma quello che la natura non poteva dare, era l'arte prodigioso, la scienza simbolica profonda, la mistica appassionata e placida dei credenti che edificaron le cattedrali. Senza di loro, la chiesa restata allo stato bruto, così come la natura l'aveva concepita, sarebbe rimasta un abbozzo senz'anima, un rudimento; essa era l'embrione di una basilica, cangiante secondo le stagioni e i giorni, inerte e viva al tempo stesso, animandosi al suono dell'organo del vento, che deformava il tetto mobile dei suoi rami, al suo solo spirare, era inconsistente e spesso taciturna, assolutamente sottomessa alle brezze, serva rassegnata dell piogge; non era stata illuminata, insomma, che da un sole che setacciavatra le losanghe e i cuori delle foglie, così come tra le maglie delle piastrelle verdi. L'uomo, con il suo genio, raccolse questi sparsi bagliori, li condensò in rosoni e in lame, li riversó nei viali di bianchi fusti; e persino con il tempo peggiore, le vetrate risplendettero, imprigionarono fino alla piú piccola luce del tramonto, rivestirono il Cristo e la Vergine degli splendori piú favolosi, quasi giunsero a realizzare su questa terra il solo abbigliamento che potesse convenire ai corpi gloriosi, vestiti diversi di fiamme!"

In questo testo non è solo la cattedrale che riproduce la foresta aggiungendo la profonditá simbolica e mistica che manca alla natura, ma è la natura stessa che cerca di riprodurre la Cattedrale. Si genera u movimento circolare che va dalla foresta alla cattedrale e dalla cattedrale alla foresta il cui asse mediano è costutuito dal simbolo.

martedì, luglio 17, 2007

Añoranzas

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Prossimitá

Ogni lacrima è un grappolo d’occhi.

*

Com’è lontano il ramo
Del melo spezzato
Il suono liquido dell’organo
L’alito acre della marmitta
Il tavolo di legno della trattoria!
Con un dito cancello
Il semicerchio rosa
Tracciato dal bicchiere di vino
Come siamo lontani
Seduti faccia a faccia
Come siamo vicini
In distinto tramonto!

*

Essere il bastone spezzato
Nel riflesso dell’acqua
Immerso in questo tempo
D’implacabile verde
Eppure dritto nell’attimo -
Emerso.

*

Mi parli della tua gatta
Ma a quale distanza
Sono le tue parole dalla gatta?
Più morte delle tegole rosse
Su cui danza con passo straniero
Le nostre parole
Più prossimo al suo riflesso
Sui vetri dell’abbaino
Il suo essere viva
Di morto istante a istante morto.

*

Le nostre parole
Son cerchi concentrici
Sul lago dell’essere prossime
Ogni cerchio si allontana
Nell’onda del successivo.

*

Da silenzio a silenzio
Gocciola la musica
Quasi immobile
Nel tempo dell’udito.

*

E le lacrime?
Riflettono gli occhi
In schegge ricurve
Di tempo.

genseki
12/07/04 23.50

mercoledì, luglio 11, 2007

Historia y naturaleza

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La fine della Storia


Schiller
Sul gioco
Dalle “Lettere sull'Educazione estetica dell'uomo”
Lettera 27



L'animale lavora quando la molla che produce la sua attività è una privazione, e gioca quando questa molla é l'abondanza di forze, quando la sovrabbondanza della vita lo sprona all'attivitá. E persino nella natura inanimata si manifestano il lusso della forza e la vaghezza della determinazione che si potrebbero chiamare gioco.
*
L'uomo dovrebbe giocare soltanto
con la bellezza.
*
L'uomo gioca soltanto quando è umano nel senso pieno della parola, e è completamente umano solo quando gioca.
*

Questi testi di Schiller sono, presumibilmente, il punto di origine della tesi, oggi tanto discussa della fine della storia.
Il lavoro dell'uomo, spinto dalla privazione: privazione dei mezzi di sussistenza e di riproduzione, privazione della serenitá, privazione del senso della vita, privazione della libertá è il fattore che genera la storia. In questo senso Schiller è stato letto e approfondito da Hegel e da Hegel trasmesso al XX secolo e a Kojève che lo ha divulgato.
La storia è il prodotto dell'attività umana e come tale assolutamente perspicua per la conoscenza umana. Non v'è nessuna difficoltá per l'uomo a conoscere quello che ha prodotto egli stesso, o almeno non dovrebbe esservene alcuna, in linea di principio.co
Tuttavia il processo storico non è infinito, dipende dalla privazione e trova il suo limite nell'abbondanza.
Quando la privazione dei mezzi di sussistenza, quella della libertá e con esse tutte le altre privazioni si sono trasformate nelle rispettive abbondanze e quindi il lavoro non é piú necessario, necessariamente viene a cessare anche la storia.
Secondo Hegel, poi, l'uomo producendo la storia come prodotto della propria attivitá produce anche se stesso in quanto uomo.
Allora, se la storia cessa, in qualche modo cessa anche l'uomo.
Tuttavia, che cosa sotituisce l'attivitá è il lavoro quando l'abbondanza sostituisce la privazione.
Secondo Schiller è il gioco.
E qui incontriamo una contraddizione: Schiller dice, infatti, che l'uomo gioca solo quando è umano, ma se il gioco corrisponde all'abbondanza e se l'abbondanza corrisponde alla fine della storia e quindi alla fine dell'uomo come è possibile che il gioco sia così profondamente umano come Schiller lo pretende?
La contraddizione è già in Schiller, palese, quando egli afferma che l'animale gioca per l'abbondanza di forze e persino la natura inanimata pare giocare nel lusso delle forze che la innervano.
No il gioco non è umano.
In questo senso Kojève intendeva l'animalizzazione americana della fine della storia.
L'idea di animalitá di Kojève non risale a Hegel ma a Schiller. E da Schiller è giunta fino a Fukuyama.
Vi è, però, una dimensione del gioco che pare situarsi oltre l'animalitá: la bellezza.
Schiller dice che l'uomo dovrebbe giocare soltanto con la bellezza e dicendo questo delimita due campi: l'animalitá e la postumanitá.
Kojève chiamava la postumanità snobismo e la considerava realizzata nel Giappone dei Tokugawa.
Marx chiamava la postumanitá comunismo.
Snobismo è una sprezzatura tipica dell'acida arroganza di Kojève: nel gioco, infatti l'animale, l'uomo e la natura inanimata si collocano in una relazione differente da quella storica, ridefiniscono, nella bellezza i reciproci rapporti. Il terrore dello tsunami è cieco come quello delle guere neoimperialiste. È il terrore del gioco. È il volto spietato della bellezza che resta una possibilitá.
Un altro gioco è il sesso che si relaziona con le forme animali, liberate dalla necessitá.
In esso, forse, l'animalitá realizza la sua perfezione dialettica, il suo fine.
Ma le nostre menti si muovono come le onde che giocano con la schiuma il gioco della dinamica di forza e di luce.